
dal profilo facebook di fratel Ignazio de Francesco, monaco della Piccola famiglia dell’Annunziata.
“Mi alzai verso le 3,30 e mi avviai camminando lungo i vicoli deserti della città per raggiungere la basilica”. E’ Carlo Maria Martini che scrive.
L’uomo che predicava l’alleanza tra fede e dubbio, la necessità di lasciarle vivere l’uno accanto all’altra, addirittura nella stessa persona, scrive così di quella messa solitaria nella Gerusalemme addormentata del 12 luglio 1959:
“Di quella messa ricordo soltanto una sensazione fortissima di “vita”, di ciò che significa “vita”: pregando e celebrando da solo sulla pietra del sepolcro [di Gesù], con pochissime persone che assistevano di fuori, mi pareva di cogliere in una maniera straordinariamente lucida che la vita è il tema nodale di tutte le religioni, è l’anelito dell’umanità, che in quel luogo si concentrava ogni speranza, ogni certezza, tutta la fiducia di vita. Difficile descrivere l’esperienza che ho vissuto, l’intuizione che ho avuto di una vita che non finisce mai, che scoppia, deborda, abbraccia l’universo; la sensazione che tutte le religioni si giocano sul tema della vita per sempre, della risurrezione e che quindi, a partire da qui, tutto doveva essere compreso e giudicato” (da Alberto Guasco, “Martini: gli anni della formazione” 229)
Il non-credente che era in lui sicuramente l’avrà punzecchiato ad ogni risveglio, mostrandogli l’inconsistenza logica delle speranze del credente che era in lui. Rimane tuttavia, fosse anche a livello puramente culturale, la validità dell’intuizione di fondo: “La vita è il tema nodale di tutte le religioni, è l’anelito dell’umanità”.
Ignazio De Francesco