In confronto al predecessore Giovanni XXIII, che aveva goduto di una popolarità d’ampiezza internazionale, Paolo VI ebbe un’immagine pubblica diversa: apparve spesso come un pontefice più distaccato. Se Giovanni XXIII sembrò in molte situazioni gioviale e spontaneo, papa Montini si mostrò alla pubblica opinione dignitoso e riflessivo, e poté a volte apparire austero e controllato. Papa Montini aveva appreso dai suoi studi diplomatici l’attitudine alla mediazione, all’attesa della fisiologica sedimentazione delle emergenze; egli sembrò a qualcuno un valente temporeggiatore, secondo un’antica tradizione curiale. Non di rado la sua figura apparve alle opposte fazioni viziata da una sorta di timore della conflittualità e racchiusa in un’altèra rarefazione, che sfuggiva lo scontro frontale, da molti ritenuto inevitabile, con le opposizioni: che, su fronti distinti, presentavano riserve fra loro antagoniste.
Quello di Paolo VI fu quindi un destino particolarmente difficile perché fu chiamato a guidare la Chiesa in un mondo attraversato da sconvolgimenti sociali e fermenti rivoluzionari. In questo clima teso Papa Montini cercò il dialogo, provò a mediare e se necessario seppe anche tornare sulle proprie decisioni. Un atteggiamento che gli valse l’appellativo di “papa del dubbio”, e che finisce per scontentare tutti, dentro e fuori la Chiesa.

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