Leggere Moltmann: speranza, per la creazione

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Il mio incontro con la Teologia della speranza di Moltmann? Apparentemente del tutto casuale. È in realtà un segno della vivacità della Firenze di fine anni ’70 che una chiacchierata in autobus tra un cattolico curioso alla fine del percorso liceale e un amico con qualche anno di più si concludesse con la segnalazione del fascino di un grande pensatore evangelico. Da lettore vorace, mi trovai così ad affrontare il mio primo importante libro di teologia, capendone allora pochino, ma restando profondamente colpito da un autore cui molte volte sarei poi ritornato.

Non dico di me per vezzo autobiografico, ma solo per segnalare una dinamica che in quegli anni ha interessato molti e molte, che hanno trovato ispirazione – per la riflessione e per la prassi – in un autore che ha saputo illuminare del Vangelo di Gesù Cristo esperienze e percorsi diversi. Una lettura della speranza come motore di storia e di cambiamento; una parola esigente sul mistero del Dio trino a partire dal Crocifisso; una scrittura densa e stimolante per una teologia coscientemente collocata nello spazio pubblico. Tanti elementi che trovavano forti risonanze in quelle componenti del mondo cattolico che cercavano riferimenti per il rinnovamento di percorsi di fede auspicato dal Concilio Vaticano II.

Da Moltmann venivano tra l’altro prospettive vicine a quelle esplorate in quegli anni da un altro grande teologo come il cattolico Johann Baptist Metz (1928-2019), in una sintonia che relativizzava le ristrettezze confessionali. Non a caso ambedue gli autori trovavano ampio spazio in Italia – talvolta anche affiancati, in volumi a più voci – nelle collane dell’editrice Queriniana, trasformata dalla lungimiranza di Rosino Gibellini (1926-2022) in uno spazio di confronto tra le voci più interessanti del rinnovamento teologico postconciliare. I loro contributi erano pure spesso al centro della ricerca condotta dalla rivista Concilium, in un fitto dialogo con autori diversi – dalla teologia della liberazione latinoamericana al primo emergere di voci asiatiche e africane – per un orizzonte davvero globale. Moltmann portava in tali spazi la sua lucidità di teologo riformato, testimoniando però al contempo di una curiosità per l’intera ecumene cristiana, ma anche per il pensiero laico e l’ebraismo.

Quest’ultima dimensione ha tra l’altro assunto un particolare rilievo in quella grande svolta che lo ha portato a riflettere teologicamente sul tema ambientale, specie a partire da Dio nella creazione. Dottrina ecologica della creazione. Un testo pionieristico che, ancora negli anni ’80, proponeva un ripensamento della realtà del Creatore alla luce della dottrina cabalistica dello tzim-tzum, per far fronte ai drammatici interrogativi posti alla teologia dalla crisi socio-ambientale. Tutta la sua produzione successiva è stata segnata poi da tale dimensione ecoteologica: che si trattasse di ripensare la cristologia o la pneumatologia, essa era ormai un’armonica imprescindibile del suo pensiero. E anche in questa fase molti sono stati i cattolici e le cattoliche – forse stavolta a livello internazionale, più che italiano – che da lui hanno tratto ispirazione; anche alcuni motivi oggi valorizzati da papa Francesco nell’Enciclica Laudato Si’ erano già presenti nella lucida riflessione moltmanniana.

Una svolta, dicevamo, ma nella continuità: a ispirare lo sguardo di Moltmann erano sempre la Croce e la speranza, di cui però egli coglieva adesso anche la dimensione cosmica. Così egli ha offerto una “teologia messianica della creazione”, in cui è lo stesso mondo donatoci a essere colto nella tensione tra un presente segnato dalla negatività e la bontà promessaci nello Spirito, secondo la prospettiva disegnata da Paolo in Rom. 8, 19-23. È il frutto di un pensiero fecondo, che ha saputo creativamente declinare l’ispirazione evangelica nel mutare di tempi e stagioni culturali.

Simone Morandini

direttore di Credere Oggi e vicedirettore dell’Istituto Ecumenico “San Bernardino” – Venezia

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