
Presentiamo alcuni testi e materiali relativi al cosiddetto “Sacro macello”, strage di riformati (e di alcuni cattolici che tentarono di difenderli) avvenuta ad opera di cattolici filospagnoli in molti paesi della Valtellina nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1620.
Intendo raccontare i turbamenti della Valtellina nel secolo XVII, abbaruffata religiosa che, come spesso, copriva una quistione di nazionalità, mista di eccessi dei popoli e di viluppi d’una politica ambidestra, fecondi di atroci successi, e dove andarono in un fascio le umane cose e le divine. Né forse è privo d’opportunità questo episodio in tempi di sette caldeggianti d’operoso contrasto fra le opinioni e la forza, di lotta fra la sublime ambizione di non sottomettersi che alla ragione pura, e il folle orgoglio di arrogare tutti i diritti di questa alla ragione individuale.
Cesare Cantù
Se 400 anni vi sembran molti…
Nella notte fra il 18 e il 19 luglio del 1620 iniziava il massacro dei protestanti valtellinesi. Alla fine circa 600 persone verranno trucidate, alcune mentre celebrano il culto riformato, visto che il 19 era una domenica. E anche alcuni cattolici che si opponevano a quello che sarà definito al tempo, da parte cattolica, il “Sacro macello”.
Quando poi nel 1639, con il Capitolato di Milano, la Valtellina e la Valchiavenna ritorneranno sotto il dominio grigionese, una clausola esplicita vieterà il culto evangelico in quei territori, al contrario di quanto avveniva nelle Tre Leghe grigionesi, in cui i due culti convivevano. Ciò causerà l’eliminazione del protestantesimo da quelle zone. Quella clausola dimostra, a mio avviso, che oltre a motivazioni politiche ed economiche, in quel massacro c’era anche un aspetto religioso.
Sembrano oramai passati molti anni da quei fatti, ed è vero che moltissimo è cambiato nella società. Eppure, ancora oggi, come mi è capitato varie volte anche in ambito ecumenico, si arriva ad una frase del tipo: “Anche voi, però…”, che vuole in qualche modo sminuire il massacro, presentandolo come conseguenza automatica di errori e crimini compiuti in precedenza dai riformati.
Certo tutti sbagliano, ma una “pulizia religiosa” è qualcos’altro e poi, serve ribadirlo, non c’è nulla di automatico nelle azioni umane. Ma, soprattutto, il “noi” e il “voi” non dovrebbe essere applicabile oggi così semplicemente. Certamente si è e ci si sente in relazione con la propria tradizione religiosa, ma si può essere svincolati dal dovere di una difesa d’ufficio, una volta presa coscientemente la distanza da un certo modo del passato di concepire la chiesa.
Però in Valtellina a volte sembra non essere stato superato quel periodo e che sia presente come un’ombra. Ad esempio, solo a settembre, pandemia permettendo, ci sarà un convegno di storici, di varia estrazione, che cerca di presentare in maniera condivisa la ricerca su quel periodo, anche sui numeri dell’eccidio.
Oppure, quando sembra quasi che i riformati uccisi fossero stranieri, mentre erano e sono martiri valtellinesi, che andrebbero ricordati non solo dai pochi evangelici presenti oggi in valle, ma dalla società e dalle istituzioni locali come propri concittadini vittime della violenza religiosa.
Stefano D’Archino, pastore riformato a Bellinzona e in precedenza a Sondrio.
Qui il link alla Vera Narrazione, qui alla pagina del Diz. Storico Svizzero.
Il Sacro macello e la Valtellina: “D’altra natura che non religiosa”
Il sacro macello della Valtellina
da Riforma.it