
da Acli.it, Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani.
Pubblichiamo in più puntate (per renderli più agevoli da leggere), gli orientamenti per il 26° congresso nazionale delle ACLI. Il titolo scelto è “ACLI 2020 Più eguali. Viviamo il presente, costruiamo il domani”. Con queste parole s’intende porre particolare attenzione all’uguaglianza e alla giustizia sociale, temi fondamentali nel nostro movimento, per declinare al presente e al futuro quelle politiche sociali che si rivolgono agli ultimi e ai penultimi, ad un ceto popolare sempre più schiacciato verso il basso a causa di anni di crisi e di scarsa attenzione da parte della politica.
2. Lo strappo tra pensiero e azione
Le sempre più accentuate e multiformi disuguaglianze rappresentano lo sfondo sul quale si collocano più specifiche linee di frattura, che rappresentano altrettante prospettive sulle quali intendiamo concentrare la nostra attenzione. In particolare, pensiamo che ci siano almeno quattro strappi da ricucire attraverso la riflessione e l’azione diretta. Si tratta di quattro grandi contraddizioni, quattro ambiti della vita sociale ed economica le cui logiche stridono con l’ecologia integrale, il paradigma che più di altri è in grado di fermare quella che nella Laudato si’ viene definita «la spirale di autodistruzione in cui stiamo sprofondando» (N. 163).
- Strappo #01: Economia Vs. Ambiente
- Strappo #02: Lavoro Vs. Sapere
- Strappo #03: Periferia Vs Comunità
- Strappo #04: Politica Vs. Democrazia
Strappo #04: Politica Vs. Democrazia
Tutti gli studi e le ricerche degli ultimi anni concordano nell’affermare che gli Italiani sono sempre più distanti dalla politica: non nutrono fiducia nelle istituzioni e, specialmente, in quelle politiche, si allontanano dai partiti, dalle associazioni e organizzazioni di interesse, non apprezzano i politici e gli uomini delle istituzioni della democrazia rappresentativa.
Una lieve ma sensibile inversione di tendenza si è prodotta con l’avvento al governo dei partiti populisti, cioè di quelle formazioni che sono state capaci di intercettare e rappresentare l’insoddisfazione verso l’andamento della democrazia e il funzionamento dei partiti. Questi orientamenti risentono anche di un clima internazionale che sembra dominato da spinte alla chiusura e al separatismo: dalla politica di Trump alla scelta della Brexit, anche fuori dai nostri confini si assiste ad un’avanzata delle destre e al diffondersi di un neo-nazionalismo che rischiano di travolgere la struttura istituzionale in nome della malintesa aspirazione ad una maggiore efficienza del sistema democratico e della ricerca di consenso popolare. La riduzione del numero dei Parlamentari in Italia va letta anche in questa chiave ideologica. Tuttavia, ciò porta con sé un’illusione: che la democrazia possa funzionare senza i partiti, identificati con quanto di più deteriore, e, quasi, senza un Parlamento; che, in definitiva, possa fare a meno della politica, in nome di una democrazia diretta che salta ogni tipo di mediazione. Quest’ultima viene in alcuni casi surrogata dai canali offerti da una ormai pervasiva tecnologia, declassando l’attività politica e la partecipazione attiva al mero accesso a piattaforme e blog su Internet o ai commenti sui social network.
Fortunatamente resta diffusa tra i cittadini la convinzione che la democrazia sia preferibile a qualsiasi altra forma di governo, sebbene le sue istituzioni sollevino critiche. Ma a tal proposito non ci si può non chiedere: si può avere democrazia senza la dialettica tra i partiti, in quanto entità che organizzano e confrontano le istanze di parte? È possibile immaginare un sistema in cui non ci siano luoghi deputati, cui riconoscere una centralità, in funzione del ruolo ad essi assegnato di fare sintesi in vista dell’interesse generale?
Quello che le Acli colgono nel Paese, attraverso il loro radicamento e la loro natura popolare, sono le tante aspettative nei confronti della politica, legate al clima di incertezza che i nostri concittadini avvertono rispetto al proprio futuro. La risposta non può, dunque, consistere nell’alimentare l’antipolitica, ma nel cambiare il modo di fare politica, da un lato interpretando la forte domanda di rinnovamento delle sue forme e dei suoi attori, poiché «tutto ciò che non si rigenera, degenera», sostiene Edgar Morin. Disposti a pensare il mondo dal punto di vista della sua trasformazione, coinvolti nel cambiamento per orientarlo verso il bene comune. Dall’altro lato, “praticando” la politica come quell’arte e quella forma alta di servizio, di cui Paolo VI ha parlato. Perché anche la politica e la democrazia si leggono alla luce della giustizia sociale, nell’ottica per la quale politica significa dire al prossimo che non è solo.
Dare un nuovo senso alla parola politica appare – oggi – impresa ardua, quasi titanica; eppure, è l’unica azione che vale la pena di perseguire. Il punto di partenza non può che essere l’Europa, la nostra casa comune, con il suo modello sociale che in molti pensano superato è inadeguato alle sfide odierne, ma che tuttavia rappresenta l’unica possibilità di ricomporre uno spazio politico sempre più dominato dai nazionalismi nativisti e dai neofascismi più o meno mascherati. Se in Europa la sfida è di portata storica, a livello locale la prova che ci aspetta consiste nel sostenere amministratori locali e animatori politici, capaci di interpretare una politica che parte dal basso, e promuovere laboratori di azione politica quali spazi pubblici che amplino il repertorio degli strumenti di conoscenza e di iniziativa. Una politica legata alle comunità e verso di esse responsabile, che mobiliti energie intorno a progetti concreti, Perché la politica deve – per dirla con Magatti – «tornare a parlare di persone e attivarsi per creare legami, curare territori».