
da Retesicomoro.it, conoscere per crescere
Da oltre dieci anni il Consiglio ecumenico delle chiese (WCC) si interroga sulle ragioni, le prospettive e i temi dell’ecumenismo nel XXI secolo1. Si tratta di una riflessione di ampio respiro teologico che non trascura l’analisi della scena religiosa mondiale e un ragionamento sulle strutture del movimento ecumenico e che si muove sul presupposto, che condividiamo, che quella dell’ecumenismo non è più solo un’opzione tra le altre ma un dato imprescindibile della vita delle chiese: si può solo decidere di andare avanti lasciando da parte i “se” e concentrandosi sul “come” andare avanti.
In uno dei periodici rapporti elaborati dal Comitato che stimola e coordina questa riflessione2, si individuano cinque aree fondamentali. Le voglio qui richiamare sia in ragione della costante attenzione che la Chiesa valdese ha sempre mantenuto nei confronti delle proposte e dell’elaborazione del WCC, sia perché costituiscono un buon punto di partenza per un ragionamento sul futuro dell’ecumenismo nel particolare contesto italiano.
Le cinque aree tematiche individuate sono così definite: 1) il cambiamento della scena religiosa; 2) la relazione tra missione ed ecumenismo; 3) l’impegno per la giustizia e la pace; 4) le relazioni con le altre fedi viventi; 5) la nostra maggiore coscienza della relazione con il creato. Oggi cercherò di rivisitare l’agenda ecumenica delineata dal WCC condividendo la particolare percezione dei vari temi maturata dai protestanti italiani e proponendo alcuni percorsi di ricerca e impegno sui quali camminare insieme anche in Italia, ovviamente alla luce della comune esperienza ecumenica di questi anni e del particolare – e forse eccezionale – momento che stiamo vivendo.
Infatti, la visita di papa Francesco del 22 giugno del 2015 al Tempio valdese di Torino – la prima di un “vescovo di Roma” – e l’incontro in Vaticano del 5 marzo di quest’anno sono novità assolute che ci consentono di guardare al futuro con grandi speranze e numerose aspettative.
Una nuova scena religiosa
Se la chiave interpretativa della nuova scena religiosa globale è lo spostamento a sud del baricentro della cristianità, possiamo affermare con convinzione che il dato saliente in Italia è l’affermazione di un nuovo pluralismo religioso3 che radica nel Paese un crescente numero di credenti appartenenti a tradizione religiose nate e consolidatesi in prevalenza in altri contesti.
Altre relazioni – Naso e Melloni – hanno già affrontato questo aspetto e pertanto procedo per grandi sintesi richiamando quello che altri hanno definito lo “spaesamento religioso”: la perdita di consapevolezza della propria identità confessionale da parte di un numero crescente di italiani che, pur dichiarandosi cristiani e cattolici, non sanno più definire che cosa questo significhi sul piano delle verità fondamentali della fede e della loro tradizione spirituale.
In anni recenti abbiamo acquisito dati significativi sull’analfabetismo religioso degli italiani4 o sulla confusione della “prima generazione incredula” di giovani5, che oltre che religiosamente incompetenti, non sanno più come collocarsi sotto il profilo spirituale6. A partire da queste considerazioni, ci pare che l’ecumenismo italiano del XXI secolo non possa ignorare una grande novità di contesto per cui il senso e i fondamenti della fede cristiana non sono più dati acquisiti e scontati ma obiettivi da conquistare con un’impegnativa azione pastorale.
Ecumenismo e missione
Il citato documento del Consiglio ecumenico ci offre alcuni spunti preliminari che facciamo nostri, primo tra tutti la “comprensione olistica della missione” che quindi comprende evangelizzazione, testimonianza e cura per la vita. Il riferimento biblico suggerito è Giovanni 10,10: “perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza”, la conseguenza è che “l’amore e la cura di Cristo devono essere il nostro paradigma missionario”.
Credo che nessun Sinodo della mia Chiesa possa contestare questa affermazione, così come ritengo che essa possa essere pienamente condivisa dal mio fraterno interlocutore, mons. Maffeis. Il problema è che queste affermazioni le condividiamo e le perseguiamo lungo percorsi che scorrono paralleli.
Credo che nessun Sinodo della mia Chiesa possa contestare questa affermazione, così come ritengo che essa possa essere pienamente condivisa dal mio fraterno interlocutore, mons. Maffeis. Il problema è che queste affermazioni le condividiamo e le perseguiamo lungo percorsi che scorrono paralleli.
Da tempo le nostre chiese del cristianesimo storico europeo hanno elaborato una concezione della missione non solo distante dal proselitismo e attenta a riconoscere la legittimità della diversità nelle chiese e tra le chiese (“L’unità cristiana non è solo un’unità nella diversità ma anche tramite la diversità”, L’ecumenismo e il dialogo interreligioso, documento approvato dal sinodo valdese del 1998, § 48), ma attenta anche a valorizzare le occasioni di testimonianza comune.
Se è vero però che il movimento ecumenico nasce proprio attorno al concetto di missione – pensiamo alla conferenza di Edimburgo del 1910 che abbiamo ricordato in occasione del centenario – dobbiamo ammettere che quelle premesse non hanno avuto le conseguenze che speravamo. Riprendendo lo schema di un altro teologo cattolico – anche lui ambrosiano! Mi riferisco a mons. Brambilla – superato il proselitismo, non abbiamo ancora costruito quello che egli definisce “un ethos missionario reciproco” e solo in qualche caso siamo stati in grado di esprimere una “testimonianza comune” mentre dovrebbero essere aspetti – cito ancora – che “crescono insieme”7.
Vorrei ricondurre questa osservazione a uno dei quadri che prima abbiamo delineato: in un paese che si analfabetizza sotto il profilo religioso, in cui bisogna ricostruire le fondamenta della conoscenza del messaggio cristiano e trovare parole nuove ed efficaci per testimoniare il dono della fede in Cristo, si danno le condizioni migliori per cercare luoghi, forme, strumenti per dire insieme una parola evangelica. La pianta crescerà – se crescerà – secondo le sue forme e le sue dimensioni ma il seme – le parole che annunciano e spiegano la novità cristiana – può essere deposto insieme.
Possiamo farlo anche da subito, magari pensando a un evento pubblico nel corso del 2017: anniversario della Riforma di cui noi protestanti ci sentiamo spiritualmente figli e debitori ma che non consideriamo un’eredità dinastica che dobbiamo custodire gelosamente bensì un patrimonio di tutta la cristianità che ancora oggi richiama tutte le chiese alla centralità della Parola e dell’amore di Dio.
Con questo non chiediamo a noi stessi e ovviamente non chiediamo alle nostre sorelle e ai nostri fratelli ortodossi di rinunciare a evangelizzare nella forma che a ciascuno ma a tutti – a noi per primi – intendiamo ricordare che la conversione non è a una chiesa o a una confessione, ma a Cristo. Condivido quindi che anche in Italia la sfida ecumenica debba consistere – cito di nuovo mons. Brambilla – in un passaggio “dalla testimonianza comune alla conversione al Dio vivo e vero, al Dio dell’evangelo di Gesù, a cui la Chiesa/le Chiese devono essere totalmente relative e dedicate”8. E’ questo l’orizzonte al quale le chiese italiane impegnate in un cammino ecumenico dovranno guardare con grande fede e speranza.
Giustizia e pace
Le conferenze europee di Basilea (1989), Graz (1997), Sibiu (2007) hanno rappresentato un passaggio importante e necessario per definire il vocabolario ecumenico relativo alla sfida per la giustizia e la pace. Il quadro storico e politico di questi incontri è stato quello dell’Europa che si allargava e cercava nuovi assetti e concepiva nuovi progetti per il suo futuro. In quel quadro chiese diverse e a lungo separate da muri e confini non valicabili, si ritrovavano unite in uno spazio comune nel quale rendere la loro testimonianza ma nel quale, anche, ripensare se stesse in un contesto più ampio e più complesso.
L’impatto della nuova Europa per alcune chiese ha significato esporsi a un pluralismo religioso per molti aspetti ignoto se non addirittura temuto; per altre ha comportato il confronto non sempre agevole con la secolarizzazione e la modernità, con culture e sistemi politici orientati da un principio di laicità declinato in forme molto variegate e talora radicali; per altre ancora ha corrisposto al collasso di sistemi e regimi logori ma ancora chiusi e ostili all’idea dell’integrazione europea.
L’Europa che oggi abbiamo di fronte è molto diversa ma non meno lacerata e problematica. Probabilmente è un’Europa più debole di allora, più ripiegata sugli stati nazionali, più paurosa di perdere i suoi privilegi, più confusa sulla sua identità. E’ l’Europa che non sa dare risposta al dramma delle migrazioni globali, che non vuole accogliere richiedenti asilo e migranti che fuggono da condizioni di vita insostenibili, che si pensa più come una fortezza che difende se stessa che come una casa comune che tutela i diritti e persegue i principi sui quali è stata costruita.
A questa Europa, protestanti e cattolici italiani hanno lanciato una sfida: quella di una pratica di giustizia a favore di uomini e donne che fuggono dalla guerra, dalle persecuzioni e dalla fame. Lo abbiamo fatto con i “corridoi umanitari” che in pochi mesi ci hanno permesso di portare in sicurezza in Europa centinaia di persone disperate che dovevano decidere tra la stentata sopravvivenza in una campo profughi o in una foresta e il rischio di una traversata del Mediterraneo affidati alle mani criminali di scafisti senza scrupoli.
Abbiamo già detto di questo progetto e di questo servizio ma qui voglio sottolineare il fatto che esso si iscrive a pieno nel nostro impegno ecumenico per la giustizia e la pace. Ciò che la Federazione delle chiese evangeliche, la Comunità di Sant’Egidio e la Tavola valdese stanno facendo per i migranti e i richiedenti asilo è un modello di diaconia ecumenica che ci dobbiamo impegnare a coltivare e a trapiantare in altri campi e di fronte ad altre sfide.
Il dialogo contro la paura
Veniamo così alla quarta area tematica alla quale le stragi compiute a Parigi, Bruxelles, Monaco – per citare solo quelle più eclatanti – conferiscono una drammatica attualità. A trent’anni dall’incontro interreligioso di Assisi voluto da Giovanni Paolo II, anche noi valdesi e metodisti – che in quell’occasione non accogliemmo l’invito a partecipare a una preghiera “attorno al papa” – dobbiamo riconoscerne il significato e il valore: pregare insieme significò allora, e ancor di più significa oggi, che di fronte a noi non si sta combattendo una guerra tra religioni e che pertanto credenti di fedi diverse possono unirsi al cospetto di Dio per invocare la pace e affidare a Lui i loro sforzi per costruirla.
Di fronte alle stragi del terrorismo di matrice islamista, tanti musulmani oggi si ritrovano insieme ai cristiani per affermare le ragioni della convivenza, del diritto alla pace e alla sicurezza, del dialogo interreligioso. Ne abbiamo avuto particolare evidenza a seguito dell’attentato di Rouen dello scorso luglio in cui fu ucciso padre Jacques Amel. Dopo quella tragedia, migliaia di musulmani, in Francia come in Italia, si sono recati in varie chiese cattoliche per esprimere il loro cordoglio. “Oggi siamo una sola comunità, musulmani e cristiani – ha affermato l’imam Bachar el Sayadi, intervenuto a Rouen –. Non ci sono differenze nel dolore e nell’amore per la vita, nel cuore di chi vuole unire quello che i terroristi vorrebbero dividere. Siamo venuti qui oggi per affermarlo con forza”9.
Ma se non è una guerra di religione, questo non vuol dire che le religioni e gli uomini e le donne di fede non abbiano nulla da dire e si possano ritenere assolti da ogni responsabilità. Per quanto blasfema e eretica l’idea che si possa uccidere nel nome di Dio ha attraversato e talora attraversa le religioni anche oggi e di fronte a questo abuso nessuno può tacere. Proprio ad Assisi, due mesi fa, in occasione dei 30 anni della preghiera per la pace, centinaio di leader religiosi di tutto il mondo hanno ribadito, insieme a papa Francesco, il medesimo concetto. Permettetemi di ricordare un paio di esempi dolorosi della nostra storia recente di chiese protestanti:
– quando in Germania negli anni 30 del Novecento i cosiddetti “cristiano tedeschi”, cioè la versione religiosa del nazismo, si impadronì del governo della chiesa evangelica in Germania, ci fu la reazione della “chiesa confessante” che iniziò una “battaglia nella chiesa” (kirchenkampf – i più giovani vadano almeno a vedere le immagini su internet relative a questo periodo) per riaffermare, contro il verbo nazista, che per i cristiani: l’unico fuhrer (capo supremo) è Gesù Cristo; l’unica terra da ricercare (il nazismo voleva dare più spazio vitale ai tedeschi) è quella dei cieli; e che l’unico sangue che salva (il nazismo promuoveva la pura razza ariana) è quello versato da Gesù Cristo per noi. Fu un contributo necessario e importante per contrastare quell’ideologia totalitaria e assassina e soprattutto per la rinascita di una libera coscienza tedesca, dentro e fuori la chiesa.
– quando in Sud Africa il sistema dell’apartheid, ideato nei primi decenni del secolo scorso e formalizzato giuridicamente nel 1948, e smantellato soltanto nel 1994, pretendeva giustificazione bibliche e teologiche riaffermate da più autorevoli esponenti di due chiese riformate sudafricane – una delle quali era la più larga denominazione protestante del Paese – il Consiglio ecumenico delle chiese, nel 1969, lanciò il “Programma per combattere il razzismo” che ebbe un grande effetto a livello spirituale, culturale e politico, e nel 1982 l’Alleanza mondiale delle chiese riformate dichiarò l’apartheid una “eresia teologica” “sospendendo” dal suo seno queste due chiese sudafricane. Nel 1994 terminava in modo pacifico quel regime ingiusto e avviava un grande processo di riconciliazione nazionale con la guida illuminata del predicatore metodista Nelson Mandela. Una di quelle due chiese riformate “sospese” (la più grande, la NGK Chiesa riformata olandese), fu riammessa nell’ARM nel 1999 dopo una revisione profonda delle proprie posizioni.
Ho citato questi esempi – ma se ne potrebbero anche citare altri – perché testimoniano come, di fronte all’abuso del nome di Dio, non basta rivendicare la propria diversità o la propria estraneità alla violenza – che è già importante – ma si impongono parole e gesti che condannino ogni ermeneutica religiosa del terrore e della violenza (“Perché non confido nel mio arco e non sarà la mia spada a salvarmi”, Salmo 44,6) e contribuiscano a creare le condizioni perché le spade si trasformino in vomeri e le lance in falci (Isaia 2,4), perché benignità e verità si incontrino e giustizia e pace si bacino (Salmo 85,10).
Per questo ci sentiamo impegnati a rafforzare il dialogo con tutti i credenti – musulmani e di tutte le fedi – pronti a condividere la ricerca e l’impegno per una convivenza vissuta nel dialogo e nella ricerca del bene comune. Ancora una volta, la sfida è quella di individuare percorsi ecumenici in questa strategia del dialogo. Non partiamo da zero: penso alla giornata ecumenica per il dialogo cristiano islamico che ormai da alcuni anni celebriamo il 27 ottobre. Ma è evidente che la situazione che abbiamo di fronte suggerisce di cercare anche altre strade.
Il nostro rapporto con il creato
Da anni ormai, anche sulla scorta delle assemblee ecumeniche che abbiamo ricordato, decliniamo i temi della giustizia e della pace insieme a quelli del creato. Benché sia un tema entrato da poco nell’agenda ecumenica, neanche in questo caso partiamo da zero: penso alla Giornata per la custodia del creato che, con la convinta partecipazione anche ortodossa, ogni anno celebriamo l’1 settembre.
Lo facciamo sulla scorta di riflessioni importanti: quella del Consiglio ecumenico delle chiese, a cui si deve un ruolo pionieristico nella denuncia degli effetti del riscaldamento globale e delle sue drammatiche conseguenze sul piano sociale e ambientale10; ma anche la Confessione di Accra approvata nel 2004 dall’Alleanza riformata mondiale, un documento solenne che formula teologicamente “l’impegno a realizzare un patto globale in vista della giustizia nell’economia e nell’ecologia per la casa di Dio”11.
Sino ad arrivare all’enciclica di papa Francesco Laudato sì che anche per noi protestanti ha rappresentato un prezioso contributo di analisi teologica e uno stimolo all’impegno. Lo spunto sul quale lavorare insieme è quello di una ecoteologia di giustizia nella quale i temi dell’ambiente si intrecciano a quelli della condivisione dei beni, dell’equità nell’accesso alle risorse naturali, di una etica del limite che ci impone stili di vita misurati e eco-compatibili.
Conclusioni
Mi avvio rapidamente alle conclusioni: disponiamo di un’agenda e di alcune buone pratiche da sviluppare. Direi che viviamo anche un clima ecumenico che ci autorizza a procedere con più coraggio e fiducia. La partecipazione convinta di papa Francesco alla commemorazione della Riforma protestante, il 31 ottobre scorso a Lund (Svezia), né è un ulteriore e importante segno.
Lo facciamo sapendo che a fronte di tanti temi che ci uniscono ce ne sono anche altri che invece continuano a dividerci: sono i ben noti temi etici – la concezione della famiglia, le unione omosessuali, la fecondazione assistita – ma anche persistenti questioni teologiche: se sulla giustificazione si è potuto raggiungere un importante accordo teologico utilizzando il principio del “consenso differenziato” (si è d’accordo sulle affermazioni centrali e ci si differenzia su questioni non centrali, che non impediscono la comunione) non c’è alcun accordo, per esempio, sul ministero ecclesiastico e conseguentemente sul governo della chiesa (sostanzialmente sul ruolo o non ruolo dei laici).
Ma prima tra tutte, per gli effetti pratici che produce, continuiamo ad avere una diversa concezione della Cena del Signore che finisce per dividere, invece che unire, i credenti in Gesù Cristo. Per dirla con Paolo Ricca, “ll luogo della comunione si è trasformato nel luogo della scomunica, il contrario di quello che voleva e doveva essere”12. J. Moltmann ha affrontato di petto la questione arrivando a delineare una proposta: “Nella Cena e, rispettivamente, nell’eucaristia – affermava – noi celebriamo non le nostre teorie, bensì la presenza del Cristo vivente! E perciò, ecco la mia proposta: “Prima viene il mangiare e bere, e solo dopo restiamo a tavola per discutere, alla presenza vissuta del Cristo, le nostre differenze, per appianare le nostre controversie ecc. Dunque, prima la comunione nella Cena del Signore e in seguito la discussione sulla teoria e la teologia!13”.
E allora colgo l’occasione di questo incontro per sostenere due piccole proposte: la prima è quella di istituire una commissione paritetica di teologi e teologhe – anche laici – che ragioni su questo tema che forse, più che per quello che comporta in sé, è problematico per quello che rappresenta. L’obiettivo non è arrivare a nuove sintesi dogmatiche ma di porsi insieme all’ascolto della Parola di Dio per cercare strade nuove di condivisione, magari in quelle diocesi in cui a causa dei matrimoni interconfessionali, il tema è più vivo e sentito.
La seconda proposta, già condivisa nella sedi degli incontri opportunamente promossi dall’Ufficio ecumenismo e dialogo – e per i quali voglio ringraziare pubblicamente mons. Spreafico e don Bettega – è quella di un Forum permanente delle comunità cristiane che, senza creare complesse strutture burocratiche, ci dia modo di confrontarci costantemente e periodicamente sull’agenda che intendiamo percorrere insieme.
Concludo davvero: anni fa, in un suo intervento sullo stato dell’ecumenismo, il cardinale Kasper affermò che eravamo “all’inizio dell’inizio”14. Aveva ragione ma forse proprio per questo, illuminati dalla Paola di Dio e sospinti dal soffio dello Spirito santo oggi possiamo sperare che il nostro cammino proceda con la necessaria prudenza ma anche con la velocità imposta dai grandi cambiamenti e dalle grande sfide che stiamo vivendo come uomini e donne che si dichiarano cristiani.
Eugenio Bernardini
moderatore della Tavola Valdese
moderatore della Tavola Valdese
1 La riflessione è condotta dal Continuation Committee on Ecumenism in the 21st Century, http://www.oicoumene.org
2 Final Report of the Continuation Committee on Ecumenism in the 21st Century, 27 agosto 2012, http://www.oikoumene.org 3 Enzo Pace, Le religioni nell’Italia che cambia. Mappe e bussole, Carocci, 2014. 4 Alberto Melloni (a cura di), Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia, Il Mulino, 2014. 5 Armando Matteo, La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, Rubettino 2010. 6 Franco Garelli, Piccoli atei crescono. Davvero una generazione senza Dio?, Il Mulino 2016. 7 Franco G. Brambilla, Ecumenismo e Missione, Conferenza in occasione della tavola rotonda organizzata dal Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano durante la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani – Milano, Angelicum, 21-1- 2011, http://www.to.chiesadimilano.it/or/rassegnastampa/UFFICI/ecumenismo/SPUC2011.pdf 8 Ibidem 9 La Repubblica, 31 luglio 2016 10 Per una sintesi delle posizioni teologiche su questo tema, cfr. Letizia Tomassone, Crisi ambientale ed etica. Un nuovo clima di giustizia, Claudiana 2015. 11 Confessione di Accra. Per la giustizia economica ed ecologica un patto in via di realizzazione (Covenanting for Justice in the Economy and in the Earth), 2004 12 Paolo Ricca, L’ultima cena, anzi la prima, Claudiana 2014. 13 Hans Küng e Jürgen Moltmann, Una spiritualità ecumenica vissuta già oggi. Estratto dal colloquio tenutosi durante la giornata ecumenica a Monaco 2010, in “Concilium” n. 3 del 2011. |