«Paradossalmente, dobbiamo ringraziare la Gestapo se Bonhoeffer ha scritto Vita comune. Infatti la polizia segreta, alla fine di settembre del 1937, aveva chiuso, insieme ad altri istituti della chiesa confessante, anche il «seminario per predicatori» e la fraternità di Finkenwalde, diretti da Dietrich Bonhoeffer, nel cui ambito un gruppo di pastori alle prime armi aveva cercato di praticare una «vita comune». In questo modo aveva indotto Bonhoeffer a mettere per iscritto le sue idee circa la vita di una comunità cristiana» (prefazione dei curatori al vol. 5 dell’Edizione critica delle Opere di Dietrich Bonhoeffer). Il pastore Bonhoeffer scrisse Vita comune nell’estate del 1938 e lo pubblicò l’anno dopo. Ne proponiamo alcuni brani.
«Io li voglio disperdere fra i popoli, e voglio che essi, nelle remote regioni, si ricordino di me» (Zc 10,9). Secondo la volontà di Dio i cristiani sono un popolo disperso, disseminato in tutte le direzioni, «per tutti i regni della terra» (Dt 28,25). È la loro maledizione e la loro promessa. In paesi remoti, fra gli increduli, deve vivere il popolo di Dio, ma così esso diverrà il seme del regno di Dio in tutto il mondo.
«Li chiamerò a raccolta, perché li voglio riscattare», «e ritorneranno» (Zc 10,8. 9). Quando sarà? È già avvenuto in Gesù Cristo, morto «per raccogliere insieme i dispersi figli di Dio» (Gv 11,52), e risulterà visibile alla fine dei tempi, quando gli angeli di Dio raduneranno gli eletti da tutte le direzioni, da un capo all’altro del cielo (Mt 24,31). Fino a quel momento il popolo di Dio è destinato a restare disperso, e il suo unico vincolo unitario è Gesù Cristo, la sua unica forma di unità, nella disseminazione in mezzo ai non credenti, è il far memoria di Gesù Cristo nei luoghi più remoti.
Quindi nel tempo fra la morte di Cristo e il giudizio finale si ha solo una specie di anticipazione per grazia delle cose ultime, se è data la possibilità ad alcuni cristiani di vivere già qui in comunione visibile con altri cristiani. E’ grazia di Dio il costituirsi visibile di una comunità in questo mondo intorno alla Parola di Dio e al sacramento. Non tutti i cristiani partecipano di questa grazia. I carcerati, gli ammalati, coloro che sono isolati e privi di ogni legame, i predicatori del vangelo in terra pagana si trovano soli. Sanno che è grazia una comunione visibile. Pregano con il salmista: «Infatti io volevo procedere con la folla, andare con loro fino alla casa di Dio fra voci di giubilo e di lodi, in mezzo a una moltitudine in festa» (Sal 42,5). Ma ora sono soli, seme disperso in paesi remoti, secondo la volontà di Dio. Ciò però che è loro negato nell’esperienza sensibile, essi afferrano tanto più appassionatamente nella fede. Così Giovanni, discepolo del Signore, l’autore dell’Apocalisse, nell’esilio e nella solitudine dell’isola di Patmos, celebra con le sue comunità la liturgia celeste «in spirito, nel giorno del Signore» (Ap 1,10). Vede i sette candelabri, cioè le sue comunità, le sette stelle, cioè gli angeli delle comunità, e al centro, al di sopra di tutto, il Figlio dell’uomo, Gesù Cristo, nella suprema gloria del risorto. Dalla sua parola riceve forza e consolazione. E la comunione celeste, a cui partecipa l’esiliato, nel giorno della risurrezione del suo Signore.