
Il dott. Tudor Petcu, originario della Romania, paese in cui le comunità cristiane furono strettamente controllate e in molti casi perseguitate dal regime della Repubblica Socialista, intervista il professor Fulvio De Giorgi, esperto di storia moderna e contemporanea e di storia della pedagogia. Il tema: la storia del comunismo in Italia, il Partito Comunista Italiano e i suoi rapporti con i cattolici e con la Chiesa cattolica. La figura del professor Fulvio De Giorgi è legata alla ricerca storica che, avendo come arco temporale la tarda età moderna e l’età contemporanea, si incentra su temi di storia della cultura e di storia dell’educazione. È segretario della redazione della rivista “Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche”. Collabora all’attività dell’Archivio per la storia dell’educazione in Italia (Brescia). È membro del Comitato Scientifico della Fondazione Micheletti di Brescia.
Ha pubblicato saggi sulle riviste della contemporaneistica italiana (Storia contemporanea, Italia contemporanea, Rivista di storia contemporanea) ed è membro, dalla fondazione, della redazione di “Contemporanea”, edita dal Mulino. È membro della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (SISSCO), sin dalla fondazione della stessa.
È stato tra i fondatori della Società Storica Saronnese e fa parte del suo Consiglio Direttivo.
Vorrei anzitutto domandarle come dovremmo capire il comunismo in Italia dal punto di vista culturale e sociale. Qual sarebbe la differenza tra il comunismo italiano e il comunismo dell’Europa dell’Est?
La differenza sostanziale deriva dalla diversa caratteristica o funzione storica che il comunismo ha avuto, da una parte, in Russia prima e nell’Europa orientale (ma anche in Cina o a Cuba) poi e, dall’altra, nei vari paesi dell’Europa occidentale. In Russia e, in generale, nei paesi del ‘socialismo realizzato’, il comunismo fu un Regime, cioè una forma dello Stato e di uno Stato totalitario, tendenzialmente a Partito unico. Nell’Europa occidentale le forme di Stato totalitario, a Partito unico, furono di tipo nazifascista (in Italia, in Germania e, con molte differenze, in Spagna). Nell’Europa occidentale cioè non si ebbero Regimi comunisti, ma Partiti comunisti che, pur volendolo, non giunsero mai a ‘prendere il potere’ e ad instaurare un totalitarismo comunista. Anche in Italia, che pur ebbe il più forte e importante Partito comunista di tutto l’Occidente, il PCI – dopo la Seconda guerra mondiale – fece parte di governi di unità antifascista nazionale, ma ben presto – quando dal 1947 si avviò la guerra fredda – esso fu estromesso dal governo nazionale e non ebbe più suoi ministri fino alla sua fine.
Per la gran parte del Secondo dopoguerra, dunque, e fino alla sua scomparsa (cioè alla sua trasformazione in due partiti: PDS e PRC) il PCI fu un partito d’opposizione che, soprattutto nel clima della guerra fredda e anche davanti alla ripresa di un movimento neofascista, si fece alfiere della democrazia e delle libertà civili, della Costituzione democratica (che aveva contribuito a stendere) e delle prerogative del Parlamento.
Parlando del comunismo italiano, credo che sia necessario di parlare anche del pensiero di Antonio Gramsci, che nel 1921 fu tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia. Lui è considerato uno dei più importanti pensatori del XX secolo e da questo punto di vista le chiedo di dirmi qual è la sua opinione per quanto riguarda le analisi di Gramsci sulla struttura culturale e politica della società, analisi che si trovano nei suoi scritti.
Antonio Gramsci è stato, indubbiamente, il più importante teorico del marxismo in Italia. Il suo pensiero è ancora molto studiato e apprezzato nel mondo. Questa vitalità teorica (e politica) del gramscismo, anche oltre la crisi e la fine di tante altre forme di marxismo teorico, deriva da alcune sue peculiari caratteristiche, derivate dalla tradizione culturale e filosofica italiana. Il concetto gramsciamo di ‘egemonia’ – che indica una via di trasformazione socialista di una società, ben diversa dal semplicistico schema ‘rivoluzione violenta/dittatura del proletariato’ – si fonda infatti su una complessa e articolata visione della dialettica marxiana tra base (o struttura economica) e sovrastruttura (o mondo delle idee, della cultura, dello spirito): la seconda non è un mero e meccanico riflesso della prima, ma ha una sua processualità storica complessa, con continuità e permanenze, in grado di interagire con la struttura, nella forma dunque di una dialettica non banalmente e schematicamente deterministica. Ciò portava pure Gramsci ad una politica ‘volontaristica’ in senso leninista. Questo naturalmente non vuol dire negare che anche Gramsci guardasse ad un modello totalitario, tendenzialmente a Partito unico. Sulla suggestione del capolavoro rinascimentale di Machiavelli (Il Principe), egli formulò l’idea del Partito comunista come Moderno Principe, con evidenti tensioni totalitarie al suo interno. Tuttavia questa visione era completata da un’idea del Partito stesso come intellettuale collettivo, da una valorizzazione dei contadini (e non solo della classe operaia), da un ideale consiliare, da non piccole influenze di tipo democratico (penso per esempio a Salvemini o a Gobetti) che agivano su di lui.
Quindi la sua posizione era molto originale. Per quel che si sa, quando egli fu imprigionato (fino alla morte) nelle carceri fasciste, non aderì alle posizioni staliniste che intanto erano diventate dominanti in URSS e nel movimento comunista internazionale.
Mi ha sempre interessato analizzare la Chiesa durante il regime comunista anche perché sono nato in un paese dove la Chiesa fu costretta a lottare con questo regime, ma soprattutto a fare a volte dei compromessi perché non aveva un’altra soluzione. Le sarei grato, se Lei potesse mettere in evidenza il ruolo e la resistenza della Chiesa Cattolica Italiana durante il regime comunista perché è un soggetto che merita tutta l’attenzione.
La Chiesa Cattolica Italiana non visse mai sotto un regime comunista, perché come ho già detto non ci fu mai in Italia un regime comunista.
Possiamo dire che i vertici della Chiesa Cattolica universale, cioè i Papi che furono (fino al 1978) italiani, e in generale il cattolicesimo italiano assunsero sempre un atteggiamento anticomunista. Bisogna tuttavia aggiungere alcune osservazioni.
Innanzi tutto, negli anni finali del regime fascista e poi durante la guerra e la Resistenza antinazista e antifascista, si sviluppò in Italia un movimento, molto ristretto ed elitario, di ‘cattolici comunisti’ che ha una certa importanza sul piano teorico (soprattutto con le figure del filosofo Felice Balbo e del teorico politico Franco Rodano).
Più in generale dobbiamo distinguere, sul piano cronologico, almeno due fasi nell’atteggiamento vaticano (cioè del papa e della Santa Sede) verso i Regimi comunisti: con Pio XI e con Pio XII si trattò di una vera e propria Crociata spirituale anti-comunista, un atteggiamento ‘muro contro muro’; con Giovanni XXIII, Paolo VI e il Concilio Vaticano II prese avvio invece una prospettiva più dialogante, che riuscì a dare forza ai cattolici, almeno in alcuni Paesi comunisti (si pensi alla Polonia), con la possibilità della nomina dei vescovi. Si pose così almeno una delle cause remote della fine dei regimi totalitari comunisti.
Il comunismo ha significato senz’altro il rifiuto dei valori cristiani, ma che cosa potrebbe dirmi sull’evoluzione del pensiero cristiano in Italia comunista? Per esempio, in Romania comunista il pensiero cristiano ha conosciuto una forte evoluzione e potrei prendere in considerazione soprattutto la letteratura che ha lasciato spazio alla sofferenza dei martiri cristiani.
Poiché, come ho più volte detto, non c’è mai stato in Italia un regime comunista, prendo l’espressione “Italia comunista” nel senso di un’Italia che vedeva la presenza del più forte Partito comunista dell’Occidente.
Il pensiero cattolico italiano, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965), ha avuto, da una parte, un metodo dialogante verso tutti, anche verso gli avversari e perciò anche verso i comunisti (distinguendo l’ideologia, da condannare, con le persone reali da accogliere con umanità e dialogo) e, dall’altra, una ‘dottrina sociale’ molto avanzata sul piano della solidarietà, della giustizia e della carità. Contemporaneamente il PCI, all’opposizione, ha sviluppato, fin da subito e nonostante alcune ambigue ‘doppiezze’, un atteggiamento di ‘democrazia progressiva’ come via italiana al socialismo. Ciò ha portato molti cattolici democratici italiani (prevalentemente raccolti nel partito della Democrazia Cristiana) a guardare con attenzione al PCI, a stimolarne l’evoluzione in senso democratico compiuto e l’autonomia da Mosca. Il punto più alto di questo dialogo si è avuto con il cattolico Aldo Moro e con il comunista Enrico Berlinguer, che si sono intesi per salvare la democrazia italiana degli anni ’70 dal pericolo del terrorismo rosso e della crisi economica. L’uccisione di Moro, da parte dei terroristi delle Brigate Rosse, nel 1978, interruppe quell’esperimento. Ma portò di lì a poco gran parte dei comunisti italiani ad abbandonare l’ideologia comunista, per giungere ad una politica sinceramente e completamente democratica di sinistra (PDS), e per infine fondersi con gli eredi del cattolicesimo democratico italiano, dando vita all’attuale Partito Democratico.
Qual è oggi l’opinione italiana sul comunismo e vorrei domandarle anche se, dal suo punto di vista, dovessimo fare la differenza tra il marxismo e comunismo.
Non mi è possibile parlare in poche righe dell’attuale opinione “italiana” sul comunismo. Mi limito a qualche suggestione. Penso che oggi la gran parte degli Italiani conosca poco della storia del comunismo (anche italiano), ne ignori il contributo alla Resistenza e alla stesura della Costituzione e ne abbia un apprezzamento genericamente negativo come uno dei totalitarismi del Novecento. La stessa Cina, Corea, Vietnam, Cuba non sono immediatamente percepiti come regimi comunisti: nel senso che questo aspetto viene piuttosto ritenuto un residuo del passato che prima o poi sarà superato.
Certamente il marxismo, come dottrina politica nata nell’Ottocento europeo occidentale, e il comunismo, come movimento politico del Novecento che ha dato vita a Stati totalitari per lo più nell’Europa orientale, sono realtà differenti, anche se sono chiari ed evidenti i legami storici tra i due.
Non è impossibile pensare che il marxismo (che personalmente non accolgo) potrà ancora suscitare interesse in intellettuali-politici nel mondo. Così pure non è forse impossibile immaginare un futuro ‘comunismo integralmente non marxista’: ma questo vorrà dire che più che comunismo dovrà essere un ‘benecomunismo’ (fondato cioè non sulla lotta di classe ma sul bene comune), un comunitarismo personalista, certo non materialista ma spiritualista, attento alla giustizia sociale ma anche alla salvaguardia della biosfera.