Una piccola prospettiva filosofica sulla personalità di Martin Lutero

Di Martin Lutero sappiamo che fu l’iniziatore della prima grande Riforma protestante in Europa, sebbene la sua intenzione non fosse necessariamente quella di fondare un’altra chiesa al di fuori della Chiesa cattolica romana. Il fatto che nel 1517 esponesse le sue 95 tesi sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg non solo portò alla nascita di un nuovo movimento cristiano che si oppose al cattolicesimo dominante in Europa, ma soprattutto alla presa della libertà di coscienza, mentre venivano messi in discussione questioni fondamentali di moralità e fede.

E uno di questi problemi riguarda la grazia che un semplice credente può avere, non solo il vescovo di Roma. In altre parole, Dio lavora nella coscienza di ogni uomo, il che significa che chiunque può avere una relazione aperta e stretta con Dio sulla base della Scrittura, senza la necessità di un mediatore.

In che modo Martin Lutero dovrebbe comprendere questa sfumatura da una prospettiva filosofica? Ovviamente, consideriamo l’orizzonte della libertà individuale, cioè la possibilità di esercitare il libero arbitrio sulla base dei propri poteri di giudizio. Possiamo parlare di una certa ragione pratica in senso luterano fintanto che l’uomo è dotato di tutte le capacità necessarie per dedurre logicamente ed epistemicamente il mistero scritturale, la rivelazione gioca un ruolo speciale. In altre parole, la ragione diventa vera ragione solo se è illuminata e guidata dalla rivelazione, altrimenti il ​​discernimento della comprensione e del giudizio è infondato, debole e insignificante perché si basa solo sulla conoscenza quotidiana, quindi superficiale. Da queste analisi, ci rendiamo conto che una delle possibili dimensioni filosofiche della personalità di Martin Lutero riguarda il divenire della ragione attraverso la rivelazione. Senza rivelazione, la ragione non può essere chiara in materia di fede.

Ovviamente, le analisi di Martin Lutero sull’idea di grazia e ragione sono state sviluppate in molti altri scritti come “Sulla cattività babilonese della Chiesa” o gli Articoli di Schmalkalden (sintesi di dottrina luterana, scritta da Martin Lutero nel dicembre 1536, per una riunione della Lega di Smalcalda del febbraio 1537 ndr).

Un altro concetto chiave che svolge un ruolo essenziale nell’affrontare il noto riformatore tedesco è l’adiaphora, la possibilità di agire a piacimento. Sebbene l’adiafora sia un concetto teologico estremamente importante per la maggior parte delle confessioni cristiane, è ancora meglio catturato nella teologia di Martin Lutero perché attribuisce particolare importanza ad esso. Per adiafora intendiamo quelle pratiche che non sono né respinte né approvate nella Scrittura, l’individuo stesso ha l’opportunità di scegliere a suo piacimento. Notiamo che ci incontriamo di nuovo con la libertà di coscienza nel mondo delle idee luterane, ma una coscienza che acquisisce la sua libertà solo in, attraverso e con Cristo. Altrimenti, la coscienza è qualcosa di privo di valore, lontano dalla verità e dalla conoscenza. Una consapevolezza al di fuori dell’orizzonte scritturale non può essere responsabile, morale, quindi razionale. Alla fine, una coscienza caduta dal tempo, così come la natura dell’uomo è il risultato del peccato originale con cui è nato.

Toccando il problema del peccato, tenendo conto del ruolo svolto da Agostino di Ippona nel plasmare il pensiero di Martin Lutero, arriviamo in un’altra direzione estremamente provocatoria, vale a dire l’attaccamento dell’uomo al peccato, che il primo riformatore protestante chiama concupiscenza. Siamo nati nel peccato, diventiamo secondo il peccato, viviamo permanentemente con il peccato e amiamo il peccato inclusa l’incoscienza. Secondo la visione di Martin Lutero, siamo totalmente dipendenti dal peccato, è una conseguenza logica della nostra natura e si nasconde anche nelle buone azioni che proviamo a fare. Dobbiamo affrontare una morale alterata e difettosa in sé, non solo imperfetta, indipendentemente dalla qualità degli atti con cui vogliamo definirci durante la nostra vita.  Entrando nell’antropologia sviluppata da Martin Lutero, comprendiamo che l’uomo è immorale per natura, una coscienza profondamente irresponsabile, con un pensiero fragile e insufficiente. Ad un certo punto, lo stesso Jakob Böhme ha affermato che Martin Lutero fu il primo a capire veramente l’uomo.

Ma, facendo una piccola parentesi, possiamo chiederci qual è la ragione di Martin Lutero e del mistico tedesco in generale? Ovviamente, il bene nella sua complessità che abbiamo rimosso prima di nascere, quindi non abbiamo il potere di salvarci con le nostre azioni, quindi non abbiamo motivo. L’unico modo per scatenare l’ethos umano scatenato dalle ambizioni rivelatrici della propria mente è l’acquisizione plenaria della comunione con Gesù Cristo, in modo che possa reintegrarsi nel Tempo, cioè nella logica dell’amore di Dio.

La verità e la comprensione complete o la verità come riconoscimento sono possibili solo alla luce della consapevolezza della nostra carenza ontologica, della nostra disarmonia che può essere evaporata solo dall’auto-rinuncia come forma di immersione nell’oceano della Verità di Dio.

Martin Lutero porta alla nostra attenzione una sorta di filosofia della pratica mistica e religiosa, un dovere morale non utilitaristico nei confronti del corpo e della mente, una legge del dono di sé in favore di un Assoluto segreto che ci è stato offerto come grazia divina per la liberazione. il nostro dalla prigione del peccato.

Tali idee ci mettono di fronte a un’antropologia luterana estremamente pessimista sulla natura umana, ma non solo riduce lo stato umano della “scommessa” dell’Universo, ma nobilita la sua natura attraverso l’amore perfetto che Dio concede, anche se lo è uno immeritato.

Martin Lutero può essere pensato anche su un orizzonte filosofico? Sì, specialmente in quello della fenomenologia personalistica e soprattutto del neoplatonismo agostiniano nel senso della sua fedeltà all’idea di predestinazione sviluppata dal Felice Agostino.

Tudor Petcu

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