
Nel menù di oggi l’intervista sull’importanza etica e spirituale dell’ecumenismo al pastore e teologo luterano Reinhard Thöle (a cura del dottor Tudor Petcu). Reinhard Thöle (nato il 28 aprile 1950 a Osnabrück) si occupa della teologia ortodossa e dei collegamenti tra la spiritualità “occidentale” e quella del cristianesimo orientale. Dopo gli studi di teologia protestante e teologia ortodossa, dal 1979 al 1991 ha lavorato come pastore. In seguito ha insegnato presso l’Università di Heidelberg e dal 1992 è Consulente del EKD (Evangelische Kirche in Deutschland) per il dialogo con le Chiese ortodosse. Nel 2000 è diventato docente per la teologia ecumenica presso la Facoltà teologica “Patriarca Giustiniano” dell’Università di Bucarest. Nel 2001 ha avviato la “Società per lo studio dell’oriente cristiano”. Dal 2007 è membro della direzione scientifica del “Istituto di ricerca sull’ascetismo e la pietà protestante” alla Augustana College, Neuendettelsau. Dal 2011 è direttore del seminario per Ostkirchenkunde presso la Martin-Luther-University Halle-Wittenberg. Nel 2016 è stato osservatore del Consiglio dell’EKD al Grande e Santo Sinodo Pan-ortodosso a Creta.
Se fosse d’accordo, vorrei toccare con lei il tema della storia e del significato dell’ecumenismo in Germania. In che modo le comunità cristiane in Germania hanno compreso l’ecumenismo?
Occorre partire dalla situazione della Germania dopo la seconda guerra mondiale, dove l’ammissione di rifugiati dagli ex territori orientali tedeschi durante il periodo bellico aveva cambiato la mappa confessionale. Nelle aree protestanti tradizionali erano sfollati in gran numero cristiani cattolici e viceversa. Le diverse tradizioni ecclesiastiche si trovarono così a vivere più vicine e rendevano disponibili le loro case di culto anche all’altra chiesa. Dopo il Concilio Vaticano II cattolico (…) ci furono in Germania per la prima volta servizi congiunti protestanti-cattolici. Furono adottati un testo del Padre Nostro unificato e altri testi comuni e condivisi numerosi canti liturgici e di preghiera nei rispettivi innari. Come sensazione si sentiva che anche la celebrazione di un matrimonio interconfessionale sarebbe potuta essere possibile. Le commissioni produssero testi teologicamente importanti che elaborarono le tradizionali controversie. La popolazione si aspettava che entro un periodo di tempo breve le comunità di diversa confessione potessero essere completamente d’accordo sui punti contestati e diventare una Chiesa sola. Tuttavia, questa speranza fu delusa e, dopo alcuni anni di speranza entusiasta, divenne chiaro che le differenze nelle identità non potevano essere superate o, meglio, che non c’era la volontà da parte delle dirigenze delle Chiese di superarle. Questa delusione ha contribuito a distanziare la popolazione dalle chiese.
Pensa che l’ecumenismo abbia un significato etico? Possiamo parlare di una certa etica dell’ecumenismo?
Il movimento ecumenico, nel suo settore “Vita e lavoro”, ha sempre cercato di promuovere nelle Chiese separate dalle questioni teologiche la responsabilità di una comune testimonianza cristiana al mondo e alla società su questioni etiche. Molte dichiarazioni interdenominazionali su sfide attuali come la famiglia, la responsabilità sociale, l’eutanasia, la pace, ecc. sono state sottoscritte ma poi i diversi approcci antropologici delle chiese combinati con la pluralità delle pratiche religiose hanno portato solo ad una unità solo di facciata, come mostra l’attuale dibattito sui diritti umani.
Sono molto interessato al dialogo ecumenico nell’Europa orientale. Se è necessario confrontare le relazioni tra le comunità cristiane in Germania e le relazioni tra le diverse chiese nell’Europa orientale, cosa si può dire dello sviluppo dell’ecumenismo nell’Europa orientale?
Nell’Europa orientale la situazione è completamente diversa. I lunghi anni del comunismo hanno congelato e limitato le identità e gli sviluppi delle varie chiese. Allo stesso tempo, l’ecumenismo ufficiale era stato prescritto dalle autorità statali. Non sorprende quindi che, dopo il crollo del vecchio sistema, le chiese si siano di nuovo interessate di se stesse e della comunità interecclesiastica e abbiano anche riacceso vecchie polemiche. L’anti-ecumenismo divenne improvvisamente parte dell’identità dell’ala conservatrice nelle chiese, e i conservatori erano stati gli unici circoli a “portare” la fede nell’oppressione. Capi di chiesa intelligenti, incluso il patriarca rumeno Daniele, hanno sempre sottolineato che l’anima conservatrice dell’Ortodossia non è anti-ecumenica, ma ha un proprio modello ecumenico e spirituale.
So che la Chiesa evangelica in Germania ha un ottimo rapporto con la Chiesa ortodossa rumena. Credo che lei conosca molto bene la Chiesa ortodossa rumena e anche il nostro paese. Allora, come le sembra l’ecumenismo di oggi in Romania?
Vi è stato uno scambio di studiosi tra le Chiese per decenni, quindi la questione ecumenica ha fatto nascere facoltà teologiche in molti luoghi e viene trattata da teologi esperti. Tuttavia i risultati dei dialoghi teologici che le nostre due chiese intrattengono dal 1979 potrebbero essere resi ancora più noti nell’ambiente accademico.
Possiamo dire che la tolleranza sia la caratteristica più importante dell’ecumenismo?
Direi che non è sufficiente. L’ecumenismo, se vuole essere qualcosa di più della diplomazia politica delle varie Chiese, deve riconoscere che c’è una unità dietro le divisioni, anche se non è stata ben predicata o trovata. I dialoghi dovrebbero essere condotti nell’amore reciproco per trovare insieme la verità. Tollerare varie verità controverse non sarebbe sufficiente.
Come definisce l’unità dei cristiani e come sarebbe possibile una forte unità tra le chiese cristiane?
In Efesini (4: 3-6) troviamo una buona definizione di ciò che una forte “unità attraverso il vincolo di pace” tra le chiese dovrebbe essere: un corpo, uno spirito, una speranza di vocazione, un solo Signore, una sola fede, uno Battesimo, un Dio e Padre di tutti, che è soprattutto in tutto e per tutto. Da questo approccio, le questioni controverse devono essere affrontate.
Credo che l’ecumenismo possa aiutare il cristianesimo ad avere un dialogo fecondo con le diverse religioni. È d’accordo con questa idea?
Sono piuttosto prudente su questo punto. È importante che le chiese trovino l’unità nelle cose essenziali e quindi abbiano un dialogo migliore con le altre religioni. Il dialogo interreligioso è difficile perché si incontrano diversi sistemi che pretendono di essere assoluti. In più non c’è una religione che non sia divisa in partiti religiosi, comunità, fazioni diversi e contrapposti. La fioritura del fanatismo religioso e la persecuzione dei dissidenti o delle minoranze dovrebbero essere decisamente contrastate.
Avrei un’altra curiosità per la nostra intervista: crede che il dialogo con la chiesa mormone e i testimoni di Geova sia possibile?
Il problema con queste comunità religiose è che, come i mormoni, hanno altre scritture rispetto alle Chiese cristiane. Oppure si basano su una diversa autorità interpretativa, come i Testimoni di Geova con la loro leadership religiosa negli Stati Uniti. Nel fare ciò pretendono un ruolo diverso ed alternativo rispetto alle altre Chiese e predicano una via di salvezza escludente e incompatibile con le dottrine cristiane. Nel dialogo ecumenico, invece, le Chiese cristiane, nonostante tutte le differenze, si riconoscono vicendevolmente ed esprimono la volontà di camminare una a fianco all’altra verso l’obiettivo dell’unità e della salvezza.