
da Acli.it, Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani.
Pubblichiamo in più puntate (per renderli più agevoli da leggere), gli orientamenti per il 26° congresso nazionale delle ACLI. Il titolo scelto è “ACLI 2020 Più eguali. Viviamo il presente, costruiamo il domani”. Con queste parole s’intende porre particolare attenzione all’uguaglianza e alla giustizia sociale, temi fondamentali nel nostro movimento, per declinare al presente e al futuro quelle politiche sociali che si rivolgono agli ultimi e ai penultimi, ad un ceto popolare sempre più schiacciato verso il basso a causa di anni di crisi e di scarsa attenzione da parte della politica.
3. Lo strappo tra pensiero e azione
Le sempre più accentuate e multiformi disuguaglianze rappresentano lo sfondo sul quale si collocano più specifiche linee di frattura, che rappresentano altrettante prospettive sulle quali intendiamo concentrare la nostra attenzione. In particolare, pensiamo che ci siano almeno quattro strappi da ricucire attraverso la riflessione e l’azione diretta. Si tratta di quattro grandi contraddizioni, quattro ambiti della vita sociale ed economica le cui logiche stridono con l’ecologia integrale, il paradigma che più di altri è in grado di fermare quella che nella Laudato si’ viene definita «la spirale di autodistruzione in cui stiamo sprofondando» (N. 163).
- Strappo #01: Economia Vs. Ambiente
- Strappo #02: Lavoro Vs. Sapere
- Strappo #03: Periferia Vs Comunità
- Strappo #04: Politica Vs. Democrazia
Strappo #01: Economia Vs. Ambiente
Abitiamo l’epoca nella quale le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche sono da attribuire all’essere umano e alla sua attività. Il cambiamento climatico, la distruzione della biodiversità, l’inquinamento degli oceani, la desertificazione sono tutte questioni che dipendono da noi, dall’idea di economia che abbiamo assecondato senza avanzare alcuna critica.
È impressionante scoprire che, da quando il cambiamento climatico indotto dall’uomo è stato ufficialmente riconosciuto, oltre la metà delle emissioni industriali globali è riconducibile a solo 25 entità aziendali o statali. In Italia, abbiamo inoltre ceduto al ricatto peggiore, quello in cui l’ambiente e la salute delle persone vengono barattate per il lavoro: negli anni ’80 era la Eternit a Casale Monferrato, oggi è l’Ilva a Taranto. Per non parlare della sequenza di disastri ambientali che si sarebbe potuto evitare: Seveso, Giugliano, il Sacco, Bellolampo, il Polcevera sono cittadine, fiumi, laghi irrimediabilmente deturpati, diventati malsani e pericolosi per gli abitanti, quasi sempre con il concorso delle ecomafie e l’indifferenza dei controllori.
Non ci sono solo le industrie e la criminalità a inquinare ma anche i nostri comportamenti. La cosiddetta «impronta ecologica» misura il consumo di risorse naturali conseguente alla presenza dell’uomo: negli ultimi cinquant’anni, questo indicatore è cresciuto del 190%. Un cittadino italiano per compensare la sua presenza sul pianeta e il suo stile di vita avrebbe bisogno di un territorio con un’estensione di quattro volte l’Italia. In pratica stiamo vivendo sovrasfruttando le capacità delle terra. Nonostante questi pochi dati ammettano poche obiezioni non bisogna pensare che la soluzione implichi una decrescita e un ritorno a un passato pre-industriale: la tecnica e l’innovazione possono essere dei fattori di compensazione e riduzione del danno.
L’economia verde è una delle eccellenze del nostro paese. La Relazione 2018 sulla green economy evidenzia che l’Italia è prima fra i grandi Paesi europei in economia circolare, agricoltura biologica ed anche eco-innovazione, ma ha ancora molto da fare sul consumo del suolo, la tutela della biodiversità e l’abbandono del carbone. Ovviamente, senza un radicale cambiamento dei nostri comportamenti individuali, neppure l’economia verde potrà molto di fronte al collasso ambientale.
I movimenti sociali che chiedono un’inversione di tendenza sul clima, lo sviluppo di un’opinione pubblica e di consumatori attenti alle implicazioni ambientali, la lenta ma progressiva convergenza delle politiche globali sono elementi che spingono a essere fiduciosi: il problema è che non c’è molto tempo per cui è necessario che tutti si impegnino per imprimere un cambio di velocità.
Sappiamo bene che il nostro pianeta è uno solo, agiamo di conseguenza. Il tempo rimasto è poco per cui occorre fare massa critica e orientare il cambiamento con i comportamenti. Come singoli cittadini possiamo fare molto: il consumo critico, la sobrietà, il cosiddetto «voto con il portafoglio», il recupero e la redistribuzione delle eccedenze sono pratiche individuali che applicate su larga scala possono spingere le aziende a cambiare il proprio modo di fare. In altre parole, bisogna esercitare il nostro diritto di scelta, premiando le esperienze di economia civile che guardano all’ambiente naturale e alle comunità locali con attenzione e rispetto. Il non profit, la cooperazione sociale e le organizzazioni di terzo settore, per quanto siano già impegnate sul fronte della tutela ambientale, possono e devono fare di più: al loro interno sono stati sviluppati modelli produttivi e organizzativi «verdi» che possono essere trasferiti anche in altri ambiti.