
dal profilo facebook di fratel Ignazio de Francesco, monaco della Piccola famiglia dell’Annunziata.
“Veramente sono stato una belva”. Seduto accanto al letto dove tra poche ore morirà, mi chiedo come sia stato possibile. Eppure ha ragione: dieci e più omicidi, un killer di mafia che per quei crimini ha trascorso trentaquattro anni di carcere. E non sarebbero bastati, se non fosse stato per la malattia terminale, fulminante, che gli ha aperto la porta della cella, ma solo per andare a morire tra i suoi, in un piccolo alloggio della provincia emiliana.
In carcere ha imparato a leggere e scrivere, si è diplomato, ha fatto teatro, ha letto per la prima volta il Vangelo ed è stato folgorato dal racconto del figlio perduto che torna alla casa del padre.
Qualunque cosa si pensi delle religioni, e del cristianesimo in particolare, è in casi come questi che si misura la potenza, l’attualità assoluta di testi come Luca 15. Quando li legge un uomo come lui, che si autodefinisce “belva”, che ha pensato più volte al suicidio e che alla fine ha deciso di non farlo, come piccola compensazione versata quotidianamente ai parenti delle sue vittime: “Penso che il fatto di sapere che marcisco in galera possa essere di sollievo alla loro sofferenza”.
Distesa sul letto accanto a lui è la figlia, che ha lasciato per entrare in carcere quando lei aveva pochi mesi di vita e la ritrova ora, donna fatta, nelle ultime ore della propria vita. Come se il tempo non fosse passato, le stringe la mano con la delicatezza del padre con una figlia piccola piccola, ma a guardarli non so decidermi chi dei due sia l’adulto e chi il bambino.
Ignazio de Francesco