
La Calabria faceva parte dell’Impero bizantino fino all’XI secolo. Un monaco greco, San Giovanni Teresa, operò nella valle dello Stilaro durante il IX secolo. Il suo aghiasma (“fonte sacra”) divenne un famoso centro di pellegrinaggio locale, e qui un monastero bizantino fu fondato nell’XI secolo. Dopo la conquista normanna dell’Italia meridionale, si sviluppò come uno dei più importanti monasteri basiliani dell’Italia meridionale, mantenendo il suo splendore fino al XV secolo, con una ricca biblioteca e numerosi tesori d’arte.
Visse una fase di declino fino al 1579, quando la fondazione dell’Ordine Basiliano d’Italia lo restaurò come principale centro basiliano nella Calabria meridionale. Tuttavia, nel XVII secolo il brigantaggio danneggiò il monastero e i monaci decisero di trasferirsi in un monastero più grande fuori dalle mura di Stilo, portando con sé le reliquie dell’omonimo santo.
All’inizio del XIX secolo, dopo la conquista napoleonica del Regno delle Due Sicilie, fu acquistato dal comune di Bivongi, che lo vendette a dei proprietari privati. Nel 1980 fu rivenduto all’autorità comunale e, negli anni ’90, restaurato dall’ordine basiliano italiano. Nel 2001 il Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, visitò il monastero e restituì qui la reliquia del santo da Stilo.
Nel luglio 2008, il consiglio comunale di Bivongi ha concesso l’uso della chiesa per 99 anni alla nuova chiesa ortodossa rumena in Italia.
L’edificio è un esempio di transizione tra gli stili bizantino e normanno nell’architettura dell’Italia meridionale. Gli elementi normanni includono i quattro pilastri angolari chiusi da quattro archi, che sostengono la cupola, due dei quali sono ogivali. Chiaramente bizantino è l’esterno, in particolare nelle pareti esterne, nelle finte colonne dell’abside, che forma archi ogivali, e nelle 16 piccole colonne che decorano il tamburo della cupola. L’interno ospita anche tracce di affreschi bizantini, come quello raffigurante San Giovanni Theristis.
Per quelli che vogliono apprendere un po’ di piu informazioni sulla storia e crescita del monastero ortodosso di San Giovanni Theristis, questo link sarebbe di grande aiuto, mettendo di fatto in evidenza la bellezza di una picola e meravigliosa comunità monastica.
In ogni caso, si può dire che un tale monastero rappresenta senz’altro il cuore dell’identità monastica ortodossa che sta cominciando a trovare nouve radici in terra italiana, questa realtà essendo allo stesso tempo una vera ragione di orgoglio sopratutto per gli italiani convertiti all’Ortodossia.
Dall’altra parte, io devo ringraziare il mio caro amico e fratello, Marco Castellani, che mi ha parlato della sua conversione all’Ortodossia e che a breve diventerà il primo monaco ortodosso italiano. Ne sono onorato anche perché sono stato la prima persona fuori d’Italia a cui Marco ha voluto rivolgersi, parlando della sua entrata nella comunità monastica a Bivongi.
Di seguito, si può leggere anche la storia della sua conversione all’Ortodossia che mi ha dato all’inizio dell’anno 2018:
Intervista a Marco Simeone Castellani a cura di Tudor Petcu
Prima di parlare del modo in cui Lei ha incontrato e scoperto l’Ortodossia, mi piacerebbe che mi parlasse un po’ dell’eredità spirituale che ha ricevuto nel mondo cristiano in cui Lei è nato e cresciuto.
Sono nato e cresciuto a Roma in una famiglia cattolica e praticante e fin dalla mia giovinezza – insieme ai miei fratelli minori – sono stato educato ai principi della fede e dell’insegnamento cattolico.
Pur lavorando tutti e due, i miei genitori hanno sempre tenuto a trasmetterci il valore del “giorno del Signore” e quindi la domenica è sempre stato un momento di unità famigliare. La domenica mattina si andava tutti insieme in chiesa per la messa e il resto del giorno era condiviso nel riposo e nell’unità familiare. Anche i momenti del pasto erano sempre preceduti dalla benedizione della mensa che mio padre – come capo-famiglia – impartiva. E la sera si andava al riposo dopo un momento di preghiera. Nelle feste solenni poi (Santo Natale, Inizio d’Anno, Santa Pasqua) i momenti di festa erano sempre preceduti dall’ascolto delle parole del papa e dalla sua benedizione solenne. Questo momento – soprattutto per mio padre – era a dir poco sacro; secondo solo alla partecipazione alla messa solenne in chiesa.
Tutto questo ha da subito forgiato la mia vita ed educato la mia anima al rapporto con Dio. Mai ho percepito questo come un’obbligo o peggio una imposizione ma al contrario ho sperimentato da subito nella mia vita la presenza di Dio; costante, silenziosa ma reale!
All’età di 10 anni ho iniziato la mia preparazione per ricevere il Sacramento dell’eucarestia – o come dicono i cattolici – la “prima comunione”; e in quel contesto ho aderito definitivamente alla mia scelta di Dio, alla quale con tutti i miei limiti sono rimasto fedele per tutta la vita. Ho continuato perciò a frequentare la parrocchia e a rendermi disponibile prima al servizio all’altare come ministrante e poi – soprattutto dai 16 anni – come catechista per la preparazione al Sacramento della cresima degli adulti e del Santo Battesimo dei nuovi nati.
In questi anni ho sentito la necessità di attingere sempre più all’eredità spirituale della chiesa attraverso la lettura e l’approfondimento della P.d. D., della vita dei Santi, dei documenti conciliari; soprattutto il Vaticano II, e della liturgia come anche della conoscenza storica che mi portavano ad immergermi nella conoscenza della chiesa e della sua eredità. Sono stati anni per me di grande approfondimento, di grande riflessione e preghiera e di grande esperienza di Dio che ancora oggi – insieme all’eredità spirituale della mia famiglia – accompagnano il mio desiderio di servizio e di testimonianza nella chiesa di Dio.
Tenendo conto del suo percorso spirituale, potrebbe dirmi quale fu di fatto la ragione per cui Lei ha deciso di scegliere la conversione all’Ortodossia? Si potrebbe dire che la Chiesa Ortodossa ha conquistato subito il suo cuore e se sì, perché?
Io credo che non ci siano una o più ragioni per cui io abbia deciso di scegliere l’Ortodossìa. Sinceramente anche il termine “conversione” lo riconosco alquanto “stretto e forzato” guardando alla mia esperienza. Sono convinto che l’Ortodossìa non si scelga (o almeno non in un senso così assoluto) ma al contrario che all’Ortodossìa si “aderisca”. Ho sempre avuto profonda stima per la Chiesa orientale e soprattutto per il suo amore e il suo decoro – semplice e solenne nello stesso tempo – per la Divina Liturgia. Un amore e una passione di servizio e di testimonianza che nella Chiesa cattolica mi ha portato – dopo una lunga e impegnativa formazione – ad essere istituito nel 2004 Accolito per la Diocesi di Roma (equivalente all’Ipodiacono della Chiesa Ortodossa anche se con significative differenze di servizio).
Ma in effetti questa stima direi immediata e naturale verso l’Ortodossìa – ho preso coscienza negli anni – scaturiva innanzi tutto dalla fedeltà immutata dell’Ortodossìa ai Canoni Apostolici, ai Santi Concili, alle indicazioni dei Santi Padri. E’ pur vero che un particolare e per me drammatico episodio ha definitivamente messo fine alla “confusione interiore” che ormai mi accompagnava da alcuni anni. Mi riferisco alle dimissioni dal pontificato del papa Benedetto XVI nel 2013. Ero consapevole che nella storia della Chiesa cattolica si erano già verificati casi simili (anche se l’ultimo si rifaceva ormai a più di 600 anni prima con il papa Gregorio XII durante il cosiddetto “Scisma d’occidente”) ma questo avvenimento – per me così inspiegabile – ha suscitato in me una domanda ormai irrinunciabile: “esiste ancora la fede, la radice di questa mia fede? Esiste una realtà che mi testimoni “ininterrottamente” e nella verità la fede che professo e che non mi offra ogni giorno nuove dichiarazioni, nuove spiegazioni, nuove prese di posizione, nuovi adattamenti? In quel momento ho preso coscienza che la vera fede e la fonte del mio aderire a Cristo erano nella Santa Chiesa Ortodossa. Certo, detto così alle orecchie di un “nato ortodosso” può risultare persino banale; ma per me sinceramente cattolico ma inquieto e stordito da continui aggiornamenti e sperimentazioni in campo ecclesiale o peggio liturgico, risuonavano nella mia mente e nel mio cuore come ricordi di cose perdute sì ma non dimenticate!
Mi spiego meglio, se posso: per alcuni anni sono stato rappresentante dei catechisti nel Consiglio Pastorale Parrocchiale (un organismo elettivo presente nelle parrocchie cattoliche; espressione delle varie presenze nella comunità parrocchiale e di supporto al Parroco). Quando le discussioni su determinati argomenti da riformare o modificare si facevano “più calde”, spesso per mettermi a tacere qualcuno affermava a voce alta: “Va bene, lascialo perdere a Marco! Tanto lo sappiamo che è ortodosso!”. E’ evidente che in quel momento non mi si voleva certo fare un complimento, ma io poi nel tempo ho preso coscienza che era come se il Santo Spirito mi chiamasse a “tornare a casa!”. Ecco: Lei mi chiedeva all’inizio la “ragione” per cui ho deciso di scegliere l’Ortodossìa, ebbene non è stata tanto una ragione ma un prendere coscienza di potere – anzi di volere – “tornare a casa!”. Come il figliol prodigo (Lc. 15,11-24) che davanti alle carrube dei porci che sarebbe stato costretto a mangiare, si ricorda del cibo di casa sua – di casa di suo padre – che anche i servi condividono con lui e decide di tornare come l’ultimo dei servi. Ma il padre è ancora lì che scruta l’orizzonte e appena lo scorge in lontananza gli corre incontro, lo bacia e lo riveste della veste nuova; dando ordine di fare festa! E’ questa l’esperienza che ho vissuto e che da allora vivo ogni giorno “tornato a casa” nella Santa Chiesa Ortodossa. E il mio cuore è conquistato a Lui – Signore e Sovrano della mia vita – che su questo “figlio prodigo” ha riversato la Sua misericordia!
Le ho già domandato sul suo percorso di conversione all’Ortodossia, ma ora le chiedo di parlarmi sul suo percorso spierituale da quando Lei è diventato Ortodosso. Lei ha dovuto rinunciare all’uomo che era per diventare un uomo nuovo nella Chiesa Ortodossa?
A questa domanda mi permetta prima di risponderLe con le parole del Santo apostolo Paolo:
Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato.
Epistola di Paolo ai Romani cap. 6-6
Se si sceglie Gesù Cristo, il nostro “uomo vecchio” è di conseguenza condannato dalla morte redentrice di Cristo! Se si sceglie di far parte della Santa Chiesa di Dio si rinuncia alla propria volontà ma la propria personalità, il proprio carattere, la propria storia unica di uomo non vengono annullate, ma illuminate, trasformate!
Ecco: io non sento di avere rinunciato a nulla perché so di avere desiderato di scegliere Dio e seguire il Suo Vangelo. E per realizzare questo ho scelto di essere parte della Santa Chiesa Ortodossa. Vede, il mio percorso spirituale è molto “incarnato” (mi lasci passare questo termine) da quando sono nella Santa Chiesa Ortodossa!
Esso si sviluppa nel mio essere parte della Comunità parrocchiale di San Sebastiano a Pomezia (Roma), nel partecipare alla Divina Liturgia domenicale, nell’essere seguito, incoraggiato, corretto, amato dal mio Padre spirituale e Parroco; che è la “volontà di Dio” espressa per me. Ma sento il mio percorso spirituale anche nella preghiera personale o nella regola santa del digiuno che mi ha fatto scoprire e mi insegna quanto il mio corpo sia importante e amato da Dio e come insieme alla mia anima possa diventare offerta personale a Lui gradita! Per me il cammino spirituale è prendere coscienza ogni giorno del mio desiderio di Dio, ma anche accorgermi che Dio stesso desidera me: e in questo “cercarsi” reciprocamente io faccio sempre più esperienza di Chiesa. Ricordo che il mio Padre spirituale mi disse che sarei diventato ortodosso quando i fratelli mi avrebbero accettato. Ho pensato: “Ma non dovrebbe essere Dio ad accettarmi?” Poi ho capito: è la Santa Chiesa che – come una madre – ti genera a Lui e in questo tuo essere “uomo nuovo” realizza e rafforza il tuo rapporto personale con Lui. In questo è stato per me illuminante l’esperienza di San Simeone il Nuovo Teologo: conoscere e meditare i suoi scritti – uno su tutti L’INVOCAZIONE ALLO SPIRITO SANTO – mi hanno spalancato il cuore e la mente in un rinnovato cammino verso il paradiso.
Per questo motivo il giorno della mia adesione gioiosa alla Santa Chiesa Ortodossa ho desiderato aggiungere al mio nome di battesimo quello ortodosso di Simeone.
Da quel giorno non c’è più solo Marco, bensì Marco Simeone: sempre io con tutta la mia storia di uomo, ma anche un “uomo nuovo” che nulla di sé rinuncia o rinnega se non i suoi limiti e i suoi peccati. E comunque a qualunque cosa la Santa Chiesa Ortodossa mi inviterà a rinunciare, sarà per me un sicuro guadagno in Dio; sempre naturalmente nel rispetto della Santa legge di Dio e della Santa e immutata Tradizione.
Vista la sua conversione all’Ortodossia, come descriverebbe Lei infatti la conversione stessa? Dall’altra parte, si può dire dal suo punto di vista che la conversione sarebbe necessaria anche per le persone che sono natte nella Chiesa Ortodossa?
In parte credo di avere già risposto a questa domanda: comunque ribadisco il concetto.
Il termine “conversione” è spesso riferito a una persona che accorgendosi di stare camminando in una direzione sbagliata per la sua vita si ferma, volge il suo sguardo verso l’orizzonte opposto al quale si sta riferendo e vi si incammina. Se ci pensa, in fondo è esattamente l’esperienza che quotidianamente ognuno di noi fa nella sua vita.
Per me questo “cambiare il verso del mio andare” non solo diventa esperienza di vita ma mi permette di incontrare Gesù Cristo anche se – come i discepoli di Emmaus – magari all’inizio non mi rendo conto che questo incontro è avvenuto e solo il Suo amore mi permette di riconoscerlo!
Lei mi chiede se “la conversione sarebbe necessaria anche per le persone che sono nate nella Chiesa Ortodossa”. Le rispondo: chi sono io per dire chi ha necessità di convertirsi o meno?! Ma allo stesso tempo, ogni cristiano – io per primo – è chiamato alla conversione!
“Convertitevi, il Regno dei cieli è vicino!” ci ricorda Gesù all’inizio del Suo ministero! (Mt. 3, 1-2). Se il mio camminare non si rivolge a Lui, mi capiterà magari di ascoltare le Sue parole, ma non di riconoscere la Sua voce!
Ho sempre sentito dire che l’Ortodossia esiste solo in Cristo e attraverso Cristo, ma quali sarebbero i suoi argomenti per l’affermazione secondo cui la Chiesa Ortodossa è davvero la Chiesa di Gesù Cristo?
Secondo me la risposta a questa Sua domanda è nella domanda stessa. La Santa Chiesa Ortodossa è davvero la Chiesa di Gesù Cristo in virtù della sua fedeltà immutata e retta agli insegnamenti di Cristo stesso. La mia esperienza può parlare di questo: io provengo e sono cresciuto in una realtà di chiesa che – al contrario – mettendo tutto e sempre in aggiornamento, per non dire in discussione, ha perso poco a poco il fondamento stesso del suo esistere.
Non chiunque mi dice Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli; ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”
Mt. 7,21
Io insieme ai miei fratelli e sorelle ortodossi siamo davvero la Santa Chiesa Ortodossa sei impegniamo ogni momento della vita alla sequela di Cristo; nella fedeltà alla Tradizione apostolica e ai Santi Canoni e Concili così come la Santa Chiesa ci invita a fare e testimoniare, uniti ai nostri Vescovi e insieme ai nostri Padri spirituali.
Ma la fedeltà non è da noi: io ogni giorno invoco il Santo Spirito affinché mi renda fedele a Dio e alla Sua Santa Chiesa.
E sì, solo in Cristo esiste l’Ortodossìa: perché la Verità è Gesù Cristo!
Se volessi conoscere meglio il patrimonio ortodossa d’Italia, quali sarebbero i principali aspetti che Lei mi presenterebbe?
Io immagino che Lei da me si aspetti magari una risposta di tipo storico sulla presenza del patrimonio ortodosso in Italia; ma sono convinto che oggi questo patrimonio siano gli ortodossi italiani stessi e più in generale tutti quegli occidentali che hanno abbracciato la fede ortodossa: il mio Padre spirituale e Parroco della Parrocchia ortodossa di San Sebastiano a Pomezia (Roma), italiano e prete ortodosso che ogni giorno e ogni domenica è “occasione d’incontro” fra i fratelli e sorelle rumeni e noi italiani; affinché non ci siamo più “né rumeni né italiani” ma tutti “una sola cosa” in Cristo! Oppure quei fratelli e sorelle – anche italiani – che la domenica attraverso il canto rendono servizio alla celebrazione dei Santi Misteri. E ancora tutti quei fratelli e sorelle italiani che nello svolgimento del loro quotidiano lavoro durante il periodo del Santo digiuno, con ferma gentilezza e serenità testimoniano una pratica di fede che l’occidente sazio non conosce e magari non capisce; rendendo testimonianza con la loro vita.
Ma anche – e non certo da ultimo – alle nuove realtà monastiche (penso per esempio al Monastero di Bivongi in Calabria) che in silenzio e umiltà – come un seme nascosto nella terra – si impegnano e operano attraverso la testimonianza della vita monastica e della eredità millenaria dei Padri del deserto, primo fra tutti Santo Antonio Abate.
In verità questa presenza è ancora soprattutto rumena nei suoi protagonisti, ma certamente si sta cercando sempre più di radicarla e renderla feconda nella nostra realtà italiana.
Insomma il patrimonio ortodosso dell’Italia sono tutte quelle realtà ortodosse che sono presenti sul territorio della nostra Nazione e che come “lievito che fa fermentare la pasta” offre ogni giorno di più le ricchezze e la profondità dell’Ortodossìa come dono di salvezza per ogni uomo.