
da Settimananews.it, la storica rivista di attualità, pastorale, teologia dei dehoniani.
Nel linguaggio ecclesiale “comunità” è concetto sempre positivo, solo positivo. Ci si immagina di essere una comunità o che si dovrebbe diventarlo. Fa piacere definirsi comunità, è desiderabile diventarlo… sentire che non si è soli, che si viene aiutati, che c’è qualcosa in comune. Ne vediamo soltanto ciò che ci pare bello.
L’intervento di Alessandro Castegnaro sul concetto di comunità contribuisce a far chiarezza sull’argomento e a mettere in salutare crisi una delle “parole magiche” della pastorale.
L’articolo, disponibile su Settimananews.it, si struttura nei seguenti passaggi:
1. La comunità tra desideri e realismo sociologico
2. Quando si può parlare di comunità
3. I rischi in cui incorrono le comunità
- Dal punto di vista dell’individuo
- Nel rapporto con altre comunità.
4. Rapporti fraterni. Una concezione più debole di comunità
5. Comunità + cristiana. Tre contraddizioni di termini.
- Non è tipico delle comunità essere «in uscita». In genere, quando sono in uscita, è per conquistare.
- Le comunità tendono a presidiare i confini, sviluppano procedure per definire chi sta dentro e chi sta fuori.
- Non è tipico delle comunità essere aperte, essere accoglienti.
«Avere dappertutto chiese con le porte aperte» (EG 28) è un compito difficile. Noi ci chiudiamo non perché non siamo una comunità, non perché siamo individualisti, ma perché troppo spesso essere (o far finta di essere) una comunità vuol dire chiudersi: noi, le nostre cose, il nostro “territorio”, i nostri costumi… Lo scopo però non è costruire la “nostra comunità”, in cui appartarci a vivere la nostra vita e magari tenere “gli altri” lontani; lo scopo è coltivare relazioni fraterne nel mondo. Un compito davvero grande da cui siamo sfidati qui e ora.