Commento alla liturgia ortodossa: Venticinquesima Domenica dopo Pentecoste

da Santa-rus.com, La Santa Rus’. Grazia e bellezza nell’incontro con la Santa Rus’.

29 novembre / 16 novembre 2020 – Domenica

Domenica 25a dopo Pentecoste. Digiuno di Natale. Tono 8°. Dell’apostolo ed evangelista Matteo (60). Del giusto Fulviano, principe dell’Etiopia, nel Santo Battesimo Matteo (I).
Dello ieromart. Ipazio, vesc. di Gangra. Dello ieromart. Filumeno del Santo Sepolcro (Chasapis),
archimandrita (1979). Dello ieromart. Teodoro Kolerov presbitero e con lui martt. Anania Bojkov e Michele Boldakov (1929); degli ieromartt. Giovanni Tsvetkov, Nicola Troitskij, Vittore Voronov, Basilio Sokolov, Macario Solov’ëv e Michele Abramov presbiteri, del ven. mart. Panteleimone (Arzhanykh), igùmeno (1937); del mart. Demetrio Spiridonov (1938).

Apostolo: Ef §224 ( = 4:1-6) + 1 Cor § 131 ( = 4:9-16).

Vangelo: Lc §53 ( = 10:25-37) + Mt § 30 ( = 9:9-13).

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In quel tempo un dottore della Legge, volendo metterlo alla prova, si alzò e disse a Gesù: “Maestro, cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” Gesù allora gli disse: “Che c’è scritto nella Legge? Cosa vi leggi?” Egli rispose e disse: “Ama il Signore, Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso”. Gesù gli disse: “Hai risposto correttamente; fa’ questo e vivrai”. Ma quegli, volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: “E chi è il mio prossimo?” Gesù rispose e disse: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, quando incappò nei briganti che lo spogliarono, lo coprirono di botte e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto. Per caso scendeva per quella strada un sacerdote, lo vide e passò dall’altra parte. Allo stesso modo anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò dall’altra parte. Invece un samaritano che era in viaggio, venne presso di lui, lo vide e ne ebbe compassione. Si avvicinò e fasciò le sue ferite versandovi sopra olio e vino. Poi lo caricò sul proprio giumento, lo portò in una locanda e si prese cura di lui. L’indomani, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più te lo renderò al mio ritorno. Quale di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che si era imbattuto nei briganti?” Quello rispose: “Chi ha avuto misericordia di lui”. Gesù allora gli disse: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”.

Luca (10, 25-37)

La parabola del Samaritano che ci viene proposta in questa domenica è una di quelle parabole che rischiano di essere “scontate” perché molto famosa e commentata in mille modi ma soprattutto per la sua fulminante chiarezza.

La sapienza della liturgia della Chiesa però mette questa pericope del vangelo di Luca all’inizio della quaresima della Natività, cioè il periodo di preparazione alla luminosa festa dell’Incarnazione del Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo. Capita spesso a molti ortodossi che in questi periodi di preparazione caratterizzati dall’ascesi e dalla preghiera che l’attenzione sia rivolta quasi esclusivamente alle regole alimentari dettate dalla Chiesa e che lo sforzo più grande sia nel rispettarle. Tuttavia questo sforzo non è sufficiente perché come ci ricorda san Clemente di Alessandria “il cibo non ci rende né più giusti né meno giusti“. Il digiuno è un mezzo è – secondo san Basilio – un “disfarsi dal male” per far posto all’amore di Dio.

Se allora non è il cibo a renderci più giusti o meno giusti, cosa ci rende tali? E’ questa la domanda che il dottore della legge pone con l’intento di mettere alla prova il Salvatore ma è anche la domanda che dovremmo porci anche noi con animo sgombro e retto, desiderosi di avere una parola di salvezza dal Cristo.

E’ solo l’amore che ci rende giusti, è l’amore la misura della vita di ogni uomo, quella misura sulla quale tutti verremo giudicati alla fine dei tempi. E’ l’amore prescritto dalla Legge di Mosè ma è soprattutto l’amore di Cristo nel quale impariamo la dimensione verticale e orizzontale, due dimensioni che però in Cristo si dilatano così tanto da fare di questo amore cristiano un qualcosa di assolutamente unico.

L’amore cristiano non è una prescrizione, è un uscire da se stessi, uno spogliarsi di pavidità ed egoismi, è un principio di divinità.

Così il samaritano della parabola pur essendo per il popolo d’Israele un rappresentante di un popolo nemico, eretico e impuro non esita a chinarsi sull’uomo aggredito e tramortito dai briganti e nel momento in cui egli soccorre lo sventurato della strada che va da Gerusalemme a Gerico quel samaritano non è più un samaritano ma è un modello di amore, il suo fare diventa la cosa più vicina e simile al modo di fare di Dio. E non è un caso che i padri della Chiesa abbiano dato sempre una interpretazione cristologica di questa Parabola: l’uomo che giace mezzo morto e spogliato ai bordi della strada è un’immagine di Adamo, dell’uomo in genere, che davvero «è caduto vittima dei briganti», mentre il samaritano è immagine di Cristo stesso attraverso cui Dio si viene a prendere cura della sua creatura ferita, che versa olio e vino sulle nostre ferite – un gesto in cui si è vista un’immagine del dono salvifico dei sacramenti – e ci conduce nella locanda, la Chiesa, in cui ci fa curare e dona anche l’anticipo per il costo dell’assistenza.

Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo” (1Gv 4,19) sta scritto nella prima lettera di Giovanni e in questi primi giorni di preparazione alla festa della Natività siamo chiamati a riscoprire la ragione del nostro amare. E come non esiste amore duraturo se frequentemente non si torna alle fonti di questo così anche noi dobbiamo tornare alla fonte del nostro amare che è Cristo stesso, samaritano che si è chinato sulle nostre esistenze ferite, che ci strappato dall’abisso di morte, dalla spoliazione della vita alla dinamica dell’amore, quell’amore che è Dio stesso di cui facciamo esperienza quando viviamo amando senza riserve.

 

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