da Parrocchiechiurocastionetto.it, il sito della Comunità pastorale di Chiuro e Castionetto.
La gloria di Dio: il peso della leggerezza, l’imbattibilità dell’inerme, la fecondità della sterile
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 1, 18-24)
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
«Ecco, viene il Signore, re della gloria». La liturgia di oggi ci conduce verso il Natale facendoci attraversare un tema decisivo della rivelazione: la gloria di Dio. Non quella che intendiamo noi – splendore, potenza, trionfo ma quella che la Bibbia chiama kavòd: il peso di Dio, la sua presenza reale, affidabile, concreta nella storia.
La parola kavòd non indica la luce abbagliante dei re della terra, ma la solidità di Dio, il suo “peso” d’amore che dà stabilità alla vita. Per questo il salmo chiede: «Chi potrà salire il monte del Signore?». Risposta: non il potente, non il perfetto, ma chi ha mani innocenti e cuore puro, cioè chi è disponibile ad accogliere la presenza di Dio. La domanda del salmo – Chi entrerà? – oggi riceve una risposta straordinaria: sarà Dio ad entrare, sarà Lui stesso ad aprirsi un varco, a entrare nella nostra storia come il “Re della gloria”. Ma come entra? Non nella potenza, bensì nella fragilità. E questo ci prepara a comprendere Isaia e Matteo.
Il contesto di Isaia è drammatico: la guerra siro-efraimita. Il piccolo regno di Giuda è accerchiato. Rezin, re di Aram, e Pekach, re di Efraim, il regno del nord, minacciano Gerusalemme, e il re Acaz trema insieme al popolo. Dov’è la kavod del Signore quando l’esercito è alle porte? La gloria di Dio non si percepisce più: non c’è sicurezza, non c’è stabilità, non c’è futuro. Acaz pensa di salvarsi con le sue strategie: cercare l’aiuto dell’Assiria, la superpotenza del tempo. È la tentazione eterna: fidarsi di ciò che pesa agli occhi del mondo, non della kavòd di Dio. Ed ecco la parola del profeta Isaia: «Se non crederete, non resterete saldi». La gloria di Dio non si manifesta nell’esercito che libera, ma nella parola che chiede fiducia. Dio propone ad Acaz un segno, ma il re lo rifiuta: una falsa umiltà e una falsa religiosità nasconde in realtà mancanza di fede nell’agire di Dio. E allora Dio dà un segno inatteso: «Ecco: la giovane donna concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele». La gloria di Dio prende peso nella storia attraverso la fragilità di una nascita, non attraverso potenze politiche. La kavod di Dio non schiaccia: nasce nella piccolezza.
Il Vangelo ci mostra il compimento del segno. Maria è vergine: secondo la logica umana è inadatta a dare la vita. La gloria di Dio si manifesta proprio lì dove non c’è alcuna possibilità umana. La nascita di Gesù è tutta grazia, tutta dono, tutta iniziativa divina. La kavod non brilla nelle apparenze, ma riempie ciò che è vuoto e sterile. Pensiamo a Giuseppe: all’inizio vede solo un fallimento, una storia spezzata. Ma l’angelo lo invita a fidarsi: «Non temere». Accogliere Maria significa accogliere la gloria di Dio che entra nella storia come un bambino fragile. E Matteo aggiunge: «sarà chiamato Emmanuele: Dio con noi».
Nel Salmo la gloria è presenza che chiede porte aperte. In Isaia la gloria è fedeltà che supera la paura politica. In Matteo la gloria è un Dio-con-noi che non teme l’oscurità e la povertà. La gloria di Dio non evita la debolezza, la assume. Non rifiuta l’inadeguatezza, la trasfigura. Non fugge la storia, vi entra. La gloria del Signore non è fuoco che brucia, ma bambino che chiede di essere accolto.
A differenza di Acaz che ha rifiutato il segno di Dio, Giuseppe accoglie l’annuncio dell’angelo diventando intimo collaboratore di Dio. In questo modo l’alleanza è rinnovata: la storia della salvezza raggiunge ora il suo vertice.
card. Gianfranco Ravasi