
da Santa-rus.com, La Santa Rus’. Grazia e bellezza nell’incontro con la Santa Rus’.
Lo ieromonaco Giovanni (Guaita) è una figura eminente del clero moscovita. Nato il 26 novembre 1962 in Sardegna, ha conseguito le lauree in Lettere e Lingue delle Università di Ginevra e Cagliari, e compiuto vari soggiorni di studio a Mosca e San Pietroburgo. Dal 1989 risiede stabilmente a Mosca dove per molti anni ha insegnato presso varie Università statali. Il 28 marzo 2010 è stato ordinato diacono dal metropolita Hilarion, e l’11 settembre sacerdote. Il 31 ottobre dello stesso anno ha pronunciato i voti monastici nella Cattedrale della Laura della Santissima Trinità di San Sergio e oggi serve nella chiesa moscovita dei santi Cosma e Damiano.
Offriamo ai nostri lettori una sua illuminante riflessione sul senso spirituale di questa epidemia di Coronavirus, una elaborazione che ha postato nella sua pagina Facebook in questi giorni che lo vedono colpito da questa malattia. Allo ieromonaco Giovanni la nostra gratitudine per la riflessione unita alla preghiera per la sua pronta guarigione.
Questo Coronavirus ha un’enorme utilità spirituale, almeno, certamente per me.
Io non ho nessun problema a vivere nell’isolamento. In condizioni normali, già da tempo la prima metà della settimana cerco di stare a casa e di limitare al massimo i rapporti “esterni” (che, invece, nella seconda metà della settimana sono sempre tantissimi). La solitudine e l’isolamento non solo non mi pesano, ma sono forse parte di questa mia strana vocazione monastica e eremitica al centro di una megalopoli.
Solo che un conto è la solitudine quando stai bene, e puoi leggere, scrivere, lavorare, meditare, pregare: è un eremitaggio che è quasi una vacanza! Tutt’altro è quando devi stare per ore intere seduto o sdraiato nella totale INATTIVITA’, perché non ce la fai: né a leggere, o scrivere, o lavorare, e neanche a pregare… A casa ho una cappella meravigliosa con icone, e altare, e tutto, ma …non ce la faccio.
Allora mi viene in mente l’inattività assoluta di Gesù sulla croce, che per tutti noi è valsa molto di più di tutti i suoi più straordinari miracoli presi insieme. E’ vero che dopo il Coronavirus niente sarà più come prima: almeno il nostro “materialismo spirituale”, il fatto che perfino la preghiera ce la immaginiamo come un’attività (mentre la più alta preghiera è solo offerta), questo certamente dovrà cambiare…
Mi ricordo di p. Georgij che nei giorni della malattia diceva che passava il tempo a ricordare i nomi di tutti, facendoli scorrere nella memoria, come sgranando i nodi di un rosario. Centinaia e centinaia di nomi: di chi mi ha amato e ho amato, di chi non sono stato capace di amare, pur volendolo, di quanti ho deluso, o ferito, di quanti ho dimenticato da tempo… Ora posso recuperare, solo così, pronunciando i nomi di tutti.
Chiara Lubich ha vissuto un’esperienza simile e ha scritto a questo proposito una pagina magnifica:
Ci sarebbe da morire se non guardassimo a Te, che tramuti, come per incanto, ogni amarezza in dolcezza: a Te, sulla croce nel tuo grido, nella più alta sospensione, nella inattività assoluta, nella morte viva, quando, fatto freddo, buttasti tutto il tuo fuoco sulla terra e, fatto stasi infinita, gettasti la tua vita infinita a noi, che ora la viviamo nell’ebbrezza.
Ci basta vederci simili a Te, almeno un poco, e unire il nostro dolore al tuo e offrirlo al Padre.
Perché avessimo la Luce, ti venne meno la vista.
Perché avessimo l’unione, provasti la separazione dal Padre.
Perché possedessimo la sapienza, ti facesti “ignoranza”.
Perché ci rivestissimo dell’innocenza, ti facesti “peccato”.
Perché Dio fosse in noi, lo provasti lontano da Te.