
Dopo la morte del cardinale Schuster, il 30 agosto 1954, Pio XII nominò monsignor Montini arcivescovo di Milano. Di fatto fu un allontanamento da Roma: a Pacelli non piacque l’atteggiamento del suo collaboratore nei confronti della situazione politica italiana: troppo vicino a De Gasperi e troppo poco anticomunista, e forse con qualche contatto diplomatico segreto Oltrecortina. Pio XII non presiede la cerimonia di consacrazione, manda solo un radiomessaggio «al suo fedele collaboratore» benedicendo il «novello Pastore».
La decisione di Pacelli poneva tuttavia il prelato cinquantasettenne alla testa della più importante diocesi del mondo, anche se non venne accompagnata dal cappello cardinalizio, tradizionalmente assegnato agli arcivescovi di Milano, né in seguito Pio XII tenne più concistori per creare nuovi cardinali.
Milano nel 1955
Dopo aver percorso, spesso con sofferenza ma senza risparmio d’energie, tutta la carriera curiale fino al suo vertice, Montini si trovava di colpo proiettato a guidare la più grande diocesi cattolica per numero di preti, di parrocchie e di istituzioni e ad affrontare i complessi problemi della città che dal punto di vista economico e sociale più rappresentava la ricostruzione e la crescita tumultuosa del Paese, in un contesto caratterizzato da massicce immigrazioni dalle regioni meridionali, dalla costituzione di enormi periferie intorno alla città e dal punto di vista religioso da una sempre più rapida e radicale secolarizzazione.
Da qui nascerà tutto il suo impeto, il suo impulso, la sua ansia per il dialogo. Questa parola in Montini è sempre intesa non come dialogo fine a sé stesso ma come un ritorno all’annuncio del Vangelo a quegli ambienti che non sono diventati ad esso ostili, ma più drammaticamente impermeabili.
La Chiesa deve venire al dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola, la Chiesa si fa messaggio, la Chiesa si fa colloquio.
papa Paolo VI, Ecclesiam suam , 67
Roma era la grande città, la capitale, ma viveva un tipo di cattolicesimo e anche una vita sociale più provinciali rispetto ad alcune città del nord. C’erano ancora le grandi adunate attorno a papa Pio XII, si dava l’idea di un cattolicesimo fortissimo.
Milano, invece, aveva una società già più secolarizzata, con le grandi periferie che crescono con l’arrivo degli operai soprattutto dal meridione, con il mondo della finanza e quello della moda che semplicemente non si interessano più del cristianesimo.
L’ingresso di Montini a Milano
Giovedì 6 gennaio 1955: È una fredda giornata di pioggia. L’arcivescovo Giovanni Battista Montini si inginocchia a baciare l’asfalto a Melegnano, appena entrato nella diocesi di Milano.
Montini con un corteo di auto si avvicina poi al centro di Milano. Per festeggiare l’inizio del suo ministero offre il pranzo a 1200 poveri della città. Scrive Orio Vergani sulla prima pagina del Corriere della Sera:
In piedi sulla macchina aperta, […] sotto la pioggia, per vedere bene in viso tutti, per essere visto bene da tutti, per indicare con un gesto semplice, la sua spirituale dedizione a tutti.
La RAI segue in diretta la celebrazione in duomo e più di 30.000 fedeli assistono alla Messa.
L’arcivescovo Montini e il mondo del lavoro
Già in occasione del suo ingresso nell’arcidiocesi, nel duomo di Milano, Montini aveva dedicato alcune parole al mondo del lavoro:
Sarà mia cura cooperare affinché, invece che un campo di lotta, il lavoro diventi un terreno di sinceri e pacifici incontri umani, intesi alla vera collaborazione delle classi e all’incremento del bene comune.
mons. Giovanni Battista Montini, 6 gennaio 1955
La prima visita di Montini è a Sesto San Giovanni. Un gesto con una alta densità di significato in ordine al dialogo voluta e cercata: la città degli operai, la Stalingrado d’Italia.
Appena tre giorni dopo il suo ingresso a Milano – il 9 gennaio 1955 – Montini arriva nella nostra città, Sesto San Giovanni, in una prepositurale di Santo Stefano gremita: “Inizio qui il mio colloquio con il popolo milanese”, disse allora, avendo significativamente premesso: “È stato scritto di me che sono l’arcivescovo dei lavoratori io qui vi dico ‘Sì, sono l’arcivescovo dei lavoratori’. Nel silenzio dei miei studi e nelle vicende delle mie esperienze ho auspicato che un giorno mi fosse data la fortuna di poter dare a un popolo autenticamente lavoratore la mia parola di saluto e di speranza”. Mi pare evidente, da queste espressioni, quanto, in lui, entrato da pochissimo nella vita pastorale, fosse radicato il desiderio di confrontarsi con gente vera, alle prese per la grande maggioranza, con la realtà operaia.
Giovanni Bianchi
Dopo venti giorni è alla Magneti Marelli, poi alla Motta. Nei video dell’epoca Montini appare incuriosito, interessato, a volte quasi divertito. Poi, ancora nei cantieri della nuova metropolitana. Ormai per tutti è “l’arcivescovo dei lavoratori”.
Il primo maggio 1956 in piazza del Duomo per la solenne celebrazione eucaristica in occasione della prima festa cristiana del lavoro (la festa di San Giuseppe artigiano istituita da Pio XII l’anno prima) ci sono più di 200.000 lavoratori e 16 vescovi. Montini dice:
Bisogna dissipare l’enorme malinteso tra lavoro e religione.
Egli ha chiaro in mente un progetto ambizioso: sottrarre la classe operaia all’egemonia marxista e condurla sotto le ali della Chiesa; non però con le armi della condanna e della minaccia, ma con gli strumenti del dialogo e del reciproco rispetto.
In un ideale gemellaggio il Cristo lavoratore installato su un elicottero parte da piazza Duomo e arriva in piazza San Pietro.
Ma Montini non è solo “l’arcivescovo dei lavoratori”. Stabilisce fitti rapporti con industriali e imprenditori, rappresentanti del mondo della finanza e della borsa: Enrico Mattei, Vittorio Giuseppe Valletta, i Pirelli, i Rizzoli, i Falk, i Crespi. Si fa promotore di imprese milanesi in Italia e all’estero ed è il primo vescovo ad incontrare gli operatori economici della fiera campionaria.
Essere presente dove ferve la vita anche economica del mondo moderno, però, non basta né a lui né alla Chiesa. Manca l’essenziale. Dice l’arcivescovo Montini:
Ai milanesi non bisogna insegnare a fare soldi, ma bisogna insegnare a pregare bene.
Mons. Montini a Milano non piace a tutti: la bomba in curia
Questo arcivescovo non piace a tutti. Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1957 un’altissima fiammata e un fragoroso boato scuotono piazza del Duomo. Un ordigno rudimentale ma potente esplode nel cortile della curia. I locali sono vuoti e non ci sarà nessun ferito, ma i danni saranno ingentissimi.
Montini sembra meravigliato, non intimorito, e sdrammatizza. Il tribunale condannerà per questo attentato tre militanti di estrema destra.
La grande Missione di Milano
La Missione del 1957 fu il grande progetto pastorale del suo episcopato milanese. Milano è per Montini l’incontro effettivo, non letterario e non intellettualistico, col mondo contemporaneo. Il nuovo arcivescovo senza alcuna esperienza pastorale alle spalle capì che per riavvicinare alla Chiesa questa città moderna e industriale in via di secolarizzazione accelerata, «assorbita e tesa nel suo incessante e frettoloso lavoro» come dirà il 24 settembre 1957 annunciando la Missione di Milano, occorrevano nuovi metodi pastorali.
Lungamente preparata, la Missione si svolse dal 5 al 24 novembre 1957 e impegnò 1.288 predicatori, tra i quali i due cardinali arcivescovi di Bologna e di Genova, Giacomo Lercaro e Giuseppe Siri, accanto a sacerdoti discussi come Balducci, Turoldo e Mazzolari. L’unico laico a tenere catechesi fu Giuseppe Lazzati (1909-1986), il futuro rettore della Cattolica, con il quale i rapporti di collaborazione e di amicizia diventeranno sempre più stretti durante gli ultimi anni della permanenza a Milano. 15.000 furono le conferenze, 410 le sedi di predicazione, 150 gli enti e gli stabilimenti industriali visitati. Se la Missione non diede tutti i frutti sperati, essa confermò l’arcivescovo nella sua determinazione di imboccare strade nuove per l’evangelizzazione della società moderna.
Infatti il mondo dimostrava di andare per un’altra strada. Nonostante il gigantesco sforzo la grande Missione di Milano scorrerà via sulla grassa pelle della metropoli lombarda. E questo fu un segnale per Montini: il popolo cattolico non era più quello di una volta, solerte a seguire i fraterni richiami e le accorate convocazioni dei pastori d’anime. E sarà solo l’inizio.
Il cardinal Montini e il Concilio
Nominato cardinale nel dicembre 1958, Giovanni Battista Montini accolse con grande gioia la decisione del nuovo pontefice Giovanni XXIII di indire un Concilio. Nel suo messaggio di adesione del 26 gennaio 1959, parlava di «un avvenimento di prima grandezza», «grande per la Chiesa intera e per tutta l’umanità». Il votum che mandò a Roma in data 8 maggio 1960, «con grande ritardo», elencava tutte le tematiche montiniane: l’unità della Chiesa e l’ecumenismo; la liturgia; la Chiesa e l’episcopato; la Chiesa e il cristiano nel mondo.
Nominato membro della commissione centrale preparatoria del Concilio, l’arcivescovo di Milano giocò un ruolo di primo piano nell’ultima fase della preparazione del Vaticano II. Relativamente isolato in seno all’episcopato italiano dove prevaleva la linea ‘tradizionalista’ del presidente della Cei, il cardinale Giuseppe Siri, si adoperò soprattutto per sensibilizzare i suoi diocesani all’evento in preparazione. La sua lettera pastorale Pensiamo al Concilio (22 febbraio 1962) ebbe un’ampia diffusione. Fu piuttosto discreto durante il primo periodo del concilio (solo due interventi in aula), ma molto influente e ascoltato. La cautela del cardinale Montini si spiegava anche col fatto che si sapeva osservato dai suoi avversari: gli antimontiniani non avrebbero mancato di sfruttare eventuali passi falsi dell’arcivescovo in vista del futuro conclave.
Che cos’è la chiesa? Che cosa fa la chiesa? Questi sono come i due cardini attorno a cui devono disporsi tutte le questioni di questo Concilio. Il mistero della Chiesa e il compito ad essa affidato e che essa deve eseguire: ecco l’argomento a cui deve interessarsi il Concilio! Tutti, infatti, chiedono che la chiesa, chiaramente e consapevolmente, proclami la sua natura, il compito eterno ad essa affidato e la sua azione propria nel tempo odierno.
Intervento del cardinal Montini al Concilio Vaticano II