Nessuno che impari a pensare può tornare a obbedire come faceva prima, non per spirito ribelle, ma per l’abitudine ormai acquisita di mettere in dubbio ed esaminare ogni cosa.
Hannah Arendt
Hannah Arendt ci offre qui una chiave essenziale anche per una lettura autenticamente cristiana del rapporto tra fede e coscienza. La fede, infatti, non è mai chiamata ad essere cieca obbedienza, ma incontro personale, ricerca sincera, ascolto profondo. E proprio per questo, non può rinunciare al pensiero.
Chi impara a pensare nella luce del Vangelo, chi lascia che la Parola di Dio interroghi la vita e non solo la confermi, non può più limitarsi a obbedire per abitudine o per paura. Non è lo spirito ribelle a guidare questa trasformazione, ma il desiderio di una verità che non si accontenta di formule ripetute, di precetti applicati meccanicamente, di gerarchie non interrogate. È il desiderio, profondo e spirituale, di una fede adulta, fondata sulla coscienza e non sulla delega.
Gesù stesso ci ha mostrato questa via. Ha pensato, ha interrogato la Legge, ha messo in discussione le interpretazioni religiose del suo tempo, ha scandalizzato i benpensanti e ha restituito il volto autentico del Padre a chi era oppresso da regole senza misericordia. Non ha obbedito alle convenzioni religiose del suo tempo, ma ha obbedito alla volontà del Padre, che è sempre amore, giustizia, libertà. E in questa obbedienza libera, pensata, sofferta, ha tracciato il cammino del discepolo.
Pensare, nella fede, è atto di fedeltà. È lasciarsi inquietare dallo Spirito, che – come ci insegna il Concilio Vaticano II– “guida la Chiesa alla verità tutta intera” (Dei Verbum) e dunque non si ferma mai, non si accontenta, non si adagia. Una comunità di credenti che pensa è una Chiesa viva, capace di ascoltare i segni dei tempi, di riconoscere le domande nuove, di discernere tra ciò che viene da Dio e ciò che viene dagli uomini, anche se travestito da “sacro”.
La coscienza credente, formata e illuminata dalla Parola, dallo Spirito e dal confronto con la realtà, non può più obbedire come faceva prima. Non può accettare ogni decisione solo perché viene dall’alto. Non può giustificare il male in nome dell’ubbidienza. Non può tacere davanti all’ingiustizia. La vera obbedienza cristiana è quella di chi ascolta, discerne, e sceglie con responsabilità.
Il pensiero critico, dunque, non è nemico della fede. Al contrario, è suo alleato. Non c’è amore autentico senza libertà, e non c’è libertà senza coscienza pensante. Un cristiano che pensa non si ribella alla Chiesa, ma la ama fino in fondo: la ama come corpo vivo, non come istituzione irrigidita. E sa che il Vangelo è sempre più grande delle sue forme storiche.
Imparare a pensare nella fede è imparare a obbedire davvero, come Maria che ascolta e custodisce tutto nel cuore, come i profeti che parlano a nome di Dio anche quando tutto li contraddice, come i martiri che dicono “no” alle logiche del potere per dire un “sì” radicale a Cristo.
E allora, anche nella vita spirituale, vale la parola di Arendt: una volta che si impara a pensare, non si può più tornare indietro. Perché chi ha incontrato la verità, non può più accontentarsi dell’obbedienza passiva. Obbedisce ancora, ma in modo nuovo: con il cuore, con la mente, con tutta la propria libertà.
Gianni Urso
pubblicato sulla pagina facebook “La Chiesa che vorrei”