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Due sacerdoti molto diversi tra loro (don Giovanni Berti, giovane, del nord, parroco a Moniga del Garda-BS noto per le sue vignette a firma GIOBA e padre Felice Scalia, gesuita dal 1947 , autore di nomerosi libri, insegnante per molti anni alla facoltà teologica dell’Italia meridionale e all’Istituto Superiore di Scienze umane e religiose di Messina, città in cui vive ed opera attivamente) rispondono in maniera diversa nella forma, ma identica nella sostanza alla vergognosa scritta sul portone d’ingresso dell’abitazione del figlio della staffetta partigiana Lidia Rolfi con la scritta nazista “Juden Hier”, qui ebrei, e la stella di David.
Post di Don Giovanni Berti (25/01/2020)
io sono l’uomo
sono l’ebreo
sono il piccolo
sono il povero
sono il discriminato
sono il malato
sono lo straniero
sono la vedova
sono l’orfano
sono il carcerato
sono l’affamato
sono la peccatrice
sono ogni uomo e donna
sono te…
io sono Gesù …(fonte: Bacheca di don Giovanni Berti)
Il manifesto di Padre Felice Scalia (Chiesa di S. Maria della Scala, Messina)
“Qui abita un Giudeo, Gesù di Betlemme di Giudea”. E a seguire le parole “Juden hier”, qui abita un ebreo appunto, e una stella di David come quelle usate dai nazisti per identificare gli ebrei.
E’ con questo manifesto esposto davanti alla Chiesa di S. Maria della Scala PP. Gesuiti che il gesuita Padre Felice Scalia, ha voluto esprimere il profondo sdegno e denunciare la gravità del gesto per la vergognosa scritta antisemita comparsa due giorni fa a Mondovì, in provincia di Cuneo. Sulla porta dell’abitazione di Lidia Beccaria Rolfi, morta nel 1996, staffetta partigiana, deportata a Ravensbruck come politica, ma testimone dell’Olocausto, qualcuno ha pensato di vergare le parole “Juden hier”, qui abita un ebreo, e una stella di David.
Una frase che riecheggia quelle usate dai nazisti durante i rastrellamenti, in Italia quanto in Germania, per deportare gli ebrei.
“Noi cattolici, o comunque occidentali, che abbiamo perseguitato gli ebrei – precisa padre Scalia – abbiamo dimenticato che nelle chiese abita un Ebreo, che noi dobbiamo molto agli ebrei: dobbiamo la Legge e Gesù stesso di “razza” e religione ebraica. Ciò che per i trascurati cristiano-fascisti è un insulto, per i cristiani dovrebbe essere un merito, una ricchezza. Per protestare contro questa falsificazione della verità, in ogni chiesa si dovrebbe scrivere “Qui abita un Ebreo”. Oppure: “Qui, un ebreo e amici degli degli ebrei, nostri Padri nella fede.”
“Hitler, Mussolini ed i loro seguaci non sono antiebraici ma semplicemente razzisti, affamati di potere e dunque di menzogne. Con questo – conclude il gesuita – non confondo il popolo ebraico con i suoi attuali capi politici. Tanti di quelli sono stati sionisti e dunque, alla fine, razzisti”.
(STAMPA LIBERA, articolo di Enrico Di Giacomo 26/01/2020)
Il cartello di don Ruggero Martini (chiesa di San Giacomo, La Loggia, Torino)
«Juden Hier. Qui abita un ebreo, Gesù». Il cartello ieri è comparso sulla porta di legno d’ingresso della chiesa della parrocchia «San Giacomo» di La Loggia, nel Torinese. Ad appenderlo il parroco, Don Ruggero Marini, dopo i fatti di cronaca dei giorni scorsi avvenuti a Mondovì, dove in tedesco era stato scritto «Qui abita un ebreo» sulla casa del figlio di una ex deportata, Lidia Rolfi, e a Torino dove invece la scritta «Crepa sporca ebrea» è comparsa sull’abitazione di Maria Bigliani, figlia di una ex partigiana. Gesti che non sono piaciuti a Don Ruggero, sacerdote e da anni guida in Terra Santa. «L’Olocausto si affronta con troppa leggerezza – spiega il parroco —. Ci vuole memoria ogni giorno… perché il “mai più” non sia uno slogan ma un impegno». Per questo motivo ha deciso di rispondere alle offese. «Ne avevo affisso uno anche martedì. Ma qualcuno l’ha strappato — chiosa il sacerdote—. Non mi sono lasciato intimorire. L’ho rimesso. I giovani non conoscono la storia. Ora sono costretti a passare davanti al portone. Leggere il cartello. Farsi delle domande». La chiesa si trova infatti a metà strada tra la scuola elementare e la scuola media. «Le maestre mi hanno promesso affronteranno l’argomento in classe — spiega Don Ruggero —. Era quello che mi premeva di più: scuotere le coscienze. Sono stato allievo a Mondovì di Lidia Rolfi, scrittrice e partigiana deportata a Ravensbruck. Già 42 anni fa mi ha insegnato l’importanza della memoria. Da lei ho imparato anche il coraggio di affrontare ogni imprevisto». Non usa mezzi termini il sacerdote. Anche se si tratta di prendere una posizione. Lo aveva fatto nel 2016 quando, per opporsi ai festeggiamenti di Halloween, fece suonare le campane per tutta la notte. O ancora quando, l’anno dopo, aveva chiesto a una mamma di un politico di allontanarsi dall’attività parrocchiali per «recuperare serenità e pace». Anche questa volta ha scelto un modo forte per rispondere, spazzando via ogni equivoco. «L’antisemitismo, in tutte le sue forme, ha prodotto tragedie che dobbiamo condannare — conclude —. Dire che la chiesa è la casa di Gesù ebreo significa trasformare il dolore in un evento sacramentale. Volevo lanciare un segnale anche a quei leader politici che, parlando alle nuove generazioni, forniscono una lettura bieca della storia. I giovani hanno bisogno di conoscere. Perché solo la conoscenza rende liberi».