Il rev. Lawrence Sudbury, intervistato dal dott. Tudor Petcu, ci parlerà della Comunione Unitariana Italiana (una congregazione di origine cristiana che affonda le sue radici storiche nei nuclei antitrinitari della Riforma radicale e basata sulla “libera ricerca della verità” – per maggiori informazioni è utile consultare Unitariani.it, Unitarianismo, Cesnur.com – ndr.).
Il rev. Sudbury è nato a Carshalton Surrey (UK) nel 1968. Si trasferisce in Italia molto giovane e frequenta il Liceo Classico per poi laurearsi con 110lode/110 in Lettere Moderne, ind. Comunicazioni Sociali all’Università Cattolica di Milano nel 1992. Terminato il periodo militare, nel 1993 inizia a lavorare come docente di Storia Europea nel Liceo che aveva frequentato e, nello stesso periodo, lavora presso l’Istituto di Comunicazioni sociali dell’Università Cattolica e ottiene un Master In Business Communication alla Westminster University. A partire dal 1995 inizia a occuparsi di copywriting e consulenza strategica presso varie agenzie pubblicitarie, ottiene una Licenza come pubblicitario professionista dalla TP- Associazione Italiana Pubblicitari Professionisti e, l’anno seguente, pur mantenendo la sua cattedra liceale, apre una agenzia di consulenza comunicativa, nella quale lavorerà per i dieci anni successivi. Tra 2006 e 2008 ottiene un dottorato a pieni voti in Studi Religiosi (Bedford University, TX), a cui seguiranno un Master in Studi Biblici e un Ph.D. con il massimo dei voti in Storia della Chiesa al Newburgh Theological Seminary in Indiana (USA). Nel 2008 viene ordinato Ministro di Culto “Interfaith” (con predicazione remostrante) dalla United New Testament Church International, della quale diventa rappresentante in Italia (e per la quale si iscrive alla A.E.I.- Associazione Evangelica Italiana). Nei due anni successivi si occupa di ecumenismo e dialogo inter-religioso sia in Italia che in Medioriente. Nel 2010, a seguito dei suo studi biblici, abbandona la concezione trinitaria e aderisce all’Unitarianesimo Universalista, venendo incardinato nella U.M.I. (Unitarian Minsters International) ed entrando nella C.U.I. mentre, nel frattempo, ottiene un Master in Giornalismo (2011, FirstMaster – Milan,voto finale 100/100). Nella C.U.I. studia, sotto la supervisione del Rev. Rosso, nel Seminario Valdese, nel 2012, ottenuto il Master in Divinity, dopo essere già stato Responsabile C.U.I. per l’Ecumenismo, riceve prima il pastorato e poi la consacrazione reverendale unitariana e viene nominato Responsabile delle Relazioni Internazionali della Comunione Unitariana Italiana (come tale partecipando al Sinodo Internazionale I.C.U.U. “Kujenga”, a New York, nel dicembre 2013 e alla Scuola I.C.U.U. di Leadership Europea a Kolozvàr, Romania, nel 2014). Tra il dicembre 2014 e il novembre 2015 si unisce alla Unitarian Christian Emerging Church (UCEC), diventandone responsabile per lo sviluppo e pastore nella “Master Jesus Christian Unitarian Church”. Nello stesso periodo frequenta un corso come esperto nella Risoluzione di Conflitti Religiosi all’Università di Groninga. Dal novembre 2015 è tornato a nella C.U.I., che, nel 2016, ha rappresentato al Sinodo Internazionale I.C.U.U. di Mennorode (NL) e che rappresenterà nel Sinodo Internazionale I.C.U.U. di Kathmandu (Nepal) nel febbraio 2018. A partire dal 2006, è stato autore di 20 libri (in prevalenza sull’ecumenismo, la storia della Chiesa e storia e teologia U.U.), di oltre 200 articoli e saggi brevi ed è ideatore e responsabile del Corso di Alfabetizzazione Religiosa della Comunione Unitariana Italiana e webmaster del sito della Comunione. Sito internet: http://lawrencesudbury.altervista.org
Le chiedo innanzitutto di dirmi quali sarebbero i più importanti aspetti che dovremmo conoscere per quanto riguarda la storia della Comunione Unitariana Italiana. Dall’altra parte, mi piacerebbe sapere quali sarebbero gli insegnamenti su cui si basa la teologia unitariana per evidenziare l’unicità della Chiesa Unitariana nel mondo delle chiese protestanti storiche.
Per molti versi potrei risponderle che la presenza unitariana in Italia è antica quanto l’Unitarianesimo stesso, anzi, in qualche modo, addirittura lo precede: è qui in Italia che si sono formati Biandrata, i Sozzini e alcuni altri antesignani dell’Unitarianesimo transilvano, costretti a scappare verso nord-est dalla lunga mano dell’Inquisizione cattolica. Di fatto, però, proprio la omnipervasiva presenza cattolica ha, per molti versi, tarpato le ali allo sviluppo di una Chiesa Unitariana in questo paese, cosicché, dopo questi primi precursori rinascimentali, la presenza unitariana in Italia è stata nulla (o, almeno, certamente nicodemicamente silente) fino a metà dell’800, quando, grazie ad un anglista marchigiano trapiantato a Milano, Ferdinando Bracciforti, ha fatto di nuovo sentire, per breve tempo, la sua presenza, arrivando a costituire una comunità di fedeli numericamente esigua ma capace addirittura di influenzare esponenti di spicco del neonato Regno d’Italia. L’esperienza si esaurì con la morte del fondatore della Denominazione e, per un nuovo esperimento missionario, dovremo aspettare fino agli inizi del XX secolo quando, sovvenzionata dal grande industriale e filantropo Camillo Olivetti (fondatore della famosa azienda e padre di Adriano Olivetti – ndr.), nacque, ancora a Milano, una piccola comunità, anch’essa esauritasi con la morte del suo patrono. Entrambi questi tentativi erano stati, molto probabilmente, troppo personali, troppo legati alle figure carismatiche dei fondatori e, senza dubbio, questo è uno degli elementi che, oltre alle evidenti difficoltà ambientali in un Paese in cui oltre il 95% della popolazione fa formalmente parte della Chiesa Cattolica, determinò la loro breve durata. Venendo alla Comunione Unitariana Italiana in senso stretto, il primo nucleo della comunità nasce nel 2004 da due iniziative autonome e indipendenti. Nel maggio di quell’anno Roberto Rosso, torinese laureato in filosofia, decise di creare una rappresentanza italiana di Cristiani unitariani che guardasse da un lato alla tradizione transilvana, dall’altro a quella anglosassone. Pressoché in contemporanea Ian McCarthy, unitariano gallese residente nelle Marche, decise di costituire anche in Italia un punto di riferimento per gli Unitariani di ispirazione americana. Nel 2009 i due tronconi si unirono formalmente e, da quel momento, la sfida del nascente movimento è stata quella di conciliare esperienze molto diverse, provenienti da parti distantissime del mondo, con le peculiari esigenze di una realtà italiana che possiede una propria peculiarità irriducibile in termini di storia e di esigenze. In questi anni il lavoro di limatura e di sintesi tra elementi anche eterogenei è stato intenso: se da un lato il percorso cristiano unitariano si fonda sul rigido monoteismo non trinitario, sulla predicazione profetica di Gesù di Nazareth e sulla lettura evangelica alla luce di ragione e non miracolistica, il percorso che normalmente definiamo Universalista unitariano si basa sulla ricerca di un percorso spirituale verso la Trascendenza possibile a partire da qualsiasi visione religiosa, fondato sulla forza della Vita e dello Spirito e sulla sua espressione nel concreto e nel quotidiano. Ne è risultata una denominazione senza dogmi precostituiti, che fa dei suoi centri il dialogo ecumenico di ricerca comune del Trascendente, una visione liberale della spiritualità, l’apprendimento reciproco e una religiosità che si esprime nel concreto, nell’impegno nella costruzione di una società migliore qui e ora, senza necessità di promesse di premi e punizioni e fondata sull’amore per l’uomo e la rete interdipendente della natura.
Si può dire che i rappresentanti della Comunione Unitariana Italiana hanno contribuito da un certo punto di vista a un risveglio spirituale d’Italia? Se si, cosa potrebbe dirmi su questo risveglio di cui sto parlando?
In realtà solo in qualche misura, soprattutto per questioni di dimensioni denominazionali. Come, accennato, le ragioni della breve durata delle precedenti esperienze unitariane in Italia, a parte alcuni innegabili errori organizzativi a cui stiamo cercando di rimediare, devono essere rinvenuti nella presenza pervasiva della Chiesa cattolica in Italia sia in termini di cultura che dal punto di vista legislativo e di potere economico. Al momento, la situazione sembra essere un po’ diversa. Si ha la sensazione che, sebbene l’influenza cattolica sia ancora forte in campo legislativo ed economico a causa di una chiara eredità del nostro passato, gran parte della popolazione italiana non sia più interessata a religione e spiritualità e sia attratta principalmente da valori materiali (in particolare la fetta cresciuta negli anni ’80 e ’90 del XX secolo). La prima parte del XXI secolo sembrava avviarsi ad essere una copia del decennio precedente ma, poi, l’avvento della crisi economica ha toccato profondamente l’Italia arrivando, a poco a poco, a cambiare alcune delle strutture culturali di base della nostra società. In un certo senso, la crisi ha mostrato i limiti di una vita orientata esclusivamente al denaro e, con la morte delle ideologie politiche alla fine del secolo scorso, le strutture troppo rigide e arretrate della Chiesa cattolica e la debolezza dei governi, ha mosso una parte della popolazione verso due direzioni principali: 1) la rinascita di una spinta al coinvolgimento personale con nuove forme di solidarietà, di impegno sociale e semi di cooperazione a livello extraistituzionale e 2) un forte populismo nichilista con sentimenti di rabbia e rivolta spesso piuttosto indefiniti e poco orientati. Mentre in termini di potere economico, le vecchie strutture sembrano resistere, con una forbice sociale sempre più aperta che divide la popolazione tra una piccola élite da un lato e, dall’altro lato, una grande massa di lavoratori spesso impoveriti e di membri della classe medio bassa con sempre meno poteri contrattuali e risorse a formare la maggior parte della popolazione (e, al suo interno, il 90% dei “Millennials”). Se la gran parte dei membri di quest’ultimo gruppo sembra interessata solo a lottare per sopravvivere o per tornare alle posizioni precedenti, più o meno un quarto degli italiani, in queste condizioni sociali, pare aver riscoperto i vecchi valori spirituali e plasmare la propria vita su di essi. La maggioranza dei rappresentanti di questo gruppo, in particolare dopo l’elezione del nuovo Papato, è tornata al Cattolicesimo in una sorta di nuova visione sociale della denominazione tradizionale vista in contrasto con la vecchia visione (in declino anche a causa dei numerosi scandali sociali e finanziari), mentre alcuni altri si sono aggrappati a una sorta di cintura di salvataggio spirituale data dal Pentecostalismo, con i suoi messaggi religiosi semplici e rigidi, o da alcune sette religiose. La percentuale di persone che hanno una visione liberale della spiritualità è ancora molto piccola e proviene da un background sociale ben preciso: persone che si sono ribellate alle regole del materialismo selvaggio, molto critiche nei confronti della società italiana e delle sue vecchie regole, molto ben informate e colte, che non accettano di sostenere alcun populismo, spesso con alcuni aspetti della cultura degli anni ’70 come una sorta di punto di riferimento, generalmente con lavori intellettuali a basso salario e capaci di accostarsi a qualsiasi aspetto spirituale e religioso con attenzione, intuizione e un alto livello critico. Questo è il tipo di persone che formano molti piccoli gruppi spirituali liberali, tra cui nostro.
Ora, le sarei grato se potesse parlarmi sui più importanti rappresentanti della Comunione Unitariana Italiana durante la loro storia e anche sull’impatto che loro hanno avuto fino ad ora nella società italiana.
La Comunione Unitariana Italiana è molto giovane ma è erede di una storia unitariana in Italia che ha radici più profonde, a cui ho già accennato in precedenza. Non credo di dovermi soffermare sulle figure di Biandrata o Sozzini, ben noti a chiunque abbia una pur minima conoscenza della vicende embrionali dell’Unitarianesimo in Europa orientale. Penso, però, che valga la pena spendere qualche parola in più riguardo a Ferdinando Bracciforti e Camillo Olivetti. Il primo, nato da una famiglia nobile dello Stato Pontificio, dopo aver partecipato come volontario alla prima guerra d’indipendenza italiana, attorno al 1860 abbandonò la fede cattolica, aderì all’Evangelismo e poi all’Unitarianesimo, che cercò di diffondere in Italia attraverso un periodico, “La Riforma del secolo XIX”, pubblicato a Milano dal 1869 al 1872. È interessante notare come a tale pubblicazione collaborarono alcuni dei più importanti patrioti del Risorgimento italiano tra i quali l’eroe dell’unificazione nazionale Giuseppe Garibaldi, Aurelio Saffi, triumviro della Repubblica Romana e Terenzio Mamiani, ministro e senatore del Regno d’Italia. Il limitato periodo di pubblicazione non deve far sottovalutare l’importanza dal punto di vista sociale del periodico, che fu, probabilmente, la più importante voce della spiritualità liberale italiana a quel tempo, sia nel suo tentativo di contrapporsi, attraverso le firme prestigiose che redassero i suoi articoli, all’oscurantismo papalino del Concilio Vaticano I (1870), sia nel suo impegno per la diffusione di una religiosità più aperta e legata alla razionalità e meno ancorata al magismo miracolistico. Per altro, in questo senso, merita di essere ricordato il fatto che già Giuseppe Mazzini, forse il più alto esempio di patriottismo risorgimentale italiano, pur nel suo più volte sottolineato tentativo di fondare una spiritualità laica e civile, aveva avuto, nel suo “Dell’Ungheria”, parole di altissimo elogio riguardo all’Unitarianesimo, che considerava la più alta rappresentazione dello spirito evangelico. Oltre mezzo secolo dopo, un analoga volontà di riscoprire il senso ultimo del fenomeno religioso e di inserirlo in un quadro di libertà del singolo animò lo sforzo di Camillo Olivetti. Fondatore di una delle più importanti dinastie industriali italiane, Olivetti fu non solo capitano d’industria ma anche politico e pensatore progressista che, dopo la conversione all’Unitarianesimo (veniva da famiglia ebraica) durante i suoi studi negli Stati Uniti, non solo si prodigò per la nascita di una comunità unitariana in Italia ma ne diffuse le idee liberali e sociali (fu a lungo militante dell’ala riformista moderata del neonato Partito Socialista e, in seguito, si distinse per una decisa opposizione all’insorgenza fascista) anche all’interno sia dell’ambito lavorativo, nel quale fu certamente molto più avanzato rispetto ai suoi tempi per l’attenzione costante al benessere dei suoi dipendenti e per la costante critica al capitalismo selvaggio. La sua eredità, anche spirituale, passò al figlio Adriano, il quale, non a caso, pur molto meno interessato del padre al fenomeno religioso, fu uno dei grandi promotori dell’idea di un federalismo europeo che superasse le divisioni ideologiche e nazionaliste e contribuì, anche con importanti scritti teorici, allo sviluppo del concetto di una “comunità aziendale” in cui ogni lavoratore potesse trarre soddisfazione anche dal punto di vista morale, oltre che economico, dalla propria posizione (un concetto avveniristico a quei tempi ma, in seguito, ripreso dalle maggiori industrie informatiche contemporanee).
Se volessi sapere qual è il ruolo della Comunione Unitariana Italiana nel dialogo ecumenico, cosa potrebbe dirmi? Mi interesserebbe conoscere meglio soprattutto il modo in cui si svolge il dialogo tra la Comunione Unitariana Italiana e la Chiesa Cattolica adesso, ai nostri giorni.
L’ecumenismo è connaturato alla religiosità dell’Unitarianesimo Universalista che cerchiamo di vivere, al punto che, non ponendo nessun dogma e nessuna definizione del Sacro, accogliamo nelle nostre fila membri provenienti non solo da numerose Denominazioni diverse (e, in alcuni casi, perfettamente a loro agio in una doppia affiliazione) ma anche da percorsi religiosi differenti (Taoismo, Buddismo, Ebraismo, Islam, etc.), in un dialogo che, su comuni basi di apertura all’alterità e di approccio liberale alla spiritualità, si dimostra ogni giorno arricchente per chiunque. Questo aspetto, in qualche modo, rappresenta, però, un’arma a doppio taglio. Se, da un lato, ci permette di intrattenere rapporti di amicizia e canali di contatto aperti con alcune realtà religiose presenti in Italia (penso alla Chiesa Taoista d’Italia, alla Comunione Anglicana, alla Chiesa Cristiana Antica Cattolica o alla Chiesa Apostolica Ecumenica, ad esempio, i cui rappresentanti, nel tempo, hanno partecipato anche alle nostre liturgie) pur nel pieno rispetto delle reciproche differenze, da un altro lato ha portato a qualche incomprensione, in particolare nell’ambito delle Denominazioni Cristiane storiche: spesso la nostra apertura verso ogni percorso sacrale, così come, in ambito più prettamente cristiano, la nostra negazione della divinità cristica, vengono interpretate come elemento di lontananza, di non adesione e di disomogeneità e questo spiega, ad esempio, le difficoltà che incontriamo nell’ingresso nel Consiglio delle Chiese. In realtà, comunque, si tratta di una difficoltà comune a numerose missioni e piccole Chiese in Italia. Anche per superare questi problemi, oltre che per una notevole comunanza di ottiche teologiche e sociali, negli ultimi tempi ci siamo notevolmente avvicinati alla MCC, la Metropolitan Community Church in Italia, con la quale i rapporti sono molto stretti e con cui progettiamo di sviluppare una federazione di piccole realtà ecclesiastiche liberal che ci permetta di far ascoltare di più la nostra voce in ambito istituzionale ecumenico. Infine, per quanto riguarda i nostri rapporti con la Chiesa Cattolica, la risposta alla sua domanda presuppone alcune distinzioni. Se dal punto di vista personale molti di noi, compresi i membri del clero, hanno sviluppato rapporti di amicizia e fratellanza con rappresentanti del mondo cattolico e la Comunione, ad esempio, collabora globalmente con un gruppo missionario di ispirazione prettamente cattolica, i nostri rapporti formali con l’Istituzione ecclesiastica si limitano a sporadiche comunicazioni con gli Uffici Ecumenici Diocesani e a rare partecipazioni ad alcune celebrazioni comuni e non sono mai sfociati in alcun genere di relazione stabile o di lavoro comune, forse anche a causa delle diverse dimensioni in termini di fedeli o delle reciproche differenze che ancora si percepiscono a livello di aderenti.
Le chiedo anche di farmi sapere quali sarebbero i più importanti scritti sulla storia della Comunione Unitariana Italiana e dove possiamo trovarli.
Come dicevo, la Comunione è una organizzazione religiosa molto giovane, nata, in fin dei conti, da pochi anni, nei quali, comunque, abbiamo cercato di darci da fare per divulgare il più possibile la conoscenza della nostra storia e dei nostri valori. A questo scopo, nel 2013 abbiamo creato una linea editoriale, la “E.U.M. Edizioni Unitariane Milano”, per pubblicare, utilizzando il canale distributivo di un free publisher, testi relativi a vari argomenti collegati all’Unitarianesimo universalista. Tra questi le posso citare, per quanto riguarda la storia dell’Unitarianesimo, la traduzione commentata del “De Uno Vero Deo Jehova Disputationes” di Niccolò Paruta, a cura della Dott. Rosaria Esposito o i miei “Vite eretiche. Storie di Antitrinitari del ‘500” e “Ferdinando Bracciforti, unitariano”, per quanto riguarda l’Universalismo “La vita è già un miracolo” del Past. Alessandro Falasca, per quanto riguarda più espressamente il percorso cristiano unitariano “Al Caffè con Marco” del Rev. Roberto Rosso o i miei “Cristiani Unitariani. 50 domande e risposte” e “Un Dio chiamato amore” e, recentemente, per quanto riguarda l’insegnamento dei nostri valori ai più piccoli, “La terra oltre la cascata” della Dott. Alessandra Marinacci. Tutti questi testi, presenti anche nella Biblioteca Nazionale di Firenze, sono acquistabili, insieme ad alcuni altri, online, sia in versione cartacea che digitale, dalla pagina della pagina E.U.M. (http://www.lulu.com/spotlight/EUM) e si affiancano ad altri testi precedenti, quali “Accontentiamoci di una nuvola” del Rev. Rosso e “Introduzione al Cristianesimo unitariano”, scritto sempre dal Rev. Rosso e da me.
Anche se divago un po’ dal soggetto, mi piacerebbe tuttavia apprendere come intende Lei, vista la sua qualità di rappresentante di una Chiesa Unitariana, la relazione dell’uomo con Dio. Ultimo ma non da meno, come dovremmo comprendere da un punto di vista unitariano la redenzione dell’uomo.
È una domanda a cui non è semplice rispondere proprio per la natura stessa della lettura dell’Unitarianesimo Universalista che caratterizza la Comunione Unitariana Italiana: nel momento stesso in cui l’interpretazione del Divino viene lasciata, confidando nella pluralità delle interpretazioni e dei percorsi possibili, al singolo, conseguentemente anche il modo di rapportarsi del singolo con ciò che definisce come Trascendenza varia considerevolmente da persona a persona. Come rappresentante della Chiesa unitariana in Italia, al di là dei miei convincimenti personali che poco contano, ciò che Le posso dire riguarda solo alcuni tratti che, anche alla luce dei “Sette Principi” unitariani universalisti a cui facciamo riferimento, accomunano gran parte di noi. Il primo elemento credo possa essere quello che, in fondo ho già espresso: il mistero della Trascendenza, sia Essa vista in termini personali, impersonali, addirittura unicamente etici o naturali, si accosta al singolo parlandogli personalmente, anzi, facendosi parte di lui (o, inversamente ma senza che il risultato cambi nella pratica, rendendo ciascuno parte di una Entità superiore) e lasciandosi scoprire secondo percorsi che sono totalmente personali, dipendenti dall’indole di ognuno, dalla sua cultura di riferimento e dal suo vissuto. In questo senso, l’interpellazione di ogni essere umano, libero di impegnarsi alla scoperta della scintilla divina che alberga in lui o di rifiutare questo approccio trascendentale, si caratterizza come personale ma condivisibile all’interno della comunità per l’arricchimento reciproco e fa della comunità stessa un luogo di perenne ricerca spirituale singolare e collettiva, senza dogmi o norme preimpostate ed eterodirette piuttosto che una Chiesa che basa le sue dinamiche su una religione in senso classico. Conseguentemente, la possibilità di tale rapporto, offerta da una Entità infinita all’essere umano finito attraverso il riflesso della Sua immagine presente in ciascuno di noi, ci porta ad almeno due corollari, uno teologico e uno di stampo più pratico. Teologicamente, la concezione di un Infinito che si pieghi a riflettersi nel finito ci parla di una natura amorevole di tale Infinito che ne costituisce l’essenza profonda e, dunque, proprio questo amore ci induce ad una fiducia profonda nelle finalità ultime del Divino e a una speranza inestinguibile nel possibile, nella costruzione di una umanità e di un mondo migliore che si realizzerà quando tutti saranno in grado di rispondere alla chiamata trascendente, di non farsi sviare da questioni effimere, dalle piccole e grandi concupiscenze materiali che imbrigliano e velano la nostra natura divina ed il nostro compito primario di cooperatori nella costruzione di una realtà che sia vero e completo riflesso del piano trascendente. Il corollario pratico deriva in gran parte dal precedente e si esplica sul piano etico e sociale: se ogni essere umano è riflesso del Divino e compartecipa della Sua essenza, allora il primo dovere che abbiamo è di rendere grazia al Trascendente attraverso l’amore e il rispetto non negoziabile per ogni uomo. Da qui deriva la nostra apertura totale, democratica, egualitaria verso chiunque, indipendentemente da variabili infinitamente meno essenziali quali etnia, sessualità, ceto sociale, orientamento politico o percorso religioso. Mi rendo conto che ciascuno di questi elementi meriterebbe una lunga trattazione di approfondimento ma, in linea generale e semplicemente definitoria, direi che la nostra relazione verso il Divino possa essere condensabile in questi semplici punti. Per quanto riguarda, poi, la questione della redenzione umana, la nostra concezione non è, in fondo, altro che una conseguenza di quanto detto. Fermo restando il rifiuto per idee che, dal nostro punto di vista, cozzerebbero apertamente con l’idea di una Trascendenza caratterizzata dall’amore per l’uomo, quali il peccato originale, la possibilità di dannazione eterna o una natura umana intrinsecamente malvagia, credo che l’elemento che più ci allontana da molte concezioni religiose classiche sia la non accettazione del meccanismo retributivo nel quadro redentivo. Molto brevemente, troviamo piuttosto ripugnante l’idea che il singolo debba assumere un determinato comportamento in vista di un premio finale o per paura di una punizione eterna, quasi che un Dio un po’ infantile giocasse con noi mettendoci alla prova su un percorso ad ostacoli usando il bastone e la carota per spingerci nella giusta direzione. Se di qualcosa possiamo dirci convinti è che l’agire bene o male siano premio e punizione di per sé, senza necessità di ulteriori obiettivi fantasmatici a lungo termine: agire per il bene significa assumersi sempre più la propria responsabilità di cooperatori alla costruzione di un mondo migliore per noi e per gli altri e, quindi, significa muoversi verso la piena realizzazione del nostro essere come uomini mentre agire per il male, fuorviati, come accennato, da elementi contingenti ed effimeri, significa svuotare di senso la propria esistenza, chiudendosi in orizzonti limitati e spesso vuoti di prospettiva. Ecco, allora che, come disse un grande unitariano inglese del passato, William Ellery Channing, la redenzione dell’uomo sta nel suo lavoro costante e continuo su se stesso per migliorarsi, per eliminare gradualmente, attraverso lo studio, la meditazione e l’impegno concreto quotidiano, tutte quelle impurità che nascondono l’immagine divina che forma la nostra vera natura. Ogni altro obiettivo teleologico, troppo spesso spacciato come certezza da molte religioni, non può che essere unicamente mistero e oggetto di fede e speranza singolare.