Don Giovanni Gatti tra Mandello del Lario, Caspoggio e Bellinzona: la pastorale e la catechesi, l’impegno sociale, l’antifascismo e l’esilio. 4 – L’esilio a Bellinzona e l’impegno antifascista

Proponiamo in più puntate i testi e i materiali della mostra su don Giovanni Gatti realizzata dall’Archivio Comunale Memoria Locale di Mandello del Lario in collaborazione con la parrocchia San Rocco di Caspoggio e la parrocchia Sacro Cuore di Mandello.

L’esilio a Bellinzona e l’impegno antifascista

Il 17 settembre 1924 accetta di espatriare in Svizzera, a Bellinzona, dove arriva il giorno stesso, accompagnato dal parroco di Mandello Don Bay Rossi; è accolto presso il collegio Francesco Soave, dove resta per ventidue anni fino al 1945. Qui svolge, da esiliato, l’attività di insegnante e aiuta i rifugiati politici italiani in Svizzera, procurando loro casa e lavoro, ma anche occasioni di impegno politico.

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Partecipa all’organizzazione di una rete di collegamento antifascista tra il Canton Ticino e la zona italiana di confine, riuscendo anche a far giungere, attraverso la Val Poschiavo e per mezzo di contrabbandieri, parecchio materiale propagandistico e scritti antifascisti suoi e di G.B. Miglioli.

Segnalato nel Casellario Giudiziario come “antifascista”, è citato in un tele-espresso del 15 novembre 1932, proveniente dal ministero degli Esteri italiano, come “velenosamente antifascista”.

Nel 1934, Don Gatti, su pressione della Curia di Como, a sua volta spinta dalle autorità fasciste, rinuncia alla parrocchia di Caspoggio e accetta la carica onorifica di Canonico del Duomo di Como. La popolazione di Caspoggio, dispiaciutissima, continuerà a sperare nel ritorno del parroco e a mantenere i contatti epistolari con lui.

La sua opera a Bellinzona

Don Gatti, a Bellinzona, insegna al collegio Francesco Soave (aperto il 7-10-1901, con 21 convittori e una settantina di allievi esterni); è stato chiamato dai Padri Somaschi e, durante il suo esilio, insegna Italiano e Latino al Ginnasio superiore.

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I suoi allievi ricorderanno per anni le sue rare doti di insegnante, la grande intelligenza, la didattica, le lezioni profonde da lui impartite, l’analisi dei problemi, le sue parole convincenti anche sui temi più difficili:

Il dolore è utile, educa, risana, affratella, sublima.

A Bellinzona abita in una casetta a Nocca e in un’altra lungo la salita del Dragonato.

In quegli anni assume anche la direzione spirituale del Ricovero Von Mentlen e dell’Istituto S. Maria.

L’antifascismo e l’impegno politico continua

In stretto contatto con G.B.Miglioli, riesce a far giungere in Italia scritti e materiale propagandistico antifascista.

Aderisce al Movimento Popolare in esilio ed è in contatto con i principali esponenti del Partito Popolare Italiano (Don Luigi Sturzo, Francesco Luigi Ferrari, Domenico Russo ed altri ancora).

Continua la lotta antifascista sostenuto da Don Francesco Alberti, suo grande amico e direttore del giornale “Popolo e libertà”, quotidiano del partito conservatore democratico; è il primo a leggere il dattiloscritto del suo romanzo “il voltamarsina”, di cui corregge anche le bozze; è in stretto contatto anche con Don Luigi Mietta, allora corrispondente del giornale cattolico “l’Italia”.

Aiuta i rifugiati politici ed organizza una rete di collegamento antifascista tra il Canton Ticino e le zone italiane di confine.

E’ tra i fondatori e propugnatori della Democrazia Cristiana in Svizzera.

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Dall’Italia l’appoggio della chiesa e dei parrocchiani

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santa Messa di don Gatti a Bellinzona, Giugno 1932

  1. don Enea Mainetti, professore del seminario, parroco di Musso
  2. don Giovanni Bay Rossi, arciprete di Mandello del Lario, prevosto di sant’Eusebio in Como
  3. don Giovanni Gatti
  4. mons. Pietro Caccia, professore del seminario, prevosto di Olgiate Comasco
  5. don Clemente Gaddi, professore del seminario, parroco di Cernobbio, vescovo di Nicosia, arcivescovo di Siracusa, vescovo di Bergamo

Nel 1928 Mons. Pagani, vescovo di Como, a Caspoggio per una visita pastorale, informatosi delle vicende relative a Don Gatti, condanna le violenze a lui inferte e gli spedisce una lettera affettuosa.

Il 23 marzo 1931, Mons. Alessandro Macchi, vescovo di Como, in visita pastorale a Caspoggio, rivolge gravi parole contro coloro che hanno tolto alla comunità il suo pastore.

Dal 1934 Don Pio Parolini, nuovo parroco di Caspoggio, tiene contatti con il suo predecessore e gli comunica gli avvenimenti più importanti della parrocchia; i ragazzi della prima Comunione gli fanno avere la prima letterina d’augurio e di sante promesse; i genitori gli partecipano gli avvenimenti tristi e lieti delle famiglie.

Ogni anno, alla messa solenne di Natale, Don Parolini dà lettura delle lettere inviate da Don Gatti ai suoi ex parrocchiani.

La riconoscenza verso Don Gatti non viene mai meno e continua per anni l’affettuosa corrispondenza dei suoi parrocchiani con lui, esule a Bellinzona.

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Approfondimenti: Le lettere e gli scritti di Don Gatti

In una sua “memoria”, stesa nel 1925, così scrive, a proposito delle sue vicissitudini:

Don Gatti desidera essere giudicato serenamente per quello che realmente fece e disse come cittadino e come parroco, e prima e durante e dopo la guerra, sicuro non solo di essere innocente delle accuse generiche che gli si vollero imputare, ma di avere ben meritato della religione e della patria. Egli chiede di essere reintegrato nel suo posto e nel suo onore, e assicura che il suo ritorno in parrocchia servirà a ridare alla sua popolazione – che da tanto tempo soffre per l’assenza del pastore – la pace e la serena fiducia nella giustizia severa e imparziale del Governo nazionale.

Nel novembre 1933 don Gatti annuncia ai parrocchiani di Caspoggio la soluzione trovata, anche grazie all’intermediazione di don Bay Rossi, già suo Superiore in Seminario, a quel tempo arciprete di Mandello:

Carissimi Parrocchiani e amici,

Prendo in mano la penna trepidando, non perché la mia coscienza mi rimproveri, ma perché so che quanto sto per dirvi rincrescerà a voi come rincrebbe a me. Non si lotta per una causa – che si vede giusta e santa – da più di dieci anni, per poi abbandonarla a cuor leggero: un cristiano può chinar la testa davanti all’ineluttabile, ma non per questo sente meno lo schianto e la vergogna di dover ripiegare la propria bandiera. Voglio dirvi che – invitato replicatamente dall’autorità ecclesiastica – non ho creduto d’aver il diritto di opporre un rifiuto a rinunciare anche di diritto alla parrocchia, che di fatto mi è stata tolta da tanto tempo e chi sa per quanto tempo. Mi è stato assicurato che S. Ecc. Mons. Vescovo ha fatto tutto quello ch’era in suo potere presso le autorità politiche e presso le superiori autorità ecclesiastiche, per ottenere una soluzione conforme a ragione e giustizia; ma purtroppo inutilmente. E’ d’uopo quindi ritenere che non si tratta – da parte dell’autorità ecclesiastica – di cattiva volontà, ma di impossibilità ….

Il 7 febbraio 1934 in una lettera al Vicario generale di Como così scrive:

S’è finalmente (va bene così?) conclusa l’annosa questione di Caspoggio, almeno nei miei riguardi personali. Mi si è concesso anche più di quel che meritavo, o si è considerato come un merito il fatto di esser stato perseguitato. Sono in obbligo di ringraziare cordialmente anche te per la parte che vi hai avuta. E devo essere inoltre riconoscente a cotesta veneranda autorità diocesana per non aver fatta propria l’accusa di antipatriottismo che i miei nemici – forti della loro impunità e dell’impossibilità in cui mi trovo di difendermi – elevavano contro di me. Io non conosco niente di più antipatriottico, anzi di più sovversivo, che la confusione che si va facendo e si vorrebbe imporre alle coscienze tra stato e nazione e tra nazione e fazione. Ma ora lasciamola lì, e piuttosto ringraziamo insieme il Signore d’essere riusciti a disgrovigliare un’arruffatissima matassa.

I rapporti epistolari con gli antifascisti

Da alcune lettere risulta come Don Gatti avesse il “mezzo sicuro” per far giungere scritti e documenti in Italia e come avesse rapporti con gli esiliati a Parigi e in altre zone.

Dalla lettera di Alberto Tarchiani risultano dei contatti di Don Gatti con uno dei fratelli Rosselli:

Parigi, 1° gennaio 1931

15, rue Olier XV

Caro Don Gatti,

grazie del Suo cordiale ricordo e delle notizie che ci dà. Le informazioni da ogni parte d’Italia concordano: fame e malcontento dovunque. Ma non basta, se continua a mancare lo spirito offensivo. Occorre rovesciare le tavole e sferzare a sangue. Purtroppo!

Rosselli con me le rammenta il suo “sermone ai contadini”: parole semplici e persuasive, che tutti possono intendere e che tocchino i cuori. Può uscirne una nobile e degna opera di propaganda cristiana e perciò antifascista. Scriva e mandi.

Ci rammenti agli amici di là che ha occasione di vedere e dica loro che il Ticino ci è sempre presente.

Così Don Gatti scrive a Don Sturzo sulle difficoltà sorte per la pubblicazione dei suoi articoli:

Bellinzona, 8 febbraio 1940

illustre e carissimo amico,

Ho comunicato quanto dovevo al “Popolo e Libertà” e credo che a quest’ora le sarà stato ritornato l’articolo e il giornale al nuovo indirizzo. La ringrazio di essersi rivolto a me: se crede ch’io possa renderle qualche servigio, per esser qui nel Ticino e così vicino alla patria, mi tenga presente: io considero come grande onore ricevere da Lei qualsiasi comunicazione. Sto leggendo – adagio perché è tutto da studiare – il suo l’Église et l’État (ereditato dall’indimenticabile Don Alberti): quanta verità e quante verità! Sono opere le Sue che, in tempi migliori, in Italia dovranno essere studiate nei Seminari. Speriamo presto! Vedo annunciato in “Nouvelles Litteraires” un Suo studio su L’Italie et la guerre; potrebbe farmelo avere? Leggerei volontieri tutte le Sue nuove pubblicazioni: ma dove e come procurarmele? Non c’è una rivista come la “Res Publica” del compianto amico Ferrari?

Avrà visto che, purtroppo, il “Popolo e Libertà” è diventato esasperatamente prudente; bisognerà aver pazienza e aspettare che sia scomparso ogni pericolo di complicazioni. Lei continui verba veritatis!

Con i migliori auguri e con ossequio di discepolo devot.mo

Sac. Giov. Gatti

Gli antifascisti ticinesi così scrivono a Don Gatti dopo la caduta del Fascismo:

21 agosto 1943

I tuoi amici antifascisti convenuti qui nel tuo grotto per brindare alla caduta del fascismo, di quel regime che tu hai combattuto con tanta dirittura di coscienza e con tanta passione, ti sentono presente in ispirito e ti salutano come uno dei primi campioni della nuova libertà italiana.

(ARCHIVIO PRIVATO PLINIO GROSSI – BELLINZONA)

Un giovane rifugiato, Vincenzo Ferrari, così scrive a Don Gatti dalla Svizzera interna:

1° febbraio 1945

Reverendo caro Don Gatti,

ho letto su Libera Stampa la Sua nomina (a presidente dell’associazione nazionale combattenti). Ne ho provato una grande gioia. Io voglio molto bene ai preti (quando ero in gioventù cattolica mi chiamavano l’apostolo del clero!) ma lamento che ben pochi sono stati come dovevano, o meglio, la solita storia, il cosiddetto basso clero ha fatto decentemente la sua parte ma i vescovi, ohimé! La semenza degli Ambrogi, dei Carli, s’è persa. Ho pensato che se il Vaticano sa il fatto suo (ma ne dubito) dovrebbe, domani, fare dei vescovi tipo Lei. Che bel vescovo sarebbe Don Gatti.

Ma vedrà che non La faranno, per fare il vescovo bisogna essere Don Abbondio e così abbiamo visto i pastori assistere alla deportazione delle loro pecore, alla fucilazione degli ostaggi, all’incendio dei villaggi, senza elevare una sia pure platonica protesta.

Quanti vescovi hanno fucilato in Italia? Quanti vescovi, quando partivano i tristi convogli, di schiavi per la Germania, sono andati alla stazione e hanno detto: questi sono i miei figli, parto anch’io con loro, divido la loro sorte? Se avessero fatto così, il comunismo poteva andare a farsi benedire per i secoli! Ma nemmeno uno l’ha fatto. E sì che non hanno più padre né madre, non hanno figli e spose che possano piangere, e sì che la loro vita ormai alla fine (ricorda quel passo del colloquio tra il cardinale e Don Abbondio: quel premio a cui ci avviamo, cui siamo tanto vicini?) e valeva meglio perderla o rischiarla che trascinarla paurosamente nel sicuro dei loro palazzi.

Invece i giovani cattolici, i Wuillermin, i Vercesi, i Genna, i Gasparini, i Lunardi [?], con padre e madre e figli e spose l’hanno offerta la loro giovane pelle, l’hanno data per Dio e la chiesa.

Ci vorrebbero tanti Don Gatti. Faccia un po’ di bene, oltre quello che già fa …

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Don Gatti partecipa alla Giornata del partigiano e del soldato italiano, festeggiata a Lugano il 18 febbraio 1945; don Gatti fu uno dei due oratori.

I pannelli della mostra: 4) L’esilio a Bellinzona e l’impegno antifascista

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