«La fraternità cristiana non è un ideale, ma una realtà divina» – di Dietrich Bonhoeffer

«Paradossalmente, dobbiamo ringraziare la Gestapo se Bonhoeffer ha scritto Vita comune. Infatti la polizia segreta, alla fine di settembre del 1937, aveva chiuso, insieme ad altri istituti della chiesa confessante, anche il «seminario per predicatori» e la fraternità di Finkenwalde, diretti da Dietrich Bonhoeffer, nel cui ambito un gruppo di pastori alle prime armi aveva cercato di praticare una «vita comune». In questo modo aveva indotto Bonhoeffer a mettere per iscritto le sue idee circa la vita di una comunità cristiana» (prefazione dei curatori al vol. 5 dell’Edizione critica delle Opere di Dietrich Bonhoeffer). Il pastore Bonhoeffer scrisse Vita comune nell’estate del 1938 e lo pubblicò l’anno dopo. Ne proponiamo alcuni brani.

«Quanto all’amore fraterno, non c’è bisogno di scrivervi, perché voi stessi avete imparato da Dio ad amarvi scambievolmente … Ma noi vi esortiamo, o fratelli, ad abbondare ancora di più» (1 Ts 4,9s.). Dio in persona si è incaricato di istruirci sull’amore fraterno; tutto quello che gli uomini possono aggiungere in materia è il ricordo di quell’insegnamento divino e l’esortazione ad applicarvisi di più. Nel momento in cui Dio ha rivolto a noi la sua misericordia, rivelandoci Gesù Cristo come fratello e conquistando il nostro cuore con il suo amore, allora è iniziato anche l’insegnamento all’amore fraterno. Dalla misericordia di Dio verso di noi abbiamo potuto apprendere la misericordia nei confronti dei nostri fratelli. Nel ricevere perdono, anziché incorrere nel giudizio, siamo stati resi pronti al perdono dei fratelli. Ciò che Dio ha fatto per noi, ora lo dobbiamo ai fratelli. La nostra capacità di dare è proporzionale a quanto abbiamo ricevuto; tanto più povero risulta il nostro amore per i fratelli, tanto meno evidentemente siamo vissuti della misericordia e dell’amore di Dio. E Dio stesso ad averci insegnato ad incontrarci, allo stesso modo in cui egli ci ha incontrato in Cristo. «Accoglietevi dunque gli uni gli altri, così come Cristo ha accolto voi, per la gloria d’Iddio» (Rm 15,7).

E da questa fonte che colui che Dio ha messo nella situazione di vita comune con altri cristiani può apprendere che cosa significhi avere fratelli. «Fratelli nel Signore» è l’appellativo che Paolo rivolge alla sua comunità (Fil 1,14). Solo per mezzo di Gesù Cristo si è fratelli. Sono fratello dell’altro solo per ciò che Gesù Cristo ha fatto per me e in me; l’altro mi è divenuto fratello per ciò che Gesù Cristo ha fatto per lui e in lui. Solo per mezzo di Cristo siamo fratelli: questo è un fatto di incommensurabile importanza. Il fratello con cui ho a che fare nella comunità non è l’altro che mi si fa incontro nella sua serietà, nella ricerca di fraternità, nella devozione, ma è l’altro che è stato redento da Cristo, che è stato liberato dal peccato e chiamato alla fede e alla vita eterna. La nostra comunione non può motivarsi in base a ciò che un cristiano è in se stesso, alla sua interiorità e devozione; viceversa, per la nostra fraternità è determinante ciò che si è a partire da Cristo. La nostra comunione consiste solo in ciò che Cristo ha compiuto in ambedue, in me e nell’altro, e questo non vale solo per l’inizio, come se poi, nel corso del tempo, si aggiungesse ancora qualcosa a questa nostra comunione, ma resta per sempre, nel futuro e nell’eternità. Solo per mezzo di Cristo c’è e ci sarà comunione tra me e l’altro. Via via che la comunione si fa più autentica e più profonda, scompare tutto ciò che si frappone ad essa, e risulta con sempre maggior chiarezza e purezza l’unica cosa che la rende viva tra di noi: Gesù Cristo e la sua opera. Solo per mezzo di Cristo apparteniamo gli uni agli altri, ma grazie a questo mediatore l’appartenenza è effettiva, integrale, per tutta l’eternità.

Vien così eliminata a priori ogni confusa aspirazione a un di più. Chi vuol aver più di quanto Cristo ha stabilito fra di noi, non vuole fraternità cristiana, ma cerca qualche sensazionale esperienza di comunione, altrimenti negatagli, immette nella fraternità cristiana desideri confusi e impuri. E questo il punto in cui la fraternità cristiana, il più delle volte già nell’atto del suo costituirsi, corre in massimo grado il pericolo del più sottile inquinamento, nello scambio della fraternità cristiana con un ideale di comunità di devoti; nella mescolanza del naturale desiderio di comunione che nasce dal cuore devoto con la realtà spirituale della fraternità cristiana. Perché si abbia la fraternità cristiana, tutto dipende da una sola cosa, che deve esser chiara fin da principio: primo, la fraternità cristiana non è un ideale, ma una realtà divina; secondo, la fraternità cristiana è una realtà pneumatica, non della psiche.

Lascia un commento