Un carisma da vivere. La lezione di Max Weber

da Voceevangelica.it, «La Voce Evangelica» Giornale protestante on-line.

A cento anni dalla morte del sociologo Max Weber (1864-1920), la sua opera, e, in particolare L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, guida in alcune riflessioni, che potrebbero persino migliorare la vita. E continua a fornire spunti profetici rispetto al panorama religioso contemporaneo. In particolare è interessante riflettere sulla religione come fattore d’innovazione sociale. La crescita di una particolare forma di cristianesimo carismatico-pentecostale include, tra l’altro, un annuncio di speranza capace di concretizzarsi nell’emancipazione sociale. Quali e quante conseguenze ciò è in grado di produrre specialmente nelle comunità giovani, con alte percentuali d’immigrati? Sembra proprio che possa accompagnarne con successo l’evoluzione e l’inclusione.

Di contro al cristianesimo pentecostale, il protestantesimo storico vive una certa crisi che mette a rischio la sua sopravvivenza. Non si può vedere come un’applicazione del carisma antieconomico associato da Weber alla fase originaria della religione, in particolare al fondatore? In effetti le strutture istituzionali sono rimaste costitutivamente e per scelta deboli nelle comunità protestanti, a imitazione della prima chiesa.

L’utopia del regno è centrale nell’opera di Weber: nel protestantesimo appare molto storicizzata, coincidente con la ferialità, e, a cento anni di distanza, rischia persino di dissolversi nella mondanità, da un lato. Dall’altro lato questa maggiore fragilità dell’apparato organizzativo ha consentito ai protestantesimi una migliore ricezione dello spirito del tempo. Non è un caso che lo studio di Max Weber sul carisma, focalizzato sulle società calviniste, avvenga più o meno contemporaneamente alla prima esperienza pentecostale di Azusa Street.

L’agire morale in Weber è un indice significativo della religiosità. Questo appare come il carattere con maggiore discontinuità rispetto a L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Si può approfondire in quest’ottica la distanza crescente fra fede e vita nella società postmoderna e le conseguenti eredità: la fede nel privato e le radicalizzazioni.

Una religione per cambiare

La sociologia s’interessa alla religione fondamentalmente da due punti di vista, come elemento capace di integrare la società e conferirle stabilità oppure, al contrario, come germoglio rivoluzionario, capace di innovare. Ogni forma religiosa sedimentata potenzialmente tende di più a preservare se stessa e a favorire più l’integrazione della mobilità. Mentre le formazioni più recenti tendono a essere più effervescenti, più disponibili a mostrarsi in ricerca, in movimento. E sono analogamente fattore d’innovazione anche per l’ambiente circostante. Le due anime convivono nella religiosità dei gruppi e anche in quella personale. Max Weber è stato geniale e originale nell’accogliere alcune categorie tipicamente religiose, come l’idea di carisma, ad esempio, e di inserirle con precisione ed efficacia nelle scienze sociali. Il suo discorso sulle società protestanti valorizza il contributo della tradizione protestante di marca calvinista allo sviluppo della libera impresa. E dal connubio individua alcuni esiti interessanti, che intrecciano spiritualità e progresso umano, produzione di ricchezza. In questa combinazione la spiritualità è additata come motore che non perde di vista se stessa, e che, rispondendo alla propria vocazione, interviene sull’ambiente e, così facendo, produce. Questo intervento sul mondo attua una trasformazione, non può accontentarsi del già acquisito né può trovare facilmente requie, pena lo scadere nell’ozio deleterio. Di conseguenza la religiosità autentica si manifesta continuamente come cambiamento. E questo risultato è connesso particolarmente con l’espressione protestante della fede, perché più centrato sulla libera iniziativa e meno condizionata da strutture di guida e di controllo. La sociologia ingloba così una concezione finalizzata della vita, come rispondente a una chiamata e sollecitata a rispondere e a corrispondere fattivamente con l’azione, compensando, in questo modo, l’individualismo quasi esasperato dei presupposti con un riflesso che coinvolge tutto il contorno nel suo insieme. Come fattore di innovazione la religione può trovare diverse modalità di soluzione, che possono andare dall’emancipazione individuale fino al riscatto di popolo e al dinamismo collettivo, non contrassegnato necessariamente da caratteristiche di fede. Forse non si sperimenta mai abbastanza la religiosità e l’educazione alla fede come una grande occasione di imparare regolarmente a cambiare se stessi e le situazioni.

Alcuni gruppi religiosi sorgono sotto la spinta di un profondo desiderio di cambiamento, che realizza la persona nell’agire sociale. Ad esempio il movimento internazionale evangelico dell’Esercito della Salvezza, Salvation Army, fu iniziato da William Booth nel 1865 proprio in risposta e a servizio di un’esigenza sociale, manifestatasi nelle periferie di Londra, nel nuovo proletariato industriale. Booth era già un ministro di culto metodista, ma si propose un obiettivo più arduo dal punto di vista sociale, per potenziare l’incidenza del messaggio cristiano in relazione alle nuove esigenze. La conversione proposta non poteva né doveva ignorare le esigenze primarie, quali il nutrimento, l’igiene, oltre all’annuncio della salvezza. E lo fece coniugando il nucleo della fede cristiana con il modello dell’organizzazione militare. Il fervore del cambiamento di proposta è ispirata in William Booth e in sua moglie dai nuovi poveri del tempo. Diventano l’obiettivo da studiare, da raggiungere e anche la ragion d’essere della predicazione e del ministero evangelico.

L’analisi di Weber fotografa proprio l’innesco che rende la religione fattore di costruzione sociale. Ed egli in particolare spiega come il protestantesimo sia alla base della nascita del capitalismo e come la produzione della ricchezza rappresentasse per gli imprenditori protestanti, specialmente calvinisti, il modo migliore per realizzare un successo in grado di cambiare il proprio destino. E un condizionamento di così ampia portata raggiungeva interi popoli, segnandone il destino. Non è da sottovalutare un tratto fondamentale che la religiosità è destinata a imprimere sui soggetti che influenza, coincidendo con una certa visione della vita, con una specifica modalità di formulare giudizi e di predisporre scelte. L’agire umano incide così sulla realtà trasferendovi valori, molti dei quali di importazione religiosa. La progettualità e la motivazione che fungono da veri e propri navigatori nel fluire del tempo umano recano a loro volta le caratteristiche del sacro. E qualificano uno stare al mondo eminentemente creativo, che non è pago di quello che ha e di quello che trova, ma che genera continuamente, cercando di accorciare le distanze fra la realtà così come appare e l’ideale così come è configurato grazie alla motivazione interiore, alle aspirazioni, alle circostanze esterne. L’agire, caricato dalla motivazione informata di valore, non può esaurirsi in una finalità puramente utilitaristica, del tipo usa e getta. Necessita di un respiro più ampio che restituisca il riflesso della centralità della persona che lo ha concepito e posto in essere. La volontà acquisisce la funzione del canale che mette in comunicazione la teologia, il pensiero religioso, con l’agire e la sua razionalità. Nella sua Sociologia delle religioni il Nostro riconosce alla teologia un primato nella fisionomia dell’etica, fermo restando che sulla stessa intervengono successivamente altri condizionamenti, di tipo politico, economico, ecc. Quella che però imprime per prima il suo carattere è la teologia. Scegliendo questa angolatura, si osserva una perfetta continuità fra religiosità e ambiente sociale, non c’è conflitto né separazione. Si può anzi individuare l’emergere di un campo naturale di applicazione e di perfezionamento, l’ambito della vocazione, una vocazione non da monastero, non di uno stato di vita a parte, ma profondamente mondana.

Alcuni movimenti religiosi hanno sviluppato con forza questo aspetto. Cercano di collegare con maestria l’emancipazione sociale alla testimonianza della fede, un po’ come dire aiutati che Dio ti aiuta, ma anche, di contro, se sai aiutarti è segno che Dio ti aiuta molto, è con te, ti predilige. Molti gruppi della galassia pentecostale, ancora giovane e in grande espansione, trovano terreno fertile presso le comunità d’immigrati specialmente bisognosi d’integrazione e di riscatto sociale, della conquista di condizioni migliori di vita per sé, per la propria famiglia, per la comunità di appartenenza, che in terra d’immigrazione diventa la famiglia, che tante volte rimane nella terra di origine. Lo Spirito parla soffiando vita, che prende corpo, che trasforma, che spinge in avanti, verso il miglioramento. La predicazione di fede non si disgiunge dall’integrazione in terra straniera, portando alla luce tutta l’attualità dei nessi evidenziati da Weber.

Fede e speranza

La fede è una gigantesca fabbrica di speranza. Molto spesso, se manca una, manca anche l’altra. E il bisogno della speranza nasce soprattutto nelle condizioni di maggiore indigenza, se non proprio di disperazione. Se la realtà circostante non sembra rispecchiare la pace così come i testi sacri la consegnano, come Dio, come l’effetto della perfetta armonia concepita da lui e in lui, allora è segno che una realtà alternativa chiede di essere desiderata e preparata. La speranza coincide proprio con questa abilità.

E’ paragonabile all’ingegno del pittore, che pensa a una sagoma, la immagina in un contesto e poi la realizza sulla tela o sulla parete. La speranza è l’elaborazione di un ideale alternativo alla realtà presente. La sua funzione non è, però, quella di rimanere un’alternativa onirica, ma quella di prendere gradualmente il posto della realtà. Se la religione mette a frutto la propria abilità innovatrice, allora i processi di elaborazione della speranza sono fra le risorse in prima linea da mettere in campo.

L’esercizio intramondano di ascesi, di cui Weber parla diffusamente ne L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, diventa un imperativo da tradurre nel lavoro continuo, nell’impegno di accogliere e mettere a frutto la grazia per realizzare prosperità a servizio della costruzione del Regno di Dio. Nelle pagine in cui Weber approfondisce questo concetto si rifà al predicatore puritano Richard Baxter (1615-1691). Naturalmente la produzione di ricchezza non è il fine dell’azione, ma solo una conseguenza dell’azione finalizzata invece a non sprecare il tempo e i doni concessi da Dio e funzionale anche come antidoto alla pigrizia, perniciosa perché porta ad adagiarsi, a stare comodi e a rimanere appagati con quello che si ha e che si è.

Questa logica si trova in linea con la raccomandazione paolina: chi non vuol lavorare non deve neanche mangiare (2Ts 3, 10). Il lavoro qualificato attraverso l’azione religiosa si profila come grazia concreta, speranza che diventa fatto e manifesta la destinazione di Dio al bene. E’ come dimostrare ogni giorno di essere stati salvati da lui.

Il carisma come cuore pulsante

La sostanza innovativa della religione alloggia in una sostanza strana, dotata di una capacità tutta sua, denominata carisma. Questa peculiarità non genera materia, ma genera spirito e dovunque intervenga produce un cambiamento. A differenza dell’etica, che si può definire più facilmente e in base alla razionalità, all’adeguamento di un valore nell’azione, il carisma è misterioso e serba in sé una buona dose di irrazionalità. E’ inspiegabile, non si può insegnare né tantomeno comprare. Solo che per arrivare a influenzare la società il carisma deve lasciarsi testare dal tempo, morire e poi sottoporsi, attraverso ulteriori mediazioni, all’istituzione. Diversamente scompare senza lasciare traccia. Il carisma e la sua cura nel tempo da parte dell’istituzione garantisce la riserva di umanesimo che disinnesca l’efficientismo senz’anima o la pigrizia demotivata, cui l’istituzione può andare incontro.

Potenza rivoluzionaria specificamente creatrice di storia, così Weber definisce il carisma in Economia e Società. Questa qualità rivoluzionaria consente all’evento carismatico di intervenire sulla storia e di cambiarla, ma partendo sempre da una novità percepita dal soggetto nell’intimo di se stesso, come sua personale e irriducibile esperienza, che Rudolph Otto avrebbe potuto considerare nella cornice del sentimento di creaturalità che rientra nella fenomenologia del sacro. Il carisma, quindi, si assicura sopravvivenza, continuità nella storia e stabilità, trovando riparo in una istituzione. A lungo andare, però, l’istituzione, che tende a conservare soprattutto se stessa, e, a volte, anche a fossilizzarsi, rischia di soffocare il carisma iniziale. Questo, quindi, è destinato a risorgere come araba fenice attraverso nuovi soggetti, circostanze propizie, ecc., per mettere in questione l’istituzione e spingerla a scegliere e a rinnovarsi. Il carisma non è amante di formalità ed è antieconomico per definizione, quindi è inevitabile che torni a scuotere le istituzioni, cui ha dato vita, da sonni troppo tranquilli.

A più livelli il carisma è destinato a ripresentarsi con la sua esigenza di cambiare pelle, conservando il cuore di un tempo. E per rigenerarsi rimette in discussione le motivazioni fondamentali e induce a dinamiche di separazione, di approfondimento, che preludono a un rinnovamento graduale anche esteriore e poi su scala più ampia fino a estendersi anche all’aspetto più razionale e formale. Diversamente si sclerotizza, invecchiando oppure si svende all’istituzione, diventando estraneo in se stesso. Inoltre l’agire deve risentire continuamente della reviviscenza del carisma e tradurre l’intenzione e la motivazione originarie fondate sul carisma in azioni opportune nel sociale.

Il continuo collegamento e adattamento fra carisma e azione è necessario, se si vuole evitare che l’azione si svuoti o che il carisma finisca col perdere aderenza. Il carisma trova il proprio habitat ideale in un equilibrio in grado di coniugare irrazionale e ragione, sentimento e pratica, motivazione e istituzione, pena lo scivolare in una fuga dal mondo oppure rimanere intrappolato nella rigidità di una struttura destinata nel tempo a diventare sempre più aliena rispetto al cuore pulsante. Ciò è verificabile nella vita dei singoli, nei gruppi e nella società. Per Weber il discorso trovava applicazione soprattutto nelle religioni e nella loro tensione e contaminazione con le società.

Nel mondo con un carisma

La lezione di Max Weber è molto complessa, ricca di spunti, innovativa nel panorama sociologico del tempo e tale da oltrepassarlo. La sua intuizione geniale si è concentrata sul punto in cui gli interessi materiali che determinano un’azione si lasciano qualificare da una sorta di anima. E per definire quest’anima è ricorso al lessico propriamente teologico e specificamente cristiano e paolino. E ha chiamato quest’anima carisma. Il concetto che le infonde sostanza è ben noto a tutti gli ordini religiosi, tutti sorti dal carisma di un fondatore. Lo stesso si può affermare per tutti i fondatori delle religioni.

Avremmo mai sentito parlare di islam, se il profeta Muhammad non avesse espresso un carisma? Esisterebbe oggi il buddhismo, se Siddharta non avesse richiamato l’interesse di gruppi di discepoli? E del cristianesimo sarebbe rimasto qualcosa, se Gesù non avesse attratto la gente con il suo carisma che tanti hanno ricercato anche dopo di lui in chi parla a nome suo? Questi sono esempi emblematici emersi dall’universo delle religioni. Tante volte nei discorsi comuni si parla di carisma.

E se torniamo alla fonte di questo concetto teologico chiave, non possiamo che constatare la sua assoluta normalità. L’apostolo Paolo non lo riserva a persone eccezionali o nate per uno scopo particolare, bensì lo estende a tutte le membra dello stesso corpo, che ha Cristo come capo. I luoghi biblici incentrati su questa metafora sono nella prima lettera ai Corinzi (12), nella lettera ai Romani (12, 6-8). Nella prima lettera ai Corinzi il carisma è sviluppato seguendo l’immagine del corpo, che ha molte membra, con diverse funzioni, ma tutte a vantaggio dello stesso corpo. Nella lettera ai Romani i carismi si concretizzano in ministeri, in specifiche forme di servizio all’unico corpo, di cui Cristo è il capo, come si legge nella lettera ai Colossesi (1, 18). Il carisma è un dono dello Spirito Santo che non disdegna nessuno: In ciascuno, lo Spirito si manifesta in modo diverso, ma sempre per il bene comune (1Cor 12, 7). Quindi, anche in assenza di espressioni eclatanti, ciascuno riceve in sé la grazia che abilita ad agire per il bene non semplicemente individuale, ma dell’insieme. Mentre poi si agisce per il bene comune, questa grazia realizza ciò che il soggetto custodiva in potenza e con ciò gli infonde una forma di soddisfazione che lo fa sentire realizzato e che contribuisce al suo benessere complessivo. Questo discorso religioso, di derivazione paolina, in realtà sfocia in un campo ampio quanto l’umanità.

All’interno dell’ampio obiettivo di riparare il mondo, secondo il linguaggio tipico della cabala, la sapienza ebraica indica un percorso specifico per ognuno. Il sentiero di vita che si percorre può sembrare più o meno comune rispetto a quello degli altri, ma presenta sempre una cifra irripetibile e rappresenta anche lo specifico modo in cui raggiungere il proprio specifico fine.

Nella sua essenza questa logica non è lontana da quella dei carismi. E non è limitata a una cerchia ristretta, a una categoria predefinita, non è soggetta a una chiamata particolare, è di tutti, è per tutti. E Weber ne mostra un aspetto più collegato alla vita in società.

Cambia la vita, maturando una consapevolezza più profonda del fatto di essere animati da un carisma, cioè da un dono dello Spirito Santo, dalla grazia che abilita ad agire in modo da realizzare il bene e da realizzarsi nel bene? Se accogliamo la parola contenuta in 1Corinzi 12 come parola di Dio, dobbiamo concludere che ciascuno ha ricevuto un dono del genere. Tradurlo in vita nelle storie di tutti i giorni, liete e tristi, a noi più o meno comprensibili, sarebbe cosa gradita a noi per primi, per ricevere, di rimando, un senso complessivo della vita più soddisfacente. Riscoprire Max Weber da un punto di vista teologico non fa altro che rimandarci alla lettura di Paolo, alla finalità dell’agire. Potremmo accogliere, e sempre meglio, questo carisma da vivere con abbondanza.

Ada Prisco

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