L’incontro in Galilea. Omelia di padre Giovanni Privalov

Padre Giovanni Privalov è nato il 14 maggio 1971 ed è sacerdote nella diocesi ortodossa della regione di Arkhangelsk e Kholmogory in Russia. E’ stato ordinato sacerdote nel 1992. Dal 27 aprile 1993 al 11 gennaio 2013 è stato parroco titolare della parrocchia di Santo-Sretenie a Zaostrovie. Dal 11 gennaio 2013 e’ stato trasferito alla cattedrale di Sant’Elia ad Arkhangelsk. E’ stato ospite due volte presso le Acli in Italia (sia al Circolo di Arosio, sia a Motta di Campodolcino) e ha sempre dimostrato un’amicizia e una semplicità non comuni. Si è sempre presentato a noi, come un uomo che, come dice nella sua omelia, ci faceva “capire le cose più importanti, quelle che riguardavano l’Amore”.

Omelia di padre Giovanni Privalov al mattutino (Mc 16:1-8) del 19 febbraio 2017

Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: «Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto». Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite.

Mc 16,1-8 (trad. CEI 2008)

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo!

Cari fratelli e sorelle cristiani, Cristo è risorto! Oggi abbiamo sentito un brano del Vangelo sulla Resurrezione di Cristo, dove non si descrive l’incontro con Cristo risorto, ma si fa una sottile allusione a questo evento. Grazie alla potenza dello Spirito Santo, che dimora nei nostri cuori, animi e corpi, che vive nella nostra riunione e ci tiene uniti, diventiamo partecipi di Cristo crocefisso e risorto. La pagina di Vangelo non suona per noi come “un avvenimento dei giorni passati, leggenda si un’antichità profonda”. Sarebbe per noi così, se non avessimo un dono meraviglioso della fede di Cristo e non sapessimo cosa sia la grazia dello Spirito Santo.

In un canto antico, che ascoltiamo ogni anno alla vigilia della Pasqua, ci sono parole piene di mistero: “oggi la grazia dello Spirito Santo ci ha radunati”. Siamo radunati per mezzo della grazia dello Spirito Santo. Questa mattina di domenica non siamo unici ad alzarci presto. Alcuni sono andati al lavoro, perché devono lavorare. Ci sono alcune aziende dove il lavoro va in continuazione, non può fermarsi neanche per un giorno. Anche là si radunano le persone, ma non possiamo dire che sono radunati dalla grazia dello Spirito Santo. Ci sono anche pescatori, che si sono alzati prima di noi e si sono recati al lago alla ricerca di fortuna e riposo, come lo immaginano. Il punto non è solo che siamo riusciti ad alzarci presto, ma che in mezzo a noi è presente il santo e vivificante mistero della presenza di Dio.

Nella pagina di Vangelo oggi si racconta delle donne, che il primo giorno della settimana, di buon mattino sono andati al sepolcro. Che cosa spinge loro ad andarci?

Si può dire che è l’amore verso il morto, il Maestro deceduto. Sappiamo tutti dalla nostra esperienza della nostra vita che quando visitiamo le tombe dei nostri parenti e vicini, di solito ci andiamo non a mani vuote. Portiamo dei fiori. A chi li portiamo? Servono forse ai nostri cari deceduti? Ma non possiamo agire diversamente. E’ un impulso meraviglioso, che può essere chiamato “bellissima inutilità”. Non abbiamo nessun vantaggio. Il morto non prenderà i nostri fiori, non ci dirà come gli fa piacere di ricevere questi bei e una volta così amati fiori. Comunque, non possiamo agire diversamente. Così hanno agito queste donne. Che cosa né sapevano del mistero della vita e della morte? Per loro rimaneva un mistero. Ma capivano le cose più importanti, si intendevano d’Amore. Sapevano che, anche se il Maestro era morto, per loro era importante stare accanto, fare per lui da essere umani quello che potevano fare. Speravano che probabilmente allora la pace sarebbe entrata nelle loro anime esauste e ferite.

Il vangelo ci racconta che durante la crocifissione del Salvatore sono le donne ad essere rimaste fedeli, non quelle persone con cui faceva profonde e abbondanti conversazioni, che in fin dei conti erano coraggiosi. Ricordiamoci l’apostolo Pietro che ha sfoderato la spada e ha tagliato l’orecchio del servo del sommo sacerdote, cercando di proteggere Cristo. Ricordiamoci Tomaso del vangelo secondo Giovanni, che quando ha sentito che Lazzaro era ammalato gravemente e che il Signore stava per andare dal suo amico, lì dove lo aspettava il pericolo, ha detto: “Andiamo anche noi, per morire con lui!” (Giovanni 11:16) Ma dove erano quei fedeli discepoli? Erano assenti nel momento della sofferenza. Si sono dispersi per la paura. Chi è rimasto? Quelli che avevano un legame con il Maestro radicato non nelle convinzioni o chi divideva dei segreti speciali, ma quelli che erano legati a Lui con l’amore. Ed ecco, quando le donne ci vanno la mattino presto per compiere l’ultimo dovere, si preoccupano come raggiungere il Corpo – chi rotolerà la pesantissima pietra? Il primo miracolo – la pietra è già rotolata. Così capita sempre sulle strade di quelli che rimangono fedeli all’amore. Non sappiamo spiegare molti meccanismi, ma conosciamo che Dio non lascia una tale persona, la consola e sopporta, indicandogli che lui sta sulla strada giusta. La pietra è stata rotolata e vedono un giovinetto all’entrata nella tomba. Le donne sono prese da timore, sono prese da tremito. Il giovane dice loro: «Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E’ risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro, che egli vi precede in Galilea». Vorrei attirare la vostra attenzione la nostra attenzione su queste parole piene di mistero, enigmatiche. Perché andare in Galilea? Che cosa c’è là di speciale? Davvero il Cristo Risorto non poteva apparire ai suoi discepoli là, dove è stato ucciso – in Gerusalemme. Certo che poteva. Proviamoci di ricordare le voci delle persone che una volta hanno suonato nelle nostre vite, che ci hanno aiutato di vedere il mistero della presenza Divina e che hanno suscitato in noi deboli o forti correnti di attrazione al Signore. «Ricordatevi dei vostri capi, i quali v’hanno annunziato la parola di Dio; e considerando l’esito del loro tenore di vita, imitate la loro fede». (Ebrei 13:7)

Ci troviamo tutti dentro una festa della Presentazione al Tempio di Gesù, la festa dell’incontro di ciascuno di noi con Dio e l’uno con l’altro. Non esiste la vita cristiana senza l’incontro con Cristo, crocifisso e risorto, e ognuno di noi l’ha incontrato in modi diversi. L’uno Lo incontra in modo chiaro e forte, l’altro attraverso l’intuizione. Ricordiamo perfettamente quanto importante era il posto che occupava il tema dell’incontro nella teologia del vescovo Antonio (Bloom) di Sourozh. Ecco cosa dice: “Galilea aveva una importanza particolare nella vita dei discepoli. Lì hanno incontrato il Signore Gesù Cristo per la prima volta. E’ il luogo delle prime rivelazioni, il luogo dove è iniziata la primavera della loro vita. Galilea è il posto della prima scoperta della vita eterna, aurora, “fine della notte” di cui parla il profeta Isaia. Perciò ritornare nella Galilea dopo il dolore che hanno sofferto in Giudea significava ritornare all’inizio di tutti gli inizi, nel posto dove tutto era nuovo”. Come diceva p. Alexandr Men’, che ha lavorato molto per la nostra chiesa, perché i cuori di molti si rivolgessero a Dio e che gli ultimi anni della sua vita celebrava in una chiesa dedicata alla festa della Presentazione al Tempio di Gesù: “Sapete tutti molto bene come diventino importanti i posti dove abbiamo incontrato qualcuno che abbiamo amato. Così i discepoli vanno in Galilea. Ci vanno attraverso le valli, tra fichi, castagni e cipressi, e parlano tra loro: “Qui è stato con noi, ci diceva queste parole, su quella riva ha fatto quella guarigione”. Ed ecco una volta hanno visto Lui, stare su un monte, Gesù ha detto delle parole solenni, particolari che hanno risuonato in tutto il mondo, hanno riecheggiato in tutti i secoli: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni» (Matteo 28:18). Il vescovo Antonio e padre Alexandr sono due testimoni del XX secolo di Cristo crocifisso e risorto. Scoprono il significato perenne della Galilea per ciascuno di noi e per noi tutti insieme. Ed ecco una prova antica della Santa Scrittura: “Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza, per cui non puoi sopportare i cattivi; li hai messi alla prova – quelli che si dicono apostoli e non lo sono – e li hai trovati bugiardi. Sei costante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. Ho però da rimproverarti che hai abbandonato il tuo amore di prima. Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima. Se non ti ravvederai, verrò da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto. Tuttavia hai questo di buono, che detesti le opere dei Nicolaìti, che anch’io detesto” (Apocalisse di Giovanni 2:2-6). Questo messaggio ha una importanza per ognuno di noi. Ad esempio, ogni domenica ci riuniamo alla liturgia, guidati dalla grazia dello Spirito Santo, potenza della tradizione ecclesiale. Ogni volta radunandoci “tutti insieme nello stesso luogo” entriamo nella nostra Galilea. Non per rimanerci per sempre, ma perché Cristo stesso stia al capo della nostra processione nel Regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, nella profondità e pienezza della Chiesa universale, nella profondità e pienezza della comunione fraterna.

La Liturgia non è soltanto una delle funzioni centrali della nostra Chiesa, ma è anche una buona scuola di conversione della nostra vita senza Dio, nella vita con Dio e nel Dio. Quante volte — il celebrante o il diacono — si rivolge al popolo con le parole: “Ancora e ancora in pace preghiamo il Signore”! oppure “Per la pace dall’alto e per la salvezza delle nostre anime preghiamo il Signore”, o “Per la pace del mondo intero” ecc. Quante volte risuona benedizione della pace! Il tema della pace è il tema trasversale di tutta la Liturgia. Ma com’è questa pace? E’ esattamente quella pace di cui ha parlato Cristo: “vi do la mia pace. Non come la dà il mondo”. Non è la pace che ottiene a costo dei compromessi o diplomazia, ma la pace che si riversa nel cuore aperto a Dio come una pioggia di luce che ci riempie. E poi risuona il testo della Scrittura e, con la forza dello Spirito Santo, le parole semplici e umane si trasformano nella parola di Dio, che “è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla” (Ebrei 4:12). Grazie allo Spirito Santo, grazie alla Parola di Dio entriamo nella vita dei primi cristiani e diventiamo come loro.

Oggi, preparandoci alla liturgia della Parola, è importante orientare i nostri cuori verso la Galilea, entrarci per incontrare Cristo risorto. Nel nostro caso incontrare Cristo risorto significa entrare nello Spirito di Cristo per continuare il nostro cammino con Cristo e in Cristo. La Galilea non è la fine della strada, ma è il suo vero inizio. Proprio in Galilea Cristo ha detto ai suoi discepoli: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Matteo 28:19-20).

Una volta Olivier Clément ha detto che il cristianesimo di oggi gli fa ricordare il carbone sotto cenere. Preghiamo che sui nostri cuori coperti di cenere, soffi un vento dall’alto, un vento di Dio. Però prima riuniamoci tutti insieme, perché i carboni dispersi bruciano male. Noi abbiamo l’opportunità di diventare un roveto che non brucia, facciamolo! Amen.

p. Giovanni Privalov

Rispondi

Effettua il login con uno di questi metodi per inviare il tuo commento:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...