
In confronto al predecessore Giovanni XXIII, che aveva goduto di una popolarità d’ampiezza internazionale, Paolo VI ebbe un’immagine pubblica diversa: apparve spesso come un pontefice più distaccato. Se Giovanni XXIII sembrò in molte situazioni gioviale e spontaneo, papa Montini si mostrò alla pubblica opinione dignitoso e riflessivo, e poté a volte apparire austero e controllato. Papa Montini aveva appreso dai suoi studi diplomatici l’attitudine alla mediazione, all’attesa della fisiologica sedimentazione delle emergenze; egli sembrò a qualcuno un valente temporeggiatore, secondo un’antica tradizione curiale. Non di rado la sua figura apparve alle opposte fazioni viziata da una sorta di timore della conflittualità e racchiusa in un’altèra rarefazione, che sfuggiva lo scontro frontale, da molti ritenuto inevitabile, con le opposizioni: che, su fronti distinti, presentavano riserve fra loro antagoniste.
Quello di Paolo VI fu quindi un destino particolarmente difficile perché fu chiamato a guidare la Chiesa in un mondo attraversato da sconvolgimenti sociali e fermenti rivoluzionari. In questo clima teso Papa Montini cercò il dialogo, provò a mediare e se necessario seppe anche tornare sulle proprie decisioni. Un atteggiamento che gli valse l’appellativo di “papa del dubbio”, e che finisce per scontentare tutti, dentro e fuori la Chiesa.
Paolo VI tra i due fuochi del Concilio
Papa Montini seppe sapientemente condurre e accompagnare fino alla fine il Concilio Vaticano II, anche se questo lo fece apparire come uomo del compromesso su molte questioni e prigioniero delle tensioni tra la maggioranza progressista e la minoranza conservatrice, un papa tra due fuochi che nell’immediato deluse tanto i conservatori che speravano in un naufragio del Concilio, quanto i progressisti che auspicavano un Concilio permanente.
Sul suo diario del concilio, sabato 14 novembre 1964, il grande teologo francese Henri de Lubac annota:
Da parte di una certa ala militante, che vorrebbe imporsi al concilio, le insinuazioni contro Paolo VI si moltiplicano. Lo elogiano, gli attribuiscono idee eccellenti, ma poi aggiungono che “ha paura delle proprie idee” (l’ho sentito dire poco tempo fa), e che ascolta troppo quelli che alimentano questa paura.
Fin dall’inizio Paolo VI avvertì fortemente la responsabilità di guidare la più grande assemblea episcopale mai riunita nella storia della Chiesa. Egli guidò i lavori conciliari, mettendo a frutto la sua precedente esperienza di abile negoziatore e operando pazienti mediazioni tra le diverse anime del Concilio e, quando fu necessario, intervenendo al fine di assicurare il maggior consenso possibile alle deliberazioni conciliari, o, alcune volte, avocando a sé la decisione di alcune questioni importanti. Paolo VI inoltre fece modificare alcune parti del Regolamento, in maniera tale che potesse assumere in modo più incisivo e visibile la guida del Concilio.
I risultati di questa paziente opera di tessitura e mediazione è evidente dai risultati delle votazioni dei principali documenti approvati:
- Sacrosantum Concilium 2158 SÌ, 19 NO
- Lumen gentium 2151 SÌ, 05 NO
- Unitatis redintegratio 2137 SÌ, 11 NO
- Gaudium et spes 2309 SÌ, 75 NO
- Dignitatis humanae 2308 SÌ, 70 NO
- Nostra aetate 2221 SÌ, 88 NO
I no di Paolo VI
Negli anni successivi alla difficile fase di una primissima analisi e ricezione dei documenti conciliari, sempre nella difficile gestione della crescente tensione tra progressisti e conservatori, si aggiunse il ’68 come altro fronte di cambiamento difficilmente governabile.
Il ’68 segna un cambiamento di mentalità che porta nuovi bisogni e aspirazioni in ogni campo: nella politica, nel privato, nella sessualità, nella morale. E’ una valanga che rischia di sommergere i principi riformatori del Concilio e minaccia di travolgere l’unità della Chiesa.
Paolo VI cercò il dialogo tenendo salda l’ortodossia, a volte prendendo da solo le decisioni cruciali. E’ il momento dei no duri e impopolari: no alla pillola anticoncezionale, no all’abolizione del celibato obbligatorio per i sacerdoti …
Nel 1968 Paolo VI firmò l’enciclica Humanae vitae, che interpreta in modo nuovo la sessualità coniugale ma ribadisce l’inaccettabilità della regolazione delle nascite con metodi non naturali. Molti ecclesiastici che si erano dichiarati favorevoli alla contraccezione dovettero tornare sui propri passi. Ma la polemica esplose violentissima. Da ogni parte del mondo giunsero attacchi e critiche contro papa Montini: lo si accusava di aver ceduto definitivamente al conservatorismo. Per la prima volta un papa si ritrovò contro tutta l’opinione pubblica. Anche nel clero furono in tanti a contestare le sue scelte, compresa la maggioranza progressista che lo aveva eletto. Numerosi vescovi si ribellarono al pontefice, rifiutando di proporre Humanae vitae senza una loro interpretazione. Le conseguenze per Paolo VI furono laceranti: sarà la sua ultima enciclica.
Scriveva papa Montini il 25 aprile 1968, esattamente tre mesi prima della pubblicazione dell’Humanae vitae:
Vi sono molte cose che possono essere corrette e modificate nella vita cattolica, molte dottrine che possono essere approfondite, integrate ed esposte in termini meglio comprensibili … ; ma due cose specialmente non possono essere messe in discussione: le verità della fede e le leggi istituzionali della Chiesa …
Perciò, rinnovamento, sì; cambiamento arbitrario, no. Storia sempre viva e nuova della Chiesa, sì; storicismo dissolvitore dell’impegno dogmatico tradizionale, no; e così via …
La secolarizzazione e l’eterogenesi dei fini
Paolo VI vive le vicende contrastate narrate negli anni in cui esplode agli occhi di tutti il risultato di un cambiamento avanzato nella società italiana per vie quasi carsiche già dal primo dopoguerra: la secolarizzazione. La vittoria della Democrazia cristiana alle elezioni del 18 aprile 1948 rappresentò per molti, se non il segno dell’avvento della nuova cristianità, almeno la necessaria premessa. Bisogna invece prendere atto che
quasi ad ammonire evangelicamente sulla debolezza di ogni condizione umana di forza, sta oggi la incontrovertibile constatazione che proprio «i giorni dell’onnipotenza» sono quelli in cui ha avuto inizio il processo di secolarizzazione del paese di cui ora vediamo le conseguenze.
Pietro Scoppola
Questo apparente paradosso storico è stato causato da una vistosa eterogenesi dei fini, secondo l’espressione usata dallo studioso italiano: le energie cattoliche che si erano attivate massicciamente per la costruzione della nuova cristianità, terza via tra capitalismo e comunismo, resero possibile il compromesso tra capitalismo e democrazia, realizzando il cosiddetto boom economico. Le forze cattoliche annunciavano l’umanesimo integrale e si mobilitavano per la nuova cristianità e vennero, invece, lo sviluppo economico neocapitalistico e la mentalità consumistica. Proprio
sviluppo economico e benessere hanno silenziosamente corroso, assai più delle ideologie avverse, marxista e laicista, le basi stesse della presenza cattolica nel paese. Mentre i cattolici si scontravano sulle piazze con la presenza comunista, considerata il pericolo maggiore per la fede degli italiani, o contestavano nello Stato i residui spazi del laicismo risorgimentale, il nemico vero è venuto alle spalle, silenzioso e a lungo inavvertito, nelle forme della società consumistica, destinata a corrodere in profondità, senza scontri clamorosi, ma per questo con maggiore efficacia, la fede del popolo italiano.
Pietro Scoppola
La sconfitta sul divorzio: segno di un’Italia ormai secolarizzata
Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 i vescovi si misero in allarme: crescevano le separazioni, le convivenze, le nascite fuori dal matrimonio. Inoltre nel dicembre 1970 era stata approvata la nuova legge sulla disciplina del divorzio in cui lo stato laico avocava a sé la competenza a decidere in materia di famiglia, di morale sessuale, di diritto alla vita.
L’Italia si spaccò in due: contro il divorzio la Democrazia Cristiana, i vescovi e il Movimento Sociale Italiano, a favore tutti gli altri, dall’estrema sinistra al partito liberale. Ma fu soprattutto Amirtore Fanfani che sognava una riscossa democristiana a trascinare la Chiesa e il papato in quella che Paolo VI definì “la chiamata ad un inutile eroismo”.
Intellettuali, singoli vescovi, sacerdoti, gruppi di fedeli si dichiararono pubblicamente a favore del divorzio e si posero contro la gerarchia.
L’esito del referendum rappresenta una sorta di crinale nella storia della Chiesa italiana. Infatti il 12 maggio 1974 il 59,3% degli italiani rispose no all’abrogazione della legge che garantiva il divorzio; favorevoli il 40,7%. Nel primo paese cattolico del mondo i cattolici ligi ai dettami della Chiesa si scoprirono in minoranza. L’Avvenire scrisse con realismo:
Dobbiamo prendere coscienza che si è dinanzi ad un mutamento di costume e di cultura.
Dopo le dimissioni dalla FUCI nel 1931 e l’allontanamento da Roma nel 1956 per Giovanni Battista Montini questa è la terza personale sconfitta.
Così analizzava le cause dell’esito del referendum Pierpaolo Pasolini l’11 luglio 1974:
E’ stata la propaganda televisiva del nuovo tipo di vita “edonistico” che ha determinato il trionfo del “no” al referendum (sul divorzio). Non c’è niente infatti di meno idealistico e religioso del mondo televisivo. E’ vero che in tutti questi anni la censura televisiva è stata una censura vaticana. Solo però che il Vaticano non ha capito che cosa doveva e cosa non doveva censurare. Doveva censurare per esempio “Carosello”, perché è in “Carosello”, onnipotente, che esplode in tutto il suo nitore, la sua assolutezza, la sua perentorietà, il nuovo tipo di vita che gli italiani “devono” vivere. E non mi si dirà che si tratta di un tipo di vita in cui la religione conti qualcosa.
Pierpaolo Pasolini