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La Chiesa non è folla da manipolare ma Popolo di Dio
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Tutte le letture di oggi hanno come tema il nuovo popolo di Dio. Dopo gli episodi del post-risurrezione, che già ci proiettavano nell’esperienza della presenza del Risorto nel tempo della Chiesa, la Parola di Dio ci dice che non si è cristiani da soli ma dentro l’appartenenza ad una comunità fatta di uomini e donne di tutto il mondo. E ogni lettura aggiunge qualcosa per delineare meglio la Chiesa.
Gli atti degli apostoli ci narrano il momento in cui, ad Antiochia in Pisìdia Paolo e Barnaba prendono la decisione, spinti dall’invidia e dall’opposizione dei capi religiosi giudei per il loro successo presso i loro connazionali, di non limitare l’annuncio al popolo ebraico ma di aprire ai pagani, cioè a tutti i popoli. Ciò è particolarmente attuale oggi, dove spesso si riduce il cristianesimo, o alcuni suoi elementi, a bandiera identitaria di una o più nazioni o aree geografiche da utilizzare contro altri o da utilizzare per manipolare e ottenere consenso. O addirittura per disprezzare altri popoli e culture o scatenare guerre. È urgente allora riaffermare, e ancor più testimoniare, l’universalità del cristianesimo e della Chiesa che, in ogni sua forma e confessione, deve essere caratterizzata dalla cattolicità, che significa “di tutto il mondo”. Ciò che ci tiene assieme supera ogni confine, ogni differenza e ogni interesse: «Non c’è giudeo, né greco; non c’è schiavo o libero; non c’è più uomo o donna, poiché siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).
Il libro dell’Apocalisse ci rivela che nella storia cammina una moltitudine immensa «di ogni nazione, tribù, popolo e lingua». Sono i martiri che hanno testimoniato e combattuto senza armi per Cristo e per la sua pace, i perseguitati e gli scartati per ogni tipo di ragion di stato e interesse dettati dal potere, coloro che hanno pagato di persona perché il Regno di Dio maturasse. E che, nonostante ciò che sembra, hanno vinto sui violenti, sui cinici, sui potenti.
Infine il vangelo secondo Giovanni, attraverso l’immagine del vero pastore e delle pecore, torna sul fondamento di questo Popolo di Dio: la Chiesa esiste perché convocata, riunita e accudita da Gesù. L’immagine non ha al centro le pecore come modello del cristiano, ma l’azione “pastorale” di Gesù che dà origine alla comunità. A tal proposito le attività parrocchiali, identificate appunto dal termine “pastorale”, non dovrebbero essere altro che il mezzo o il canale attraverso cui Gesù convoca, tiene assieme e si prende cura del popolo di Dio, non limitato da confini o differenze di nazione, di cultura, di lingua.
“La pace sia con tutti voi!”. Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo risorto, il buon pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio. Anche io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, tutte le persone, ovunque siano, tutti i popoli, tutta la Terra. La pace sia con voi. Questa è la pace di Cristo risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio. Dio che ci ama tutti, incondizionatamente.
Papa Leone XIV