La Parola è la mia casa: [14/09/2025] Esaltazione S. Croce XXIV dom TO anno C

da Parrocchiechiurocastionetto.it, il sito della Comunità pastorale di Chiuro e Castionetto.

Dio non innalza simboli identitari di condanna e di disprezzo ma la croce di morte e risurrezione per amare e salvare

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 3,13-17)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

La festa dell’Esaltazione della Santa Croce ha un profondo significato religioso e simbolico per le Chiese cristiane, sia cattolica che ortodossa. Il termine “esaltazione” (dal latino exaltatio) significa innalzamento, glorificazione: quindi Esaltazione della Santa Croce vuol dire glorificazione della Croce di Cristo, vista non solo come strumento di morte, ma soprattutto come simbolo di vittoria, salvezza e amore divino.

Secondo la tradizione, la Santa Croce, cioè il legno sul quale fu crocifisso Gesù, fu ritrovata a Gerusalemme intorno al 326 d.C. da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino. Ella, a Gerusalemme in pellegrinaggio per onorare i luoghi santi, ordinò degli scavi sul Golgota, dove sorgeva un tempio pagano costruito dall’imperatore Adriano. Durante gli scavi vennero trovate tre croci e individuata prodigiosamente quella del Cristo. La Croce fu quindi esaltata pubblicamente, cioè mostrata con solennità ai fedeli, e da lì nacque la celebrazione liturgica. La solennità fu inserita nel calendario liturgico romano e viene celebrata dalla Chiesa cattolica, da molte comunità protestanti e dalle Chiese ortodosse il 14 settembre, data della dedicazione della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme nel 335.

La Parola di Dio precisa, nel vangelo di Giovanni, che non è tanto e solo la croce ad essere innalzata, ma il Figlio dell’uomo, cioè lo stesso Gesù crocefisso. Il significato profondo della solennità odierna non è, quindi, l’esaltazione di un simbolo religioso, ma il centro stesso della fede, la morte e risurrezione di Gesù, viste secondo la teologia giovannea. E significativamente celebrate quest’anno in domenica, Pasqua settimanale di risurrezione.

Il brano del dialogo tra Gesù e Nicodemo riprende l’immagine della prima lettura, proclamando l’innalzamento del Figlio dell’uomo, cioè l’intero mistero pasquale di croce e di resurrezione, come antidoto contro la morte e il peccato, che, come morso di serpente, avvelenano la vita degli uomini. Ne facciamo esperienza continuamente: quante vite, magari anche in apparenza realizzate in successo, potere e soldi, sono avvelenate da odio, invidia, avarizia, dipendenze.

Per Giovanni nell’innalzamento di Gesù sulla croce si concentra tutto e, in un certo senso avviene e viene glorificato tutto, contemporaneamente (anche se poi cronologicamente e liturgicamente i vari aspetti vengono separati): la morte e la risurrezione, il vero Dio e il vero Uomo, la presenza del Figlio e quella dello Spirito, il Cristo e la vita nuova di chi ha scelto Lui come amore, dono, libertà, pace.

In una storia dove tutte le religioni vengono strumentalizzate, a volte anche dalle loro stesse guide spirituali, per alimentare conflitti, guerre, stragi di innocenti e violazioni della dignità umana e dove i simboli religiosi vengono aggressivamente innalzati come bandiere identitarie dai violenti e dai potenti, Dio, per amore, innalza il Figlio e la sua Pasqua, non «per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Dio è soprattutto Dio sulla croce e soprattutto uomo nella resurrezione.

Karl Barth

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