Il rapporto tra la coscienza cristiana e il postmodernismo. Intervista di Tudor Petcu a François Boesplug

Il dottor Tudor Petcu, nostro collaboratore, ci propone una sua intervista sul rapporto tra coscienza cristiana e postmodernismo a François Boesplug. Teologo, storico dell’arte e storico delle religioni, è professore emerito dell’Università di Strasburgo. È stato titolare della Chaire du Louvre e della Cattedra Benedetto XVI a Ratisbona. Le sue numerose pubblicazioni trattano la storia delle religioni e la rappresentazione del divino. Tra le più recenti, Le immagini di Dio. Una storia dell’Eterno nell’arte (Einaudi 2012) e La caricatura e il sacro. Ebraismo, cristianesimo e islam a confronto (Vita e pensiero 2007).

Prima di tutto, la chiedo di dirmi se il postmodernismo può davvero essere visto come una reazione contro la razionalità su cui si basa la modernità. In altre parole, è giusto dire che la ragione è la principale caratteristica della modernità, a differenza del postmodernismo definito alla luce del decostruttivismo e dell’ironia?

Cercherò di risponderle “tentare”, cercando di indovinare a quali forme o manifestazioni del postmodernismo sta pensando per primo, e confessando che è un termine che non uso mai e una realtà quasi sfuggente di cui di solito non mi interessa. E così che i nostri lettori non abbiano l’impressione di “pedalare nella semola”, come dicono colloquialmente nella mia lingua, mi permetto di definire il postmodernismo non solo come il palcoscenico che seguì il modernismo ma per buona parte come la modernità che ritorna su se stessa in modo critico, anche se ciò significa metterlo in discussione, sia attraverso la promozione di nuovi obiettivi o nuovi stili, sia attraverso una sorta di ritorno al recupero dei valori culturali abbandonato dalla modernità, con l’intenzione di non ripetere il passato ma di dare loro nuove notizie.

E poiché la mia area di competenza è soprattutto l’arte religiosa di ispirazione biblica e / o cristiana, di cui parliamo molto durante queste interviste, fornirò come esempio le opere pittoriche di Chagall, Arcabas o di Garouste, che hanno in comune essere apparentemente “postmoderno” se li confrontiamo con quelli di Picasso, Gleizes o William Congdon … Questi esempi, ne sono consapevole, non verificano realmente la tua ipotesi, nella misura in cui non è decisamente l’atteggiamento adottato da tutti questi artisti nei confronti della razionalità che li contraddistingue persino li contrappone, ma quello che hanno abbracciato nei confronti della leggibilità. Ai primi tre non importa e lo ignorano, mentre gli ultimi tre tornano …

Ma forse, con il postmodernismo, si designa la tendenza, all’interno della cultura, con il cambiamento e la provocazione, tendenza che fu annunciata negli anni ’30 con un pittore “pensatore” come Marcel Duchamp, e continua con un “artista” come Jeff Koons o la frangia dell’arte contemporanea che più o meno scherzosamente plagia i temi tradizionali dell’arte cristiana, o armeggia con loro in tutte le direzioni, come Vim Delvoye con i suoi crocifissi rivolti verso l’alto o Tom Herck con la sua mucca crocifissa esposta in una chiesa, che attualmente sta causando scandali in Belgio. È quello a cui stai pensando?

Come definirebbe da teologo la coscienza cristiana, con tutta la sua complessità storica e culturale, nel contesto delle tentazioni postmoderne, che, almeno in un certo senso, sembrano rifiutare i valori di innocenza proposti dal cristianesimo?

Ancora una volta la natura molto generale della sua domanda, priva di qualsiasi nome, cifra e data, mi condanna a un’operazione di divinazione intellettuale quando so benissimo di non essere un profeta.

Proviamo lo stesso. Non so se questi siano i valori di innocenza che il cristianesimo, nel contesto della post-modernità, sostiene come una priorità. D’altra parte, sarei tentato di pensare, come teologo cristiano, che ciò che il cristianesimo ha la missione di ricordare e trasmettere in tale contesto è il valore unico di ogni persona umana, la libertà che è sua di ricevere il Vangelo, a battezzare la sua intelligenza, per convertirsi ed essere trasformato, o al contrario per allontanarsi temporaneamente o durevolmente da essa; e, infine, che in un mondo in costante cambiamento, inventando e diventando sempre più complesso, i valori di chiarezza, semplicità, bellezza, gentilezza, in altre parole tutto ciò che i pensatori medievali chiamavano trascendentali , rimangono potenti fermenti di umanizzazione dell’uomo. Il suo futuro non è certo dalla parte di ciò che è impenetrabile, indecifrabile, ipercodificato, non mi farai mai credere. Tanto che sarei portato a credere, sempre come teologo (e non come osservatore di tendenze sociologiche, filosofiche, estetiche, ecc.), Che la cultura vive di un costante movimento di ispirazione ed espirazione facendola inventare tutto una sorta di cose per poi necessariamente tornare a una benefica riunione con acqua, ossigeno, i cinque sensi, i colori e il tatto.

Potrebbe esserci una vera relazione tra coscienza cristiana e postmodernismo a cui abbiamo fatto riferimento nel nostro dibattito? Faccio questa domanda pensando all’idea del cristianesimo postmoderno che sembra aver acquisito una certa esistenza nell’opera del filosofo italiano Giani Vattimo.

Per quanto ho capito il pensiero di Vattimo, è vero che rappresenta il postmodernismo nella misura in cui, a mio avviso, denuncia la cosiddetta “violenza di categoria” che hanno regnato per secoli attraverso la metafisica tradizionale (ad esempio l’assoluto, la verità, l’essenza, la religione, la materia, ecc.) e i sostenitori, a favore di un’esistenza più flessibile e meglio traspirante degli individui, una “ontologia del declino” basata su “categorie deboli” non promuove più pretenziosamente e ostentatamente convinzioni o dogmi ma interpretazione e decostruzione o persino una certa evanescenza del soggetto che gli consente di pensare in modo fluido, come nel diventare persino una kenosi consensuale (incertezza ed esitazione o addirittura ansia che sostituiscono certezza e convinzione, aspirazione o desiderio di credere nella decisione volontaria di credere). Ma questa è, credo, per Vattimo, la vera verità del cristianesimo: questa modestia disarmata, che alla fine è il fondamento della secolarizzazione. Uno dei suoi libri non era intitolato After Christendom: For Non-Religious Christianity?

Se i valori del cristianesimo sono veramente respinti dalla società contemporanea, come è possibile il loro ritorno, dato l’orientamento dell’uomo contemporaneo verso le dinamiche quotidiane e tecnologiche?

Ho una fiducia irremovibile, da un lato, nell’unione intima, che credo porti una rivelazione duratura, tra il Vangelo e l’umano; e d’altra parte, il fatto che l’essere umano autentico non si permetta di essere sfigurato o oscurato a lungo: inseguito dalla porta, ritorna dalla finestra. C’è una frase di saggezza popolare, in lingua francese, che dice: cacciare la natura, torna al galoppo. Attualmente, è vero, possiamo avere la sensazione che un certo numero di valori ancestrali su cui è stata costruita l’antropologia siano come sommersi dal numero e dalla radicalità degli interrogativi, per non parlare degli scontri tra civiltà e invasione dell’esistenza quotidiana con nuovi strumenti tecnologici. Ma alla fine il corpo umano e il cuore hanno una straordinaria stabilità, e non è l’allungamento della durata media dell’esistenza che cambia molto. I valori del cristianesimo non hanno, secondo me, molto da temere …

Non potevo trascurare il suo campo di ricerca, vale a dire l’iconografia cristiana, quindi vorrei chiederla quale ruolo può svolgere l’arte cristiana in un presunto contesto di estetica postmoderna.

Quest’ultima domanda eccita immediatamente il mio cervello. Proverò a rispondere prendendo come bussola l’impressione che mi viene in mente a forza di studiare diversi file iconografici osservando ciò che ciascuno di essi deve alla metafisica tradizionale e identificando come alcuni pittori avevano per così dire grazie per esserti liberato offrendo immagini di soggetti tradizionali liberati dal corsetto che la metafisica ha da tempo imposto loro. È un po’ una dichiarazione schietta essendo astratta, quindi prenderò alcuni esempi.

Nel 2015, ho dimenticato a Éditions du Cerf a Parigi un libro e il titolo è una domanda che rivela una sorta di dubbio da parte mia: Gesù ha avuto una vera infanzia? È una riflessione il cui scopo segreto, al di là delle precise indagini iconografiche su cui si basa e medita, è precisamente cristologico. I pittori che avevano a cuore immaginare Gesù bambino voleva e sapeva far credere la verità della sua incarnazione, vale a dire che voleva e sapeva mostrare un vero bambino della famiglia umana, condannati ad imparare, tra l’altro, a stare in piedi, a mangiare correttamente, a parlare, a leggere, a pregare, oppure la loro immaginazione, lasciata libera dalla totale assenza di precisione nei testi canonici a questo proposito, era, per così dire, spontaneamente prigioniera di un’interpretazione metafisica errata dell’unione delle due nature umane e divine nella sua persona, quella che regnava suprema suggerendo che questo ragazzino non era praticamente nato , che era immediatamente un adulto in riduzione, consapevole della sua origine celeste e della sua missione di redentore della razza umana, sapendo in anticipo, poiché così tante immagini hanno mostrato inequivocabilmente con il consenso spostato autorità ecclesiastiche e circoli cristiani, che ha dovuto preparare per la croce, al punto che molti pittori hanno dimostrato, ragazzino, che si sta allenando per accogliere questo pensiero facendo un sonnellino su una piccola croce adattata alle sue dimensioni … da questo punto di vista, la conclusione della mia indagine è che la stragrande maggioranza dei dipinti riguardo al bambino Gesù sono di un monofisismo nascosto, poiché la natura umana di Gesù di Nazaret è stata così assorbita dalla sua natura divina.

Ma ci sono state eccezioni felici e toccanti, che mi dicono la seguente risposta alla tua domanda:

Il primo ruolo che l’arte cristiana potrebbe avere è, per così dire, puramente passivo. Sarebbe quello di lasciarsi spogliare dalla post-modernità dei vari corsetti che l’unione fatale tra il desiderio di costruire a tutti i costi e ciò che ho appena chiamato il monofisismo strisciante della tradizione pittorica cristiana, fabbricato o trasmesso di secolo in secolo e imposto a molti soggetti come Gesù bambino tra le braccia di sua madre, ad esempio facendo un gesto di benedizione della destra completamente inadatto, che un bambino non fa mai prima dell’età della pratica del pagliaccio, e ancora; o come Gesù tra i dottori, installato su un sedile che sormonta tutti gli altri, comportandosi come un pontefice prematuro, con un equilibrio che l’adolescente più comico non avrà mai – i pittori hanno osato rompere con questo modo di fare, il cui un pittore ebreo che causò un tumulto nella stessa Baviera cattolica, per aver osato rappresentare Gesù come un adolescente eccitato dall’attenzione degli scribi – un Gesù molto probabilmente, per una volta. Un altro pittore, questa volta russo, ha osato dipingere Gesù seduto a gambe incrociate tra i dottori, ascoltandoli mentre venivano ascoltati da loro. Si ha la sensazione, quando si guardano tali dipinti, di decillare e avvicinarsi.

Liberata dalle convenzioni pseudo-dogmatiche, l’arte dell’ispirazione cristiana, fedele alla Sacra Scrittura letta senza filtro, potrebbe avere un ruolo molto utile di promemoria o trasmissione dell’umanità del Dio-uomo, di un Cristo non sfigurato dalla metafisica.

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