“L’autoironia di Giovanni XXIII” di Pier Paolo Pasolini

Proponiamo un brano di Pier Paolo Pasolini su papa Giovanni XXIII, pronunciato durante la conferenza-dibattito “Marxismo e cristianesimo” svoltosi a Brescia il 13 dicembre 1964 e pubblicato per Liberal – Atlantide editoriale nella raccolta Pier Paolo Pasolini, Interviste Corsare. Sulla politica e sulla vita 1955-1975, a cura di Michele Gulinucci. Pasolini, quì a due anni dall’uscita del suo film “il Vangelo secondo Matteo” a cui aveva posto come dedica le parole «Alla cara, lieta e familiare memoria di Giovanni XXIII», tratta il tema del dialogo tra marxismo e cristianesimo. Dopo una prima parte dedicata ad una analisi della crisi culturale e sociale italiana a partire dai cambiamenti della lingua italiana e subito prima delle domande, l’intellettuale di origine friulana parla dell’ironia e dell’autoironia del pontefice morto l’anno prima, proponendole come rivoluzionario atto culturale.

In questo momento di vuoto culturale, di giro a vuoto della cultura italiana e della letteratura italiana, in questo imporsi caotico e irrefrenabile di movimenti avanguardisti, completamente anarchici, che si pongono contro la lingua, in quanto si pongono contro ogni valore, in questo momento io credo che ci sia stato un solo fatto positivo nell’ambito della cultura italiana, la figura di Giovanni XXIII, che è sorta ed ha operato proprio in quegli anni.

Ora, perché a me sembra che Giovanni XXIII sia stato un punto così importante della nostra esperienza culturale? Non certamente perché si tratta di un Papa buono, di un Papa angelico, di un Papa santo.

Se le cose stessero così, la sua apparizione sarebbe stata soltanto una apparizione; e dal momento in cui una apparizione scompare, non ha più senso, è un bel ricordo. Papa Giovanni non è stato semplicemente un buon Papa, una apparizione angelica, nella nostra società e nella nostra storia. È stato qualche cosa di molto più profondo, di definitivo, secondo me, perché Papa Giovanni è stato il primo uomo della Chiesa, a livello supremo (prima di lui ce ne saranno stati anche degli altri, umili parroci, umili preti) che abbia condotto la Chiesa a vivere al massimo livello l’esperienza laica e democratica del nostro ultimo secolo. A vivere cioè quello che la borghesia ha dato di meglio, dalla rivoluzione francese in poi.

Dico che Giovanni XXIII ha vissuto questa esperienza storica in maniera completamente intuitiva: non credo che abbia mai espresso e testimoniato in maniera direttamente critica questo fatto. L’ha vissuto indirettamente, l’ha vissuto nel suo esempio, nel suo presentarsi, nella sua fisicità, vorrei dire nel suo sorriso. Quindi noi lo deduciamo attraverso la sua azione e attraverso alcuni suoi detti marginali, per esempio i suoi motti di spirito. A me appunto, come linguista e come stilista, interessa molto partire sempre dai dati concreti, come sono i dati linguistici. Se voi osservate un momento i ‘motti di spirito’ di Giovanni XXIII, vedete che sono caratterizzati da uno spirito completamente nuovo, vorrei dire da uno spirito genericamente manzoniano, da una semplicità manzoniana: e voi sapete la posizione progressista e dialettica che ha avuto il Manzoni rispetto al cattolicesimo, i suoi riferimenti con la cultura europea, con il giansenismo, ecc.

C’è dunque questo fondo di semplicità, di humour manzoniano. E poi c’è tutto un modo di esprimersi, di dire e di essere che è tipico dell’uomo colto, estremamente colto, ad alto livello borghese. Un fatto nuovo nella Chiesa, l’humour, l’ironia. Ma questo humour di Papa Giovanni, questa sua ironia, presenta un fenomeno estremamente nuovo. Quasi sempre l’ironia colta del professore di università borghese, o del grande giornalista (pensiamo, tanto per fare un esempio, a un articolo del Mondo o dell’Espresso, che sono i prodotti della borghesia più avanzata) è esercitata sugli altri, sulla società, sul costume, mai su se stessi. L’humour di Papa Giovanni aveva questa caratteristica assolutamente poetica, nuova, quella di essere esercitata sugli altri (ha chiamato per esempio il futuro Paolo VI il ‘nostro eminentissimo Amleto’), ma anche su se stesso, soprattutto su se stesso. Quando stava per morire diceva «Ho le valigie prontissime»; riduceva un fatto così enorme, così tremendo come la morte, ad un motto di spirito da professore universitario borghese, e sorrideva di se stesso, di questo povero uomo che ha le sue valigie pronte per andare nell’aldilà.

Papa Giovanni sorrideva di se stesso in quanto Papa. L’avrete notato quante volte faceva capire che tutto di lui era oggetto di ironia, della propria ironia; le tiare, il seggio su cui lo portavano, l’ufficialità, ecc., erano continuamente oggetto di una sua dolce continua ironia. In un certo senso Giovanni XXIII compiva l’atto profondamente, altamente democratico di sorridere di se stesso in quanto autorità.

Pier Paolo Pasolini

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