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E farai due cherubini d’oro. […] I cherubini avranno le ali spiegate in alto, per coprire il coperchio [dell’Arca] con le loro ali. Saranno rivolti l’uno verso l’altro, e le facce dei cherubini saranno volte verso il coperchio. […] Là io ti incontrerò, e parlerò con te da sopra il coperchio, fra i due cherubini che sono sull’Arca della Testimonianza, [ti comunicherò] tutti gli ordini per i figli d’Israele.
Es 25, 18-22
Tra gli elementi più affascinanti e misteriosi del Tabernacolo edificato dagli Israeliti nel deserto troviamo senza dubbio i keruvìm (“cherubini”), posti sulla Kappòret (la copertura d’oro dell’Arca del Patto), nascosti nel luogo più sacro del Santuario.
La Bibbia parla dei cherubini anche in altri contesti. All’inizio della Genesi, dopo la cacciata dell’umanità dal giardino dell’Eden, si legge che Dio “pose i keruvim e la spada fiammeggiante che si volgeva intorno per custodire la via dell’albero della vita” (Genesi 3:24). Nella loro prima apparizione, questi esseri celesti sono dunque presentati come custodi minacciosi del paradiso perduto.
Oltre che nel Tabernacolo, le immagini dei cherubini compaiono più tardi anche nel Tempio di Salomone, dove le loro figure erano scolpite e incise sulle pareti e sulle colonne dell’edificio sacro (1 Re 6:23-29).
Inoltre, il profeta Ezechiele usa il termine keruvim per descrivere le creature che circondano il carro divino nella sua famosa visione (Ezechiele 10-11).
Ma che funzione avevano questi enigmatici personaggi? Qual era il loro aspetto e cosa rappresentavano? Ci apprestiamo a scoprirlo insieme attraverso un’analisi delle fonti bibliche e delle principali ipotesi formulate nel corso dei secoli.
Cherubini: oggetti o creature?
Benché alcuni sostenitori di teorie ufologiche (molto popolari su internet) asseriscano oggi che i cherubini fossero in realtà delle “macchine volanti”, o dei congegni tecnologici, su questo punto la Bibbia non lascia spazio a dubbi: i keruvim sono creature, entità legate alla natura e non oggetti inanimati e artificiali.
Ciò si deduce da versi come 1 Re 6:29, secondo cui le pareti del Tempio a Gerusalemme erano decorate con immagini di “cherubini, palme e fiori”. In 1 Re 7:29 è scritto poi che Salomone fece costruire dei pannelli su cui erano incise immagini di “leoni, buoi e cherubini“.
I keruvim sono quindi associati ad animali e a piante, come se si trattasse di elementi naturali, adatti a essere raffigurati all’interno di opere artistiche a scopo ornamentale, e dunque dotati di una forma ben riconoscibile.
Ezechiele, inoltre, nella sua già citata visione della gloria divina, chiama i cherubini chayòt, cioè “animali” o “esseri viventi”, termine che non si addice a un congegno inanimato.
La forma dei cherubini
Qual è, dunque, secondo la Bibbia, l’aspetto dei cherubini?
Una celebre opinione riportata nel Talmud sostiene che i keruvim avessero le sembianze di bambini (Chagigah 13b). Una simile idea è stata accolta anche dall’arte cristiana, che ha spesso raffigurato questi esseri come fanciulli alati, ispirandosi probabilmente alle immagini pagane di Cupido e dei putti.
Il mondo rabbinico ha elaborato però anche altre ipotesi: secondo Radak, i keruvim dell’Arca non erano simili a bambini, ma a uomini adulti; per Rashbam e Chizkuni si trattava invece di uccelli, mentre Ibn Ezra scrive che i cherubini (almeno quelli dell’Eden) avevano “forme spaventose”.
L’interpretazione più vicina al testo biblico sembra essere però quella di Rabbi Joseph Bekhor Shor (XII secolo), che identifica i keruvim con “angeli dalla forma di buoi”. Ezechiele, infatti, proprio descrivendo l’aspetto delle misteriose creature, utilizza il termine keruv come sinonimo di shor, cioè “bue” (1:10; 10:14).
L’archeologia ha avvalorato questa ipotesi portando alla luce imponenti sculture di buoi e leoni alati con volti umani, che in Assiria e a Babilonia erano spesso collocate all’ingresso dei templi. Secondo alcuni studiosi, tali figure erano chiamate karibu, nome che indica benedizione e che richiama il termine ebraico keruv.
Dio “siede sui cherubini”
I cherubini della Torah sono davvero imparentati con questi colossali guardiani dei santuari? È possibile. Esiste però un’altra immagine, anch’essa comune nel Vicino Oriente antico, che si avvicina di più alla descrizione dei keruvim dell’Arca: quella delle figure alate che in Egitto e in Fenicia adornavano i troni dei sovrani.
Un esempio particolarmente rilevante si trova in un bassorilievo raffigurante l’accampamento del faraone Ramses II (probabilmente il Faraone dell’Esodo) durante la sua campagna militare contro gli Ittiti. Qui, nella sala del trono, si vede l’emblema del faraone affiancato da due esseri alati (vedi l’immagine) che ricordano i due keruvim sopra l’Arca del Patto.

Nel suo libro Ani Maamin, il Prof. Joshua Berman afferma che il Tabernacolo degli Israeliti si presenta come una versione “purificata” di questa immagine idolatrica, con l’autorità incontrastata del Dio unico che sostituisce quella di Ramses. La Torah sferra così il suo attacco contro il politeismo e l’esaltazione del presunto potere divino che gli antichi attribuivano ai loro sovrani.
A conferma di ciò, si deve ricordare che la Bibbia si riferisce in varie occasioni a Dio come a “Colui che siede sui cherubini” (1 Sam. 4:4; 2 Re 19:15; Isaia 37:16). Pur non usando tale espressione, il brano dell’Esodo citato all’inizio dichiara che il Creatore parlerà al popolo “da sopra al coperchio, fra i due cherubini”, proprio come un re che comunica i suoi decreti mentre è assiso sul suo trono.
L’Arca del Patto, trovandosi alla base del trono su cui i cherubini dispiegano le loro ali, è perciò chiamata talvolta “lo sgabello dei piedi di Dio” (Salmi 99:5; Salmi 132:7; 1Cronache 28:2).
Nel caso del Tabernacolo, abbiamo però un trono vuoto, su cui non è posta alcuna immagine. La visione monoteistica e astratta della fede d’Israele si distingue così dagli altri culti antichi, parlando di una Divinità che parla e si manifesta, ma che rimane invisibile.
I cherubini e il vento
Indagando sull’aspetto dei keruvim, siamo giunti a comprendere che queste figure affiancavano e custodivano il trono di Dio all’interno del Santuario, secondo il modello dei grandi sovrani del Vicino Oriente.
Ma cosa rappresenta di per sé il cherubino, al di là dalle sue sembianze e dalla collocazione nel Tabernacolo?
Mentre in Egitto e in Mesopotamia i guardiani alati dei templi e dei troni regali erano esseri divini, lo stesso non può dirsi dei keruvim delle Scritture. È interessante notare infatti che il testo biblico non riconosce mai a questi esseri alcun potere indipendente, né attribuisce loro alcuna personalità.
Ci fornisce un indizio il re David, che nell’esaltare il Creatore che domina nei cieli associa i keruvim al vento: “Egli cavalcava sopra un cherubino e volava, appariva sulle ali del vento” (Salmi 18:10). L’idea è coerente con la visione di Ezechiele, in cui quattro cherubini (come i quattro venti) fanno muovere la maestosa nube su cui la gloria di Dio si manifesta nei cieli.
In base a ciò, Umberto Cassuto, nel suo Commentario alla Genesi, interpreta i keruvim come personificazioni poetiche dei venti. La spada fiammeggiante dei cherubini dell’Eden starebbe quindi a simboleggiare il fulmine, che con i suoi bagliori celesti ricorda una lama che si scaglia in ogni direzione.
“Il cielo è il mio trono, e la terra lo sgabello dei miei piedi”, è scritto in Isaia 66:1. Questa immagine della sovranità di Dio sull’universo si riflette simbolicamente all’interno del Santuario, con l’Arca che, come abbiamo visto, corrisponde allo “sgabello dei piedi”, e il suo coperchio d’oro a rappresentare il trono.
In questo contesto, i cherubini andrebbero dunque intesi come immagine dei venti e di tutte le forze del cosmo sovrastate dalla Presenza divina, come custodi e servitori che sulla terra circondano il trono di un re.

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