Un prete cattolico isolato è inutile.
don Lorenzo Milani
Approcciandosi con un pò di superficialità alla figura di don Lorenzo Milani è molto facile cadere nelle categorie dell’eroe che combatte da solo contro un mondo ingiusto, del profeta incompreso contro una Chiesa oscurantista e antievangelica, del ribelle impegnato nel sociale perseguitato da una gerarchia e un clero tutto impegnato in processioni, scomuniche e calunnie. Un incontro serio e approfondito con il prete fiorentino necessita di una sua collocazione nel contesto della Chiesa italiana e fiorentina del suo tempo.
Questa è tuttavia un’operazione difficile e complessa. Andrea Riccardi, nel suo intervento al convegno di Milano del 19831, individuava due categorie di difficoltà: la relativa vicinanza cronologica al presente delle situazioni analizzate, con il conseguente esiguo approfondimento interpretativo e storiografico e l’inibizione nel trattare questioni ancora troppo vicine a noi, e le “altre difficoltà inerenti la natura stessa del personaggio, la sua spiccata personalità, la sua decisa originalità, la sua solitudine (quasi un modo d’intendere il celibato ecclesiastico) rispetto alle correnti contemporanee, che rendono impossibile iscriverlo anche parzialmente ad una d’esse”2.
Per questi reali ostacoli e, “forse per un certo vezzo biografico”3, “viene spontaneo leggere la figura di questo prete in maniera isolata dal contesto dalla sua Chiesa fiorentina e di quella italiana, quasi un’avanguardia d’una nuova stagione civile ed ecclesiale. Le categorie della «profezia» e del «profeta» applicate al presente od alla storia come spesso è capitato nella stagione postconciliare, offrono pathos a questa operazione di isolamento di don Milani dalla Chiesa del suo tempo”4. Ma il nobile tentativo di rendere immediatamente avvincente questo importante personaggio del `900 nasconde un rischio: “si prolunga il torto che gran parte della Chiesa fiorentina fece al priore di Barbiana, quello di isolarlo e di considerarlo un estraneo”5. Estraneità che lo stesso priore sentì sempre come ragione di un possibile fallimento della propria opera di sacerdote cattolico e che combatté con decisione.6