Un cattolicesimo postpapale?

da Vinonuovo.it, «vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi» (Lc 6,36).

C’è chi vorrebbe una parola più chiara di Leone XIV sulla Palestina, una più dura condanna della guerra, un interessamento maggiore verso Gaza; c’è chi lo vorrebbe a Kiev o a nella sua Chicago, dove la situazione si va via via facendo incandescente. C’è chi vorrebbe un intervento per affossare il sinodo, oppure per rilanciarlo. Insomma, su tanti temi, anche di stretta e tragica attualità, non pochi avrebbero il desiderio di un Leone XIV più incisivo. E pure io, lo confesso, a volte mi trovo in questa situazione…

Poi mi fermo a riflettere. E osservo.
È meno marcata — anche per carattere, timidezza, postura intellettuale, formazione — la voce di Prevost.
Invece si sentono le voci di Pizzaballa, di Parolin, di Cupich, di Zuppi, di suor Clémence… ovvero si sentono voci locali, più ferrate in alcuni argomenti, dentro le situazioni più complesse e dolorose. Gente che vive, che ‘ha le mani in pasta’ e la profondità di pensiero, di fede, di umanità per dire ed essere autorevole.

Forse siamo arrivati, a XXI secolo inoltrato, a un cattolicesimo meno papale, o postpapale? Un cattolicesimo in cui le voci locali, le chiese del mondo e i loro pastori, i fedeli stessi possano far sentire la loro voce perché quella del papa è meno forte? Non so quanto questo sia un auspicio, una scelta, una necessità, una naturale conseguenza di una personalità (quella di Leone) riservata. Però, forse, ci troviamo di fronte a un cattolicesimo postpapale, che chiude la stagione comunicativa e di ‘governo’ iniziata con il carismatico Giovanni Paolo II e finita con il carismatico Francesco.
Il che vorrebbe dire, anche, avere voci dissonanti e in contrasto: cosa che, peraltro, accade da anni, quando la polarizzazione era già fortissima con Bergoglio e i suoi detrattori (a cui è stata data ampia libertà di parola, pure dentro il collegio cardinalizio, oltre le narrazioni interessate).

Un cattolicesimo postpapale, dunque? Questo implicherebbe non poche conseguenze, a partire dal fatto che ci potrebbe essere una maggiore responsabilità del singolo credente: non è più il papa il terminale di ogni questione che accade sotto il sole, non è più la sua parola quella che, per l’orbe cattolico, risulta decisiva. Ci sono persone più competenti, più esperte, più formate in singoli ambiti: il papa non è più il ‘tutto’ (ammesso che lo fosse anche prima). E questo potrebbe davvero essere un passo avanti: che si chiami collegialità o sinodalità, condivisione o fratellanza; che sia semplicemente essere discepoli, con doni, carismi, ruoli diversi dell’unico Gesù di Nazareth. Ma la conseguenza non è di poco conto; la barca vede al suo interno tante figure. Allora, ad esempio, su Gaza conta di più quel che dice Pizzaballa, su Chicago Cupich, e così via. Fino alla flebile e decisa voce di suor Clémence, delle Piccole Sorelle di Gesù, voce autorevole nel parlare di poveri.

Un cattolicesimo postpapale chiede conversione di sguardi, di comunicazione, di attese: siamo pronti?

Sergio Di Benedetto

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