
Tudor Petcu ci propone l’intervista a padre Alessandro Frezza, sacerdote ortodosso italiano, partendo dalla sua testimonianza di fedele convertito dal cattolicesimo all’ortodossia.
Fino a quando parliamo del modo in cui Lei ha incontrato e scoperto l’Ortodossia, mi piacerebbe che mi parlasse un po’ sull’eredità spirituale che ha ricevuto nel mondo cristiano in cui Lei è nato e cresciuto.
Dal punto di vista religioso nasco cattolico, in una famiglia che mi ha dato un’istruzione religiosa tipica per la maggior parte degli italiani: battesimo, catechismo e prima comunione. Ho avuto un adolescenza problematica, oggi diremmo che subii del “bullismo” a scuola, marinavo il catechismo per la preparazione alla Cresima/Confermazione e la stessa la ricevetti durante il corso di preparazione al matrimonio. Come corso pre-matrimoniale e catechismo alla Cresima, il buon Don Filippo Rocchi della Chiesa di San Damaso, a Roma nel quartier di Monteverde, mi fece partecipare a dei corsi di Evangelizzazione (dove successivamente partecipai anche come organizzatore, con altri Laici, portando la mia testimonianza). In questo periodo ho sentito risvegliarsi la fede, ho cominciato a vedere la Chiesa (intesa come comunità di fedeli a me vicini) come un corpo vivo e non più come un sepolcro imbiancato.
Tenendo conto del suo percorso spirituale, potrebbe dirmi quale fu di fatto la ragione per cui Lei ha deciso di scegliere la conversione all’Ortodossia? Si potrebbe dire che la Chiesa Ortodossa ha conquistato subito il suo cuore e se sì, perché?
Mia moglie, fervente Cattolica, dice che sono stato toccato dallo Spirito Santo. Anche io sono rimasto sorpreso da questa mia metamorfosi, ma procediamo con ordine.
Ho una colpa che ancora mi causa vergogna: ho sempre imprecato. Un giorno, guardando un film notai un attore che si segnava con il segno della croce “al contrario” e mi chiesi il perché…cominciai a cercare su google: perché gli ortodossi fanno il segno della croce al contrario? perché gli ortodossi hanno le icone e non le statue? e cominciai a visitare le chiese ortodosse qui a Roma (le russe di Via Palestro e di S.Caterina, non lontana dal Vaticano), quella Greco-Ortodossa di San Nicola a Lecce (dove ricordo una profonda, lunghissima e stupenda chiacchierata con Padre Giovanni), seguivo alcuni siti di spiritualità ortodossa che ancora oggi mi accompagnano quotidianamente così come la lettura delle scritture… un giorno mia moglie mi chiese da quanto non imprecassi più…. contai con le dita della mano, erano ormai trascorsi mesi e rimasi sbigottito a contarmi e ricontarmi le dita… Sappiamo che il Santo Spirito agisce per vie a noi ignote e misteriose ma probabilmente mia moglie ha ragione… A questo punto posso dire che la fede Ortodossa ha toccato il mio cuore immediatamente, fin dai miei primi studi (all’inizio erano solamente delle semplici “googlate”, poi il corso di Liturgia Spirituale…) e l’incontro col Mons. Ortenzi, la mia incardinazione come Diacono prima (avvenuta per motivi contingenti e, anche questa, rimane per me avvolta da un velo di misticismo) e Sacerdote poi, mi hanno travolto.
Le ho già domandato sul suo percorso di conversione all’Ortodossia, ma ora le chiedo di parlarmi sul suo percorso spirituale da quando Lei è diventato Ortodosso. Lei ha dovuto rinunciare all’uomo che era per diventare un uomo nuovo nella Chiesa Ortodossa?
Io non ho “dovuto” rinunciare a nulla! E’ mio il desiderio di essere un uomo diverso, ogni giorno migliore di quello che ero ieri. E questo discorso va di pari passo sia per il mio essere “ortodosso” che per il mio essere “sacerdote ortodosso”. Io sento il peso soave di indossare i paramenti da Sacerdote, sento la responsabilità del dover dare l’esempio nella fede, di essere all’altezza della celebrazione, davanti agli occhi dei fedeli e a quelli, più benevoli, del Signore. Quando le fedeli mi baciano le mani o i paramenti, mi sento come Celestino V, (il Papa del gran rifiuto che Dante colloca all’Inferno) nel chiedere al Signore perché ha voluto che io ricopra questo ruolo….
Vista la sua conversione all’Ortodossia, come descriverebbe Lei infatti la conversione stessa? Dall’altra parte, si può dire dal suo punto di vista che la conversione sarebbe necessaria anche per le persone che sono nate nella Chiesa Ortodossa?
Se per conversione intendiamo il riscoprire una spiritualità tutta nuova, assolutamente sì, è necessaria.
Non riusciremo mai a credere o a pregare perché ci viene detto di farlo. Deve esserci una epifania nel nostro cuore e nel nostro modo di vivere, una scintilla che ci sprona a cercare Dio. Comprendo quelli che, come me tempo fa, “credono ma non frequentano” e si professano bravi cristiani solo perché non rubano e non ammazzano ma questo discorso è superficiale e si può accettare con paterna benevolenza solo da colui che tenta un nuovo approccio con la Chiesa, giustificandone la distanza mantenuta fino a quel momento. Anche perché l’esempio principale della vita di Nostro Signore Gesù Cristo è la predicazione e l’evangelizzazione, un esempio che si può seguire soltanto vivendo, anche solo da fedele, la vita della propria comunità ecclesiastica.
Ho sempre sentito dire che l’Ortodossia esiste solo in Cristo e attraverso Cristo, ma quali sarebbero i suoi argomenti per l’affermazione secondo cui la Chiesa Ortodossa è davvero la Chiesa di Gesù Cristo?
E’ proprio nella definizione di Ortodossia, l’indicazione della retta fede, il sentire dei fedeli Ortodossi. Ecumenicamente e da “transfugo cattolico”, credo che la fede sia una sola, il Cristianesimo. Cattolicesimo e Ortodossia, ognuna con le proprie peculiarità e tradizioni, i propri riti, usi e costumi, conducono a Nostro Signore Gesù Cristo e al Padre Nostro Dio. Nell’Ortodossia, il rispetto dei riti arcaici, delle tradizioni, non è fine a se stessa, non è un aspetto trascurabile della fede ma forma della preghiera identificata dai fedeli con l’identità stessa dell’ortodossia. Poi, se vogliamo parlare di successione apostolica, col fatto che per troppi secoli se ne perde traccia tra i patriarchi di Roma… sono dati oggettivi ma non voglio parlare di una Chiesa della quale non faccio parte.
Se volessi conoscere meglio il patrimonio ortodosso d’Italia, quali sarebbero i principali aspetti che Lei mi presenterebbe?
Nonostante l’Italia non sia un territorio canonico per l’Ortodossia, ci sono state nelle isole, in Campania, Puglia, Abruzzo e Calabria grandi comunità Ortodosse di origine greca, così come nel Trivenento e in Emilia Romagna, dove abbiamo avuto il Patriarcato di Aquileia e la Metropolia Autocefala di Ravenna. In Calabria abbiamo il Meruciom, un territorio all’interno del Pollino, in cui fiorì per molti secoli il monachesimo greco-orientale. L’immigrazione dal Peloponneso costituì la comunità Arbaresh che dipendeva dal Patriarcato di Ocrid (Patriarcato Bulgaro) e fu poi soppresso dopo il concilio di Trento nel 1535. La Chiesa Cattolica, nel 1535, affrontò la questione ortodossa costringendo tutti i religiosi ortodossi a convertirsi. Molti fuggirono, anche presso il Monte Athos ma ci furono anche condanne al rogo per coloro che non si convertirono e scelsero di rimanere in Italia. Nel meridione, oltre il San Giovanni Crisostomo si celebrava il Rito Gallicano di Messina mentre in Puglia si usava la Divina Liturgia di San Pietro e nel Triveneto il Rito Patriarchino. Nella seconda metà del XX secolo, nuovo impulso all’ortodossia Italiana arriva da Mons. Antonio DeRosso che fonda la Chiesa Ortodossa in Italia mentre in Piemonte nasce un gruppo di spiritualità ortodossa legato a Mons. Leopoldo Adeodato Mancini, del Patriarcato Assiro-Caldeo. L’eredità spirituale di queste due realtà, è stata raccolta, nel XXI secolo dalla Chiesa Ortodossa Italiana di Mons. Filippo ORTENZI e Massimo GIUSIO.