
da Vinonuovo.it, «vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi» (Lc 6,36).
L’analisi storica dei dati del magistero sulla questione della guerra giusta ci ha condotti alla necessità di riformulare una teologia della difesa. Perché di questo si tratta. Come cristiani, la difesa di sé dall’aggressione di altri esseri umani, del proprio paese, del proprio mondo, come può essere compresa teologicamente? Fino a che punto è giusto spingersi?
Intanto c’è da dire che una teologia che rispetti davvero i criteri che la Chiesa ha fissato per l’interpretazione della Bibbia, non può arrivare a dire che Dio, in certi casi, vuole la guerra! Sia offensiva che difensiva. Il Dio di Gesù Cristo è un Dio che vuole la vita, di tutti, anche e soprattutto del peccatore, affinché si converta e viva pienamente. Ma soprattutto è un Dio che, di fronte al male, all’aggressore che lo vuole morto, si lascia morire. La sconfitta del male, per Cristo, avviene sempre e solo con un atto di amore assoluto, in cui Dio non si oppone al male. Come per altri temi, anche sulla guerra, non possiamo perdere di vista lo specifico che Cristo ha inaugurato, rispetto a ciò che lo ha preceduto. Israele ci mette tempo e dolore a comprendere come si comporta Dio di fronte all’aggressore, al male, e ci riesce pienamente solo con un “piccolo resto”.
Dal peccato al diluvio, Israele immagina un Dio onnipotente che sovrasta l’uomo e lo “determina”, che sconfigge il male con il male: “Il Signore disse: «Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato: con l’uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d’averli fatti” (Gen 6,7).
Dopo il diluvio, lentamente compare un Dio che è disposto a venire a patti con l’uomo, attraverso il rispetto della sua legge. “Osserverete diligentemente i comandi del Signore vostro Dio, le istruzioni e le leggi che vi ha date. Perché siate felici ed entriate in possesso della fertile terra che il Signore giurò ai vostri padri” (Dt 6, 17-18). Ma quando questa legge non viene rispettata, questo Dio punisce severamente, fino anche alla morte, il peccatore. “Stenderò su di lui la mia rete e rimarrà preso nel mio laccio. Tutti i migliori delle sue schiere cadranno di spada e i superstiti saranno dispersi a tutti i venti” (Ez 17, 20-21).
Poi, anche se in modo non lineare, ma un po’ a strattoni, soprattutto con i profeti le tracce già precedenti di un Dio misericordioso si fanno sempre più consistenti. Un Dio misericordioso, che può anche derogare all’applicazione rigida della giustizia prevista dal patto con l’uomo, per amore della sua creatura. “Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo. Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele? Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, perché sono Dio e non uomo” (Os 11, 7-9).
Ma solo con Gesù Cristo appare sulla scena un Dio della gratuità. Nella pienezza della rivelazione di Gesù Cristo, Dio è colui che supera la logica del patto e diviene colui che regala gratuitamente e unilateralmente sé stesso all’uomo, proprio a colui che lo vuole morto. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). “Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?” (Rm 8,34).
Allora, se noi che crediamo in lui siamo chiamati ad essere perfetti come il padre nostro che è nei cieli, che fa sorgere il sole sui giusti e sugli ingiusti, (Mt 5,44-45), è evidente che la linea su cui possiamo legittimamente porre la difesa di noi stessi è molto labile. Nel regno di Dio, sicuramente non ci difenderemo più e non solo perché non ci sarà aggressore, ma soprattutto perché avremo sperimentato che la pienezza della vita sta proprio nel non difendersi, nel donarsi. Fino a che siamo su questa terra, però, questa perfezione della fede non c’è, ma esistono gradi diversi di avvicinamento a questa perfezione a seconda della fede amorevole e dell’amore speranzoso che viviamo. Perciò la difesa di sé stessi sarà da commisurare al grado di fede, di amore e di speranza a cui si è giunti nel proprio sviluppo spirituale.
La Chiesa, nel definire i criteri della guerra giusta, tenta di stabilire un livello minimo di sufficienza della difesa armata, lungo la linea dello sviluppo dell’uomo verso la perfezione. Ma poi, agli occhi di Dio, non è rilevante se siamo sopra o sotto quella linea, sopra o sotto la sufficienza. Per Lui è molto più rilevante che mostriamo di camminare verso la pienezza della fede, che stiamo crescendo, qualsiasi sia il livello che ora abbiamo. Allora bisognerebbe chiedersi: come esseri umani stiamo progredendo, sulla guerra? Stiamo cercando davvero forme di difesa che sempre meno richiedano le armi e possano uccidere sempre meno persone?
In assoluto se esiste una guerra giusta, allora dovrebbe esserci anche in paradiso, perché tutto ciò che è giusto sarà vissuto in pienezza di là e siamo evidentemente in una idea assurda; se la guerra non è mai giusta, allora dovremmo essere già ora in paradiso, e siamo evidentemente in una utopia. La legittima difesa dei popoli attraverso le armi è necessaria solo per la imperfezione umana dovuta al peccato e la limitatezza della vita sulla terra. Perciò va confinata il più possibile se vogliamo camminare verso la pienezza della vita, e dobbiamo lavorare per far crescere la nostra fede affinché siamo capaci di gesti “profetici” che mostrino che l’umanità può crescere verso una difesa di sé sempre meno necessaria e cruenta.
Non c’è da stupirsi allora se l’appello del papa alla tregua pasquale è andato pienamente eluso da entrambe le parti. O se da più parti il segno di riconciliazione voluto da Francesco nella via crucis, tra due donne una ucraina e una russa, sia stato criticato. Solo una fede matura accetta di lasciarsi sconfiggere e uccidere per amore. Non si può imporre per legge di essere un martire, e ancor meno ciò può essere ritenuto una regola morale obbligante per tutti. Lode perciò a chi cerca la profezia evangelica in questo mondo, senza pretendere che tutti lo seguano e senza imporre la propria morale. Accoglienza e comprensione, invece, a chi offre una risposta al male che non corrisponde alla pienezza del vangelo, ma a condizione che non giustifichi questa sua posizione come espressione della volontà di Dio, ma, consapevolmente, con una carenza di fede e un limite umano con cui fa i conti. Ancora in questi giorni Francesco lo ha ripetuto: “Quando si usa violenza non si sa più nulla su Dio, che è padre, e nemmeno sugli altri, che sono fratelli”. Dio non può essere invocato a giustificazione della violenza, mai, in nessun caso, nemmeno nella legittima difesa.
Gilberto Borghi