«Giustizia immanente» – di Dietrich Bonhoeffer

Sul limitare del 1942, in uno scritto destinato agli amici più cari (Bilancio sulla soglia del 1943 – Dieci anni dopo, in Resistenza e resa. Lettere e altri scritti dal carcere, Opere, vol. VIII, Queriniana, 2002,  pp. 21-40), Bonhoeffer traccia un bilancio di dieci anni di resistenza al regime di Hitler. Sono parole pesanti, maturate a contatto con l’esperienza della sofferenza, dell’ingiustizia e della morte. Ma sono anche parole piene di speranza che solo chi ha una fede grande può dare. Ne riproponiamo alcune.

È una tra le esperienze più sorprendenti, ma anche più inconfutabili, che il male si riveli – e spesso in un arco di tempo inaspettatamente breve – stupido e non funzionale al raggiungimento di un obiettivo. Questo non significa che la punizione segua dapresso ad ogni singola azione cattiva, ma che l’eliminazione sistematica dei comandamenti divini, nel presunto interesse dell’autoconservazione terrena, gioca a sfavore proprio di quest’ultima. Questa esperienza che ci è capitato di fare può essere spiegata in vari modi. In ogni caso sembra conseguirne con certezza che la convivenza umana possiede leggi più forti di qualsiasi cosa pretenda di levarsi al di sopra di esse, e che perciò non osservarle è non solo ingiusto, ma anche poco saggio. Dal che si comprende perché l’etica aristotelico-tomista elevi la sapienza al rango di virtù cardinale. La sapienza e la stupidità non sono realtà indifferenti dal punto di vista etico, come ha insegnato l’«etica della covinzione» neoprotestante. L’uomo saggio riconosce nella ricchezza del concreto e della possibilità che eso contiene i limiti invalicabili posti ad ogni agire da parte delle leggi permanenti della convivenza umana, così facendo, l’uomo saggio agisce bene, e l’uomo buono agisce secondo sapienza.

È certo però che non esiste alcun agire storicamente rilevante che a un certo punto non superi ogni volta i limiti posti da queste leggi. Ma c’è una differenza decisiva fra il trasgredire tali limiti ritenendo con ciò di sopprimerli radicalmente e di instaurare dunque un diritto sui generis da una parte, e il conservare dall’altra la consapevolezza che questa trasgressione rappresenta una colpa forse inevitabile che può esser giustificata solo ripristinando immediatamente la legge e rispettandola assieme ai limiti che essa pone. Non è affatto necessario considerare ipocrita l’affermazione per cui lo scopo dell’agire politico non è la semplice autoconservazione ma l’istituzione del diritto. Nel mondo le cose sono semplicemente disposte in modo siffatto che l’osservanza sostanziale delle leggi e dei diritti essenziali della vita è come tale quanto di più utile all’autoconservazione, e che queste stesse leggi ammettono solo una trasgressione di breve durata, eccezionale, e in casi non generalizzabili di necessità: mentre chi fa dell’emergenza un principio e stabilisce così una propria legge accanto ad esse viene prima o poi, ma con potenza irresistibile, distrutto. La giustizia immanente della storia premia e punisce solo l’azione; l’eterna giustizia divina vaglia e giudica i cuori.

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