Questi versi di Primo Levi sono un piccolo miracolo di verità e pudore.
Non c’è romanticismo artificiale, nessuna idealizzazione: solo due vite intrecciate nel tempo, con la fatica, la tenerezza e le cicatrici che ogni amore maturo porta con sé.
Levi parla alla donna che gli è accanto non come a un simbolo, ma come a una compagna reale — affaticata, impaziente, viva.
Sognavamo nelle notti feroci Sogni densi e violenti Sognati con anima e corpo: Tornare; mangiare; raccontare. Finché suonava breve sommesso Il comando dell’alba: «Wstawać»; E si spezzava in petto il cuore.
Sulle dispense stava scritto un dettaglio che alla prima lettura mi era sfuggito, e cioè che il così tenero e delicato zinco, così arrendevole davanti agli acidi, che se ne fanno un solo boccone, si comporta invece in modo assai diverso quando è molto puro: allora resiste ostinatamente all’attacco. Se ne potevano trarre due conseguenze filosofiche tra loro contrastanti: l’elogio della purezza, che, protegge dal male come un usbergo; l’elogio dell’impurezza, che dà adito ai mutamenti, cioè alla vita.
“…La sera della vigilia ci disponemmo in fila per ricevere la zuppa, come ogni sera; davanti a me c’era Ezra, orologiaio di mestiere, cantore il sabato in un remoto linguaggio lituano. […] Quando fu di fronte ad Otto non porse la gamella ed invece gli disse: – Signor capo-baracca, oggi per noi è un giorno di espiazione, ed io non posso mangiare la zuppa. Le domando rispettosamente di conservarmela fino a domani sera.
da Joimag.it, il sito dell’associazione JOI, Jewish Open Inclusive.
Amata da molti, spesso citata, talvolta trasformata in motto, bandiera, programma d’intenti. E’ la più famosa delle massime raccolte nei Pirke’ Avot, l’agile testo che è uso rileggere ogni anno tra Pesach e Shavuot:
Se io non sono per me, chi è per me? Ma quando io sono per me stesso, che cosa sono io? E se non ora, quando?
“Te la ricordi la zia Esterina che si era imbarcata per il Venezuela nel ‘38? E il Carlo di Trieste che dopo aver fatto la guerra per Cecco Beppe finì in un kibbutz in Palestina? E che dire dello zio Alberto che da Chicago telefonava sempre prima delle feste per fare gli auguri?”. È nota la passione genealogica che anima molti ebrei.
L’antisemitismo cresce, deborda, torna a colpire con la violenza delle armi, al di là delle parole infami e deliranti. Sabato scorso, a Pittsburgh, l’evento più traumatico dell’antiebraismo americano: una comunità riunita in preghiera nella Sinagoga Conservative “Tree of Life” viene presa a fucilate; undici morti. L’informazione arriva in tempo reale e si sofferma, puntuale, sui più piccoli dettagli; insiste particolarmente sulla prospettiva della pena capitale per Robert Bower, il quarantaseienne neonazista autore della strage. Ma le analisi politiche e sociali sulle cause della nuova ondata distruttiva, sul significato del suo attuale emergere nel contesto della situazione americana e mondiale, mi pare latitino.
da Primolevi.it, il sito del Centro internazionale di studi Primo Levi.
Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono. Questa sconfinata regione, la regione del rusco, del boulot, del job, insomma del lavoro quotidiano, è meno nota dell’Antartide, e per un triste e misterioso fenomeno avviene che ne parlano di più, e con più clamore, proprio coloro che meno l’hanno percorsa. Per esaltare il lavoro, nelle cerimonie ufficiali viene mobilitata una retorica insidiosa, cinicamente fondata sulla considerazione che un elogio o una medaglia costano molto meno di un aumento di paga e rendono di più; però esiste anche una retorica di segno opposto, non cinica ma profondamente stupida, che tende a denigrarlo, a dipingerlo vile, come se del lavoro, proprio od altrui, si potesse fare a meno, non solo in Utopia ma oggi e qui: come se chi sa lavorare fosse per definizione un servo, e come se, per converso, chi lavorare non sa, o sa male, o non vuole, fosse per ciò stesso un uomo libero. È malinconicamente vero che molti lavori non sono amabili, ma è nocivo scendere in campo carichi di odio preconcetto: chi lo fa, si condanna per la vita a odiare non solo il lavoro, ma se stesso e il mondo. Si può e si deve combattere perché il frutto del lavoro rimanga nelle mani di chi lo fa, e perché il lavoro stesso non sia una pena, ma l’amore o rispettivamente l’odio per l’opera sono un dato interno, originario, che dipende molto dalla storia dell’individuo, e meno di quanto si creda dalle strutture produttive entro cui il lavoro si svolge.
Primo Levi, La chiave a stella
Il documentario “Primo ufficio dell’uomo”. I mestieri di Primo Levi, è stato realizzato allo scopo di ripensare, attraverso l’esperienza e le opere di Primo Levi, un tema cruciale del nostro presente: il ruolo del lavoro nella vita degli individui e all’interno della società.
Saba nel 2000, Svevo nel 2009, Primo Levi nel 2010, Bassani nel 2018: quattro analisi del testo da autori ebrei su venti (questa formula di esame di stato esiste dal 1999) è una percentuale piuttosto alta, che basterebbe a dimostrare, se ce ne fosse bisogno, il peso specifico che gli scrittori ebrei hanno avuto nella letteratura italiana del XX secolo. A volte ho paura che gli allievi possano pensare che esagero con gli autori ebrei solo perché sono ebrea. Questo è il motivo per cui, pur con grande rammarico, finora non avevo mai dato da leggere Il giardino dei Finzi-Contini. D’ora in poi potrò farlo più facilmente visto che si tratta di un testo canonizzato dall’esame di stato.
A cento anni dalla nascita di padre Camillo De Piaz proponiamo, oltre al breve profilo biografico apparso su Settimanalediocesidicomo.it, anche tre interviste: la prima, a cura di Paolo Tognina all’interno del filmato “Camillo De Piaz, un prete sulla frontiera”, realizzato nel 2008 per la rubrica Segni dei Tempi della Radio Televisione della Svizzera italiana, la seconda pubblicata sul mensile Una città nel 2004 mentre la terza, realizzata nel 2001 sul tema della memoria, è sul sito di Federico Bario. Segnaliamo anche il sito Camillodepiaz.it, a cura di Bruno Ciapponi Landi.
Sono passati cent’anni dalla nascita di Camillo De Piaz, avvenuta a Madonna di Tirano il 24 febbraio 1918; una lunga vita (muore nel gennaio del 2010) passata nel segno della coerenza e della fedeltà: coerenza anzitutto ai valori maturati negli anni di guerra, dopo essere stato assegnato, nel 1941, giovane padre servita, al convento di San Carlo a Milano; con lui, è l’amico di una vita, David Maria Turoldo. Insieme fanno del convento un punto di riferimento dell’antifascismo e della Resistenza milanese, così ricordato da Alda Merini: «Allora, in quella Milano di macerie, Davide e Camillo erano la luce di una città”.
da Gariwo.net, il sito del Comitato per la Foresta dei Giusti-Gariwo onlus.
Pubblichiamo di seguito l’intervento di Gabriele Nissim al convegno “Antisemitismo e islamofobia: due facce della stessa medaglia?” tenutosi a Milano il 4/7/2017. Continua a leggere
Nel dibattito politico in Italia capita spesso che a furia di sentir ripetere argomentazioni illogiche la gente si abitui e le consideri sensate. Già sembra essere comunemente accettata l’idea che di fronte all’alternativa tra salvare una persona che sta annegando o lasciarla annegare possa esistere una terza via (anche se finora non ho trovato nessuno che mi abbia saputo spiegare quale sia). Nelle ultime settimane mi è capitato più volte di leggere e sentire il tormentone su immigrati e profughi che nei centri di accoglienza giocano a calcio. Come se questo bastasse di per sé a dimostrare che non provengono da situazioni di pericolo; come se chi ha visto e subito qualcosa di orribile perdesse di colpo la capacità di praticare qualunque sport. Continua a leggere