da Vinonuovo.it, «vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi» (Lc 6,36).
Già diversi commentatori hanno ricordato che il nome scelto dal cardinale Prevost dopo l’elezione a vescovo di Roma e a guida della Chiesa cattolica ci rimanda all’insegnamento del suo predecessore Leone XIII. Come sappiamo, a cavallo tra il XIX e il XX secolo e in un clima culturale assai diverso dal nostro, Papa Pecci avviò il magistero sociale della Chiesa nel 1891 attraverso la pubblicazione dell’enciclica Rerum novarum.
Da sempre il mondo cattolico attento alle dinamiche e all’impegno sociale e politico riconosce questo documento come una pietra miliare per dare senso e forma alla propria opera nel mondo a favore degli uomini e delle donne. Tuttavia c’è da precisare che mediante l’annuncio della Parola di Dio, la comunità dei discepoli di Cristo promuove da sempre il pieno svelamento dell’umano e quindi pratiche di cura e di sostegno tese alla ricerca del bene comune. Dai padri della Chiesa ai santi della carità, dai regnanti cristiani ai missionari del Vangelo, la testimonianza dei credenti ha rivelato l’intrinseca dimensione sociale dell’annuncio del Regno di Dio. La fede, infatti, non conduce ad un sapere astratto tanto nozionale quanto dottrinale bensì ad un saper essere, fare e vivere che spinge all’impegno nella storia. Così se è vero che la missione della Chiesa non è di ordine politico, economico e sociale è ancora più vero che la rivelazione cristiana ha una caratteristica che conduce – nelle situazioni storiche e culturali che mutano continuamente – ad un’azione di solidarietà, giustizia, libertà e pace.
Alla luce dei repentini mutamenti sociali, politici e culturali, il Concilio Vaticano II decise di evitare l’espressione “dottrina sociale” per non legare l’immutabilità dell’approccio dottrinale alla fugacità dei cambiamenti della storia umana. Così oggi, come ha sapientemente insegnato padre Bartolomeo Sorge, sembra più opportuno parlare di discorso o di insegnamento sociale della Chiesa. Ciò è comprovato proprio dalla rilettura che, attraverso le lenti del XXI secolo, facciamo della Rerum novarum di Leone XIII.
Assediata dalla modernità, la Chiesa di fine Ottocento appariva come una città circondata pronta a difendersi attraverso scomuniche e censure all’impegno politico dei laici all’interno delle nascenti istituzioni degli Stati moderni. Leone XIII ripensa la presenza della Chiesa a partire dalla questione sociale sorta dagli effetti nefasti della prima ondata di industrializzazione. Nella dura critica al liberalismo e al marxismo, Papa Pecci avanzava tre principi che risultano ancora attuali: tutela della dignità umana e del lavoro dell’uomo; dimensione etica dell’economia; finalismo delle istituzioni statali e politiche volto alla ricerca del bene comune. Nell’alveo culturale ed ecclesiale dell’epoca, questi principi diedero sostanza ad una vera e propria “ideologia cattolica” che, al pari di una terza via, si presentava alternativa tanto al liberalismo quanto al marxismo. Come non pochi studiosi hanno fatto notare, l’impianto dell’enciclica è radicato nel costrutto culturale di una cristianità da difendere e in un’ecclesiologia secondo la quale le mediazioni circa le “cose nuove del mondo” spettavano alla gerarchia che, all’occorrenza, si serviva dei laici.
Il Concilio Vaticano II, il magistero dei papi del XX secolo e gli sviluppi del secolo breve ma intenso che è stato il Novecento hanno ampliamente superato l’alveo culturale e teologico-pastorale nel quale è sorta la Rerum novarum. Nonostante ciò, e per via di una continuità da interpretare tenuto conto delle diversità dei periodi storici, rileggere gli insegnamenti di papa Pecci durante il pontificato di Leone XIV appare un’opera saggia. La Chiesa odierna non è assediata da alcunché, non è chiamata a sviluppare ed imporre una corrente ideologica alternativa a quelle diffuse nel mondo e non si pensa più al pari di una piramide assolutistica dove alcuni hanno più dignità di altri per via del ministero svolto. La Chiesa, invece, nell’annuncio del Regno di Dio è invitata a mettersi a servizio dell’uomo. Pertanto riaffermare e rielaborare la dignità umana nel mondo del lavoro, la dimensione etica dell’economia e il finalismo delle istituzioni rivolto alla ricerca del bene comune risultano principi rilevanti per vivere da credenti nell’attuale globalità contraddistinta da sviluppi tecnologici e mutamenti istituzionali. In tal modo, sin dalla scelta del nome da pontefice, Leone XIV ci invita ad un modo peculiare di vivere il messaggio evangelico nel nostro tempo.
Rocco Gumina