
Il dott. Tudor Petcu ci invia un altro articolo da lui ricevuto e tradotto stavolta sui Testimoni di Geova in Armenia. Il testo, redatto originariamente in inglese e tradotto in italiano da Tudor Petcu, fa parte del materiale per una pubblicazione che egli sta curando in riferimento alla storia dei Testimoni di Geova nel mondo che sarà pubblicato prossimamente. Questo libro sarà il primo lavoro accademico che narra le sofferenze dei Testimoni di Geova nei diversi paesi del mondo in un modo obiettivo, essendo basato completamente su una ricerca scientifica.
SEZIONI 1 E 2 ― PIETRE MILIARI E RAGIONI DELLA SOFFERENZA
In Armenia, per la maggior parte del secolo XX, i Testimoni di Geova rimasero una religione sconosciuta. Fu solo verso la metà degli anni ’70 che una manciata di persone si battezzò, entrando così a far parte di questo gruppo religioso. Quasi subito iniziarono a incontrare opposizione da parte delle autorità a causa della loro fede e delle loro credenze, che contemplavano il rimanere neutrali rispetto alla politica e alla guerra. I bambini furono espulsi da scuola, gli adulti furono etichettati come “spie americane”, e alcuni furono costretti a fuggire dall’Armenia. Tale persecuzione sorse principalmente perché l’Armenia faceva parte dell’Unione Sovietica, che cercava di eliminare ogni religione esistente e di prevenire il futuro radicamento delle credenze religiose, e aveva inoltre l’obiettivo di istituire l’ateismo di stato.
Dopo la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991 la persecuzione contro i Testimoni è continuata, principalmente perché, in quanto obiettori di coscienza, non partecipavano alle guerre e non svolgevano il servizio militare.
IL CONTESTO
Intorno alla prima guerra mondiale iniziò a verificarsi una sorta di diaspora armena che coinvolse tutto il mondo, con una grande comunità che si stabilì negli Stati Uniti. Fu lì che i primi cittadini armeni conobbero gli Studenti Biblici (come erano noti i Testimoni di Geova fino al 1931) e ne entrarono a far parte. In Europa, una cittadina armena di nome Vartuhi Terteryan conobbe i Testimoni mentre viveva in Francia. Ricevette alcune loro pubblicazioni da suo fratello, che viveva negli Stati Uniti. Nel 1936 essa tornò in Armenia e parlò di quello che aveva letto a famiglia, amici e vicini.
Nel 1974, Sergey Avetisyan si recò in Russia per lavoro. Laggiù incontrò i Testimoni di Geova, che gli parlarono della Bibbia. Più tardi, quello stesso anno, tornò in Armenia, dove raccontò alla famiglia e agli amici ciò che aveva imparato. Nell’agosto del 1975 una coppia di Testimoni della Russia, Vasili e Zhenya Gavrish, visitò l’Armenia per insegnare alle persone interessate che Sergey aveva contattato. Il 30 agosto 1975 si battezzarono 16 persone del villaggio di Nalbandyan. Questo piccolo gruppo, insieme a quelli che in seguito si unirono loro, iniziò presto a subire persecuzioni a motivo della propria fede.
OPPOSIZIONE DURANTE L’ERA SOVIETICA
Uno dei figli di Sergey, Zhirayr Avetisyan, che all’epoca aveva circa 15 anni, fu rimandato a casa dalla sua insegnante per essersi rifiutato di indossare un fazzoletto da collo, capo d’abbigliamento tradizionale indossato dai Giovani Pionieri. L’insegnante disse a Zhirayr: “Non tornare in classe finché non ti sarai messo la sciarpa”. Egli ricorda che, mentre stava lasciando la scuola, lei e altri gli urlavano minacce e insulti. Dopo quell’episodio, non tornò più a scuola.
Anche altri bambini furono perseguitati a causa di ciò in cui credevano. Vladimir Vardanyan ricorda che i suoi figli furono perseguitati a scuola perché non salutavano la bandiera e non facevano parte degli Oktjabrjata [“Bambini dell’Ottobre”] o dei Giovani Pionieri. Il problema era aggravato dal fatto che i suoi figli non potevano spiegare apertamente le ragioni della loro astensione, poiché all’epoca l’attività dei Testimoni di Geova era severamente vietata. Razmik Tonoyan riferisce che le sue due figlie furono espulse da scuola perché si rifiutavano di entrare a far parte dei Giovani Pionieri, di salutare la bandiera e di contribuire a un fondo utilizzato per acquistare munizioni per i militari.
Anche gli adulti vennero presi di mira e affrontarono l’opposizione delle autorità. Molti subirono irruzioni nelle proprie case da parte della polizia e del Comitato per la sicurezza dello Stato (KGB), che cercavano le pubblicazioni dei Testimoni di Geova. Talvolta il KGB svolgeva le perquisizioni dietro al pretesto di cercare armi illegali. Zhirayr Avetisyan ricorda uno di questi eventi:
[Un giorno], mentre facevo lavori di ristrutturazione nella nostra casa, arrivarono due macchine che si fermarono fuori; ne scesero una decina di poliziotti che circondarono la casa. Un paio di agenti entrarono in casa, ci mostrarono un mandato di perquisizione e ci dissero che si era sentito un colpo di pistola che si presumeva provenisse da casa nostra. La perquisizione durò 4-5 ore.
Non fu mai trovata alcuna pistola, né furono trovate le pubblicazioni, che erano tutte ben nascoste.
Allo stesso modo, Nazik Mesropyan racconta di quando degli agenti entrarono nella sua casa in cerca delle pubblicazioni dei Testimoni di Geova:
Ricordo una volta in cui diversi agenti del KGB entrarono in casa nostra e dissero che della gente si era lamentata dicendo che mio padre aveva una pistola con cui minacciava chiunque non ascoltasse le cose che predicava. Durante la perquisizione non trovarono alcuna arma; trovarono invece le pubblicazioni che erano venuti a cercare, insieme a una copia della Bibbia, e sequestrarono il tutto.
Negli anni prima del crollo dell’Unione Sovietica, i Testimoni in Armenia continuarono a incontrarsi per il culto, ma lo facevano in segreto. I documenti indicano che alla fine degli anni ’80 circa 60 persone partecipavano alle riunioni religiose dei Testimoni di Geova in varie città e villaggi in tutta l’Armenia.
A volte il KGB scopriva i luoghi in cui si incontravano i Testimoni e vi faceva irruzione. Nazik Mesropyan ricorda una di queste occasioni:
Il [discorso a tema religioso] era appena iniziato, quando si sentì bussare forte alla porta […] entrarono 6 o 7 uomini […] ci mostrarono le loro credenziali e si identificarono. Erano agenti del KGB e dell’OBKhSS, il sindaco del nostro paese e il suo segretario. Ci intimarono di non muoverci e iniziarono a interrogatorci. A ciascuno di noi chiesero nome, cognome, data di nascita, età, residenza, tutte le infomazioni personali. Interrogarono persino i bambini piccoli. […] Ci tennero lì per circa tre ore, prima di rilasciarci.
I TESTIMONI DI GEOVA NELL’ARMENIA SOVIETICA E LA NEUTRALITÀ
In tutto il mondo i Testimoni di Geova mantengono una posizione neutrale rispetto alla politica. Poiché le attività di questo gruppo religioso cominciarono piuttosto tardi nell’Armenia sovietica, in quel periodo pochi giovani affrontarono il problema dell’obiezione di coscienza. Un giovane che dovette affrontarlo fu Sergey Glebov. Sua sorella Alla Kulikova ne racconta l’esperienza:
Mio fratello […] si battezzò [come testimone di Geova] nel 1978. Prima che fosse chiamato al servizio militare era stato studente, aveva lavorato e si era già fatto una buona reputazione. Il giudice gli disse che non capiva perché un uomo così buono dovesse essere incarcerato. Disse: ‘Ma questo è ciò che richiede la legge: se una persona non svolge il servizio [militare], allora deve andare in prigione’. Fu il primo [Testimone di Geova] in Armenia a essere imprigionato per la sua fede (1985-1987).
A quanto pare fu anche l’ultimo, perché poco dopo, nel 1991, l’Unione Sovietica crollò.
I TESTIMONI DI GEOVA NELL’ARMENIA POST-SOVIETICA
Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, i Testimoni di Geova furono ufficialmente registrati nel territorio dell’ex Unione Sovietica. In Armenia ciò comportò una minore discriminazione nei confronti della loro attività, ed essi iniziarono a praticare più apertamente il proprio culto. Il numero di Testimoni nel paese aumentò sensibilmente. Nel 1995 c’erano più di 6000 persone che assistevano alle riunioni dei Testimoni di Geova. Il 15 ottobre 1995 fu presentata un’istanza presso il Consiglio di Stato per gli affari religiosi con cui si chiedeva la registrazione dell’organizzazione religiosa dei Testimoni di Geova in Armenia. Il vicepresidente del detto Consiglio respinse l’istanza affermando che l’atto costitutivo dei Testimoni “non soddisfaceva i requisiti della Legge sul servizio militare”. E aggiunse: “La questione potrà essere nuovamente affrontata solo dopo che sia stata accolta la ‘Legge sul servizio militare alternativo’”.
In seguito, per nove anni, furono fatti altri 13 tentativi di ottenere la registrazione legale dell’organizzazione dei Testimoni di Geova in Armenia. Il servizio militare continuò a essere addotto quale motivo per il diniego della registrazione. La registrazione legale venne infine concessa l’8 ottobre 2004.
Negli anni che precedettero la registrazione, i Testimoni di Geova continuarono a subire una certa discriminazione e persecuzione nel paese. Ad esempio, nel 2001, Lyova Margaryan, residente a Metsamor (Armenia), fu penalmente accusato di essere l’organizzatore di un gruppo religioso che adescava i giovani affinché partecipassero alle riunioni religiose di un culto non registrato e che condizionava i propri membri affinché non ottemperassero ai loro doveri civici. Fu incriminato ai sensi dell’articolo 244.1 del Codice Penale. Ciò nonostante, il 19 aprile 2002, con verdetto unanime, la Corte di Cassazione armena confermò le sentenze del processo di primo grado e della Corte d’Appello. Lyova Margaryan fu riconosciuto non colpevole in relazione alle accuse mossegli.
I TESTIMONI DI GEOVA NELL’ARMENIA POST-SOVIETICA E LA NEUTRALITÀ
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, il conflitto in corso tra Armenia e Azerbaigian circa l’enclave del Nagorno-Karabakh, nel sud-ovest dell’Azerbaigian, raggiunse il suo apice, e il patriottismo era molto sentito. La sola idea di essere obiettori di coscienza al servizio militare era impensabile. Nel dicembre 1993, i primi testimoni di Geova nell’Armenia post-sovietica furono incarcerati per la loro neutralità. Alcuni di questi subirono un trattamento violento e offensivo sia da parte di funzionari governativi e carcerari sia da parte dei compagni di prigione. Grikor Dayan, che fu incarcerato due volte per essere obiettore di coscienza al servizio militare nel 1995 e di nuovo nel 1999, ricorda di essere stato picchiato selvaggiamente e minacciato di stupro dai suoi compagni di prigione. Inoltre, lui e altri due obiettori di coscienza furono maltrattati dalle guardie carcerarie per essersi rifiutati di fabbricare mobili e uniformi per l’esercito. Furono messi in isolamento per diversi giorni e non vennero considerati per il rilascio anticipato, come invece prevedeva la legge nel caso dei trasgressori incensurati.
Alcuni sopportarono gravi maltrattamenti quando non fu permesso loro di dibattere il proprio caso in tribunale e furono invece trasferiti dal commissariato militare direttamente alla base militare.
Un rapporto di Human Rights Without Frontiers del 24 gennaio 2002 riguardo a “Intolleranza religiosa e discriminazione” in Armenia spiegava che l’unica sede in cui gli obiettori di coscienza “possano esporre le loro convinzioni e credenze è l’aula del tribunale durante il processo a loro carico per renitenza alla regolare chiamata al servizio militare ai sensi dell’articolo 75 o per diserzione ai sensi dell’articolo 255, e per renitenza allo svolgimento delle funzioni militari ai sensi dell’articolo 257 del Codice Penale. […] [Si preoccupano] principalmente per il fatto d’essere stati ingiustamente trattati da disertori venendo inseriti nell’esercito contro la loro volontà, senza possibilità di ricorso”. Il rapporto continuava affermando che, dalle interviste, “si era appreso che durante la custodia cautelare o entro l’unità militare in cui erano stati condotti con la forza gli obiettori di coscienza furono sottoposti a trattamenti umilianti quali ‘traditori del proprio paese’. Alcuni di loro furono percossi con violenza, mentre altri furono sottoposti a costante pressione psicologica perché cambiassero le loro credenze e convinzioni. Contro la loro volontà, furono costretti a indossare uniformi militari e a portare armi”.
Uno di questi era Zareh Karapetyan. Pur avendo già scontato nel 1994 una pena detentiva per renitenza alla leva, fu arrestato una seconda volta. Fu condotto con la forza in una base militare senza aver subìto un processo. Lì fu assoggettato a un trattamento brutale; fu gettato nella neve, denudato, preso a calci e picchiato, e gli fu urinato sopra. Sarebbe stato ucciso, se non fosse stato segretamente portato via dai suoi compagni di fede e nascosto fino a quando non potesse essere sottoposto a processo.
Artur Martirosyan si battezzò come testimone di Geova nel 1992. Nel 1994 fu chiamato a svolgere il servizio militare e si persentò al locale commissariato militare, dove la richiesta di essere riconosciuto quale obiettore di coscienza gli fu negata. Fu immediatamente e forzatamente condotto in una base militare a Gyumri, dove chiarì nuovamente il fatto che la sua coscienza non gli permetteva di prestare servizio militare. Il comandante della base fece ogni sforzo per costringerlo a indossare l’uniforme, a partecipare all’addestramento e a presentarsi per l’attività mattutina in formazione. Artur rifiutò fermamente. Arrivò il giorno in cui tutte le nuove reclute della base dovevano prestare giuramento come soldati. La coscienza di Artur non gli permise di farlo. Si rese conto che, indipendentemente dal fatto che avesse prestato giuramento o meno, era comunque visto come un soldato; pertanto fuggì dalla base. Rimase nascosto per circa cinque anni. Alla fine, nel 1999, fu arrestato e accusato di diserzione. Durante il processo rappresentò se stesso in tribunale e dimostrò che l’accusa di diserzione mossa nei suoi confronti era impropria. Argomentò sul fatto che non avrebbe dovuto essere accusato di diserzione, poiché non gli era mai stata data l’opportunità di rifiutare il servizio militare, cosa che avrebbe fatto al commissariato, essendo invece condotto con la forza in una base militare. Durante l’udienza, inaspettatamente, il pubblico ministero cambiò l’accusa da diserzione (articolo 255) a quella, di minore entità, di renitenza alla leva (articolo 75). Fu condannato a tre anni di prigione, e fu rilasciato in anticipo per buona condotta dieci mesi dopo.
L’8 dicembre 1998, anche Gagik Ohanyan fu condotto con la forza direttamente nella base militare di Vayk, dove subì violenti pestaggi da parte di Hovik Ohanyan, comandante della base. Appena arrivato, Gagik fu portato nell’ufficio del comandante, dove spiegò di essere un obiettore di coscienza e rifiutò di svolgere il servizio militare. Ciò fece infuriare il comandante, che diede uno schiaffo, un pugno e un calcio in faccia a Gagik. Il sangue gli colò dal naso sul pavimento e il comandante gli ordinò di “leccarlo”. Gagik fece del suo meglio per pulire il sangue con la mano. Ciò fece infuriare ancora di più il comandante, che diede un calcio in faccia a Gagik facendogli uscire un bulbo oculare dall’orbita. Alla fine, Gagik fu portato dal medico. Perché si ponesse fine alle percosse, i soldati dell’unità lo pregarono di indossare l’uniforme, anche solo per un giorno, e di presentarsi in formazione.
Lo stesso rapporto di Human Rights Without Frontiers menzionato sopra spiegava che alcuni venivano esonerati dal servizio militare solo dopo aver scontato tre anni interi di prigione. Perciò alcuni furono condannati due volte: prima ai sensi dell’articolo 75, per essere poi rilasciati e quindi nuovamente arrestati e condannati ai sensi dell’articolo 257. Il rapporto afferma che, di conseguenza, dopo il primo rilascio alcuni “si nascosero per paura della coscrizione, di subire un secondo processo e di ricevere una seconda condanna per diserzione o per renitenza agli obblighi militari”. Ad esempio, Grikor Dayan, menzionato in precedenza, rimase in carcere dal 5 dicembre 1995 al 23 maggio 1997 e di nuovo dal 15 aprile al 23 ottobre 1999.
Il 1° settembre 2003 entrò in vigore un nuovo codice penale. Successivamente, tutti gli obiettori di coscienza furono accusati ai sensi del’articolo 327.1 di tale codice.
Dal 1993 al 2006 la maggior parte degli obiettori di coscienza incarcerati fu condannata a meno di due anni di reclusione. Prima del 2006 scontavano solo un terzo della pena, essendo rilasciati per “buona condotta” come previsto dalla legge nel caso dei trasgressori incensurati. Tuttavia, nel settembre 2006 il governo introdusse un nuovo ordine riguardo al rilascio anticipato. In seguito, a nessun Testimone fu concesso il rilascio anticipato. Neppure le direzioni delle carceri raccomandarono il rilascio anticipato nel caso dei Testimoni, poiché veniva addotta come presunta motivazione la mancanza di rimorso per il loro “crimine”. Inoltre nel dicembre 2005, fu modificato l’articolo 327.1 del Codice Penale, e molti di coloro che vennero condannati in seguito sulla base di quel Codice ricevettero pene detentive superiori a due anni.
A quel punto, tutti gli obiettori di coscienza venivano sottoposti a udienze nei tribunali e ricevevano pene detentive. Armen Grigoryan, però, rappresentò un’eccezione. Armen era stato cresciuto da genitori Testimoni, ma non si era ancora battezzato quale testimone di Geova. Come richiesto dalla legge, una volta compiuti i 18 anni si presentò al locale commissariato militare. Racconta che quando fu chiamato non aveva ancora preso una decisione in merito al servizio militare. Dopo la visita medica, fu ritenuto idoneo al servizio militare e fu subito condotto in una base militare nel Karabakh, a circa 350 chilometri (217 miglia) da casa. Per tre giorni i suoi genitori non seppero dove fosse o che cosa gli fosse successo. In seguito gli fu permesso di contattare i familiari. Loro gli dissero che in quei tre giorni si erano recati al commissariato militare chiedendo dove fosse. Ai suoi genitori fu detto che nessuno sapeva dove fosse. Poco dopo il suo arrivo alla base militare, Armen prese una decisione: voleva mantenere una posizione neutrale riguardo al servizio militare e quindi non voleva prendere servizio. Quando rese nota questa decisione alle autorità della base iniziarono i problemi. Fu picchiato e costretto a indossare un’uniforme militare. Un giorno Armen cercò di presentare il proprio caso a un generale che stava visitando la base. Il generale ordinò che Armen fosse portato fuori e spogliato fino alla biancheria intima. Il generale ordinò quindi ad Armen di dire a tutti i presenti perché non voleva servire. Armen stette in piedi davanti all’intera base, che constava di 3000 persone tra soldati e personale, e spiegò chiaramente perché la sua coscienza non gli permetteva di prestare servizio militare.
Successivamente Armen fu condotto in un’altra base militare e gli fu data l’opportunità di svolgere un servizio “leggero”, che non avrebbe contemplato il portare armi. Per quanto allettante fosse la cosa, Armen rifiutò, poiché si trattava comunque di servizio prestato in una base militare e si richiedeva che indossasse un’uniforme militare. Alla fine Armen fu visitato dal pubblico ministero, il quale gli disse che era stata presa una decisione riguardo all’articolo di legge in base a cui sarebbe stato perseguito per aver rifiutato di prestare servizio. L’accusa comportava una pena detentiva di 10 anni. Armen decise di fuggire. Per otto mesi visse come rifugiato, spostandosi da un luogo all’altro per evitare l’arresto. Infine decise di consegnarsi alla locale stazione di polizia. Fu ricondotto nel Karabakh per essere perseguito e vi fu tenuto in custodia cautelare per tre mesi. Ottenne l’assistenza di un legale che fu in grado di riportare il caso a Yerevan e di far ridimensionare le accuse a suo carico. Alla fine, Armen fu condannato a due anni di reclusione. Fu rilasciato nel gennaio 2006 e sei mesi dopo divenne testimone di Geova.
SERVIZIO ALTERNATIVO IN ARMENIA
Il 25 gennaio 2001 l’Armenia entrò a far parte del Consiglio d’Europa e si impegnò ad “adottare, entro tre anni dall’adesione, una legge sul servizio alternativo conformemente alle norme europee e, nel frattempo, a garantire l’indulto a tutti gli obiettori di coscienza condannati a pene detentive”. Il 1° luglio 2004 entrò in vigore in Armenia la Legge sul servizio alternativo. L’articolo 2 di tale legge affermava che il “servizio di lavoro alternativo” rappresentava “un tipo speciale di servizio pubblico svolto al di fuori delle forze armate della Repubblica di Armenia”. Basandosi su questa disposizione di legge, così come sulle assicurazioni verbali da parte dei funzionari, 22 giovani testimoni di Geova accettarono di svolgere questo “tipo speciale di servizio pubblico”, ritenendolo al di fuori del controllo o della supervisione militare.
Poco dopo che avevano accettato di svolgere tale servizio fu loro chiaro che esso si trovava sotto il controllo e la supervisione militari. Ad esempio, i lavoratori del servizio alternativo erano sottoposti a uno speciale regime di tipo militare, che ricadeva sotto il controllo dell’esercito. Sulle tessere indentificative del servizio alternativo c’era scritto: “Forze Armate della Repubblica di Armenia”. Alcune tessere confermavano l’idoneità al “servizio di combattimento” e recavano la firma del commissariato militare. I lavoratori del servizio alternativo erano confinati nei rispettivi istituti civili per 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. Si trovavano, in effetti, agli arresti domiciliari. Perché potessero lasciare i locali per qualsiasi ragione, il direttore dell’istituto doveva prima ottenere il permesso dei militari. Qualsiasi richiesta di ferie doveva essere approvata dai militari. Nel caso dei lavoratori dei servizi alternativi gli istututi civili dovevano applicare le regole militari. Alla polizia militare fu ordinato di controllare regolarmente i lavoratori del servizio alternativo, e venivano inviati rapporti mensili al quartier generale dell’esercito. Alla maggior parte dei partecipanti fu negato il diritto di assistere alle proprie riunioni cristiane con i compagni di fede locali e, in alcuni casi, furono confiscate le pubblicazioni religiose personali.
Che il controllo e la supervisione del servizio alternativo fossero esercitati dalle autorità militari fu evidente dopo che la Legge sul servizio alternativo venne modificata. Le modifiche entrarono in vigore il 9 gennaio 2005, dopo che i partecipanti avevano scelto di svolgere il servizio alternativo. Alcune disposizioni di legge specificavano che qualsiasi modifica all’assegnazione del servizio alternativo doveva essere approvata dalle autorità militari e che i lavoratori di tale servizio dovevano rimanere confinati nel loro luogo di servizio per 24 ore al giorno. Stabilì inoltre che sarebbero stati soggetti a smobilitazione e a inclusione nelle riserve. La legge stabiliva per di più che al servizio alternativo si applicavano le regole militari. La legge includeva un articolo secondo cui i lavoratori del servizio di lavoro alternativo che si prendevano un congedo non autorizzato avrebbero subìto la stessa punizione riservata personale militare.
Dover sottomettersi alla supervisione militare nell’àmbito del proprio servizio civile violava le credenze religiose dei 22 partecipanti e contrastava con la loro obiezione di coscienza al servizio militare. Di conseguenza presentarono tutti ai propri supervisori delle istanze scritte in cui chiedevano di porre rimedio a tale situazione; in caso contrario, non avrebbero potuto continuare a prestare servizio. Fissarono il termine di un mese entro il quale apportare le modifiche. Non avendo ricevuto alcun riscontro, nel maggio 2005 lasciarono i propri incarichi e dichiararono che avrebbero atteso nelle rispettive abitazioni fino a quando non fossero state apportate le modifiche ai termini di supervisione. Diversi genitori inviarono lettere al governo, all’Assemblea Nazionale, al procuratore militare, al procuratore generale e al difensore civico spiegando il motivo per cui i loro figli avevano lasciato il servizio alternativo. Chiesero che la legge fosse modificata in modo che i loro figli potessero tornare in servizio. Il governo reagì avviando subito dei procedimenti penali contro i giovani, che furono accusati di “assenza non autorizzata da un’unità militare” e di “diserzione da un’unità militare”. Queste accuse si basavano sulla sezione del codice penale che dimostrava chiaramente come tale servizio fosse sotto il controllo delle forze armate.
Già al 19 maggio 2005, lo Stato era ben consapevole del fatto che fosse illegale perseguire i giovani che avevano smesso di svolgere il servizio alternativo. In quella data il governo presentò all’Assemblea Nazionale un progetto di legge che modificava l’articolo 327 del Codice Penale per istituire il “reato” di abbandono del servizio alternativo. La modifica proposta entrò in vigore il 16 gennaio 2006. I 22 lavoratori avevano lasciato il servizio alternativo nella primavera del 2005. Legalmente, non potevano essere perseguiti né condannati per tale atto.
Pur sottolineando il fatto che i lavoratori del servizio alternativo non facevano parte delle unità militari, il governo procedette comunque con arresti, incriminazioni e processi per crimini contro l’esercito. Dei 22 lavoratori del servizio alternativo, 11 furono condannati in tribunale e ricevettero pene detentive che andavano dai due ai tre anni. Contro tutte queste condanne fu presentato appello. Altri otto videro le proprie udienze trascinarsi fino all’aprile del 2006.
Alla fine la procura parve rendersi conto di aver ecceduto nel perseguire questi giovani. Il 21 febbraio 2006 i pubblici ministeri di tutti i casi riguardanti i lavoratori del servizio alternativo presentarono delle mozioni in cui richiedevano che i casi fossero reinoltrati alla Procura generale per ulteriori indagini. Le mozioni furono accolte.
I giovani, che erano detenuti in carcere, fecero istanza di rilascio presso i tribunali in cui si svolgevano le proprie cause, poiché non c’era motivo che giustificasse la loro detenzione. Tranne che in un caso, i pubblici ministeri si opposero a tali istanze senza fornire alcuna motivazione. I tribunali di primo grado e la Corte d’appello confermarono le detenzioni, rifiutando di rilasciare gli imputati senza fornire alcuna giustificazione in merito al rifiuto.
Le decisioni della Corte d’appello furono impugnate presso la Corte di Cassazione, che rigettò tutte le richieste di chiudere i casi. Infine, la Corte d’appello e la Corte di Cassazione ordinarono il rilascio di tutti i lavoratori del servizio alternativo tenuti in custodia; tuttavia, rigettarono la richiesta di chiudere il procedimento penale nei loro confronti, rifiutando in tal modo di scagionarli e di riconoscere qualsiasi violazione dei loro diritti fondamentali.
Quindi, nel settembre 2006, il procuratore generale riconobbe l’illegittimità dei procedimenti penali nei confronti di questi giovani. A ciascuno di essi il procuratore generale scrisse una lettera, informandoli che erano stati scagionati dai reati loro ascritti e che avevano il diritto di chiedere un risarcimento per essere stati illegittimamente perseguiti e per qualsiasi detenzione illegale subita.
I lavoratori del servizio alternativo avviarono una causa civile per chiedere il risarcimento dei danni subìti. La corte, ignorando il fatto che la maggior parte dei lavoratori del servizio alternativo erano stati detenuti illegalmente, nonché le sofferenze da loro subite a causa dei procedimenti penali illegali, respinse tutte le richieste di risarcimento, adducendo l’assenza di prove in tal senso. I lavoratori del servizio alternativo presentarono appello contro tale decisione portando il caso fino alla Cassazione, la quale stabilì che l’appello era privo di fondamento; in tal modo non fu accolta nemmeno una singola istanza di risarcimento materiale e morale.
Come risultato di questi dinieghi, i lavoratori del servizio alternativo non ricevettero alcun risarcimento per i danni materiali e morali subiti. Fecero appello alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Il 27 novembre 2012, nel caso Khachatryan e altri contro Armenia, la CEDU emise una sentenza favorevole ai lavoratori del servizio alternativo. La CEDU stabilì che il governo aveva avviato procedimenti penali illegali contro 17 Testimoni che si erano rifiutati di svolgere il servizio civile alternativo sotto il controllo dell’esercito. L’Armenia pagò un risarcimento alle vittime di tali azioni illecite, nonché le spese legali.
MODIFICHE ALLE LEGGI ARMENE CHE INTERESSANO GLI OBIETTORI DI COSCIENZA
Nel 2001, Vahan Bayatyan divenne idoneo per il servizio militare obbligatorio. Dichiarò di essere obiettore di coscienza al servizio militare, ma perse ogni appello presso i tribunali nazionali. Nel settembre 2002 iniziò a scontare una pena di due anni e mezzo e fu rilasciato per buona condotta dopo aver scontato dieci mesi e mezzo. Durante quel periodo, fece appello alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che prese in considerazione il suo caso. Il 27 ottobre 2009 anche la Corte pronunciò una sentenza a lui avversa. Sin dal 1965 la CEDU aveva sostenuto che la Convenzione Europea non offre alcuna tutela rispetto allo svolgimento del servizio militare obbligatorio. Tuttavia la Grande Camera, il più alto livello della Corte europea, riesaminò la sentenza, e il 7 luglio 2011 la Corte emise un verdetto favorevole nei confronti di Vahan Bayatyan. La Grande Camera stabilì che “l’opposizione al servizio militare, laddove sia motivata da un conflitto grave e insormontabile”, dovrebbe essere garantita dalla Convenzione Europea. Tale decisione non tutela solo i diritti dei Testimoni di Geova, ma anche quelli dei cittadini degli Stati che sono membri del Consiglio d’Europa (Bayatyan contro Armenia).
Nonostante questa sentenza, e quella relativa a Khachatryan e altri contro Armenia, il governo armeno continuò a perseguire e a condannare i giovani Testimoni obiettori di coscienza. Infine, l’8 giugno 2013, il governo approvò alcuni emendamenti alla Legge sul servizio alternativo che toglievano alle autorità militari il controllo e la supervisione dei servizi alternativi. Tutti gli obiettori di coscienza Testimoni che si trovavano in carcere furono rilasciati entro il 12 novembre 2013. Nei 20 anni precedenti, oltre 450 testimoni di Geova avevano scontato pene detentive per aver rifiutato il servizio militare. Oggi i giovani Testimoni possono richiedere di svolgere un servizio civile alternativo e ottenerne la concessione.
A partire dal giugno 2019, 207 obiettori di coscienza Testimoni hanno svolto attività nell’àmbito del servizio civile alternativo. Sono stati assegnati come giardinieri nei parchi, come addetti alla cucina o come aiuto infermieri negli ospedali. La durata del servizio è di 36 mesi. Hanno libere diverse serate e una giornata a settimana, in cui possono assistere liberamente ai servizi religiosi e partecipare al ministero pubblico per il quale i Testimoni sono ben noti. I supervisori del programma hanno fatto commenti positivi circa l’etica e l’atteggiamento dimostrati da queste persone nello svolgimento del lavoro spesso difficile loro assegnato. Questi giovani sono grati che esista un provvedimento che consente loro di svolgere un servizio civile che non viola la loro coscienza.
Gli oltre 10.000 testimoni di Geova in Armenia apprezzano il fatto di poter ora svolgere le loro attività religiose secondo i princìpi della loro fede.
SEZIONE 3 ― LETTERATURA
Freedom of Religion in Armenia―A Study, condotto dal Norwegian Helsinki Committee of Armenia, ©2010 (armeno e inglese): è basato sui risultati di uno studio condotto nel 2009 dallo Helsinki Committee of Armenia sullo stato della libertà di coscienza in Armenia. Il suo obiettivo era determinare come la società e i mass media si rapportano con la libertà di coscienza e con varie organizzazioni religiose, nonché indagare gli ostacoli di natura legale e sociale incontrati dai membri di dette religioni.
Parallels―Flawed Alternatives (DVD, armeno e inglese): descrive in dettaglio le sfide affrontate dai Testimoni di Geova durante il periodo precedente all’entrata in vigore di una legge soddisfacente sul servizio civile alternativo.
Freedom of Conscience. Jehovah’s Witnesses, 5,000 Citizens Outside the Law (armeno): serie di tre articoli di giornale che descrivono le sfide e le persecuzioni affrontate dai Testimoni di Geova alla fine degli anni ’90, quando il loro numero era superiore a 5.000 ma non erano ancora legalmente registrati.
Human Rights Without Frontiers “Religious Intolerance and Discrimination”. ARMENIA: Fact-finding mission denounces the appalling situation of conscientious objectors, 24 gennaio 2002 (inglese, PDF elettronico, editore principale: Willy Fautré): rapporto basato su interviste a 12 obiettori di coscienza che avevano scontato le loro pene detentive ma erano ancora nascosti per paura di essere riarrestati, coscritti e condannati.
SEZIONE 4 – FIGURE CHIAVE NELLA VICENDA
Vahan Bayatyan, Bayatyan contro Armenia, verdetto della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo (2011)
Hayk Khachatryan, Khachatryan e altri contro Armenia, Corte europea dei diritti dell’uomo (2012)
Artur Adyan, Adayan e altri contro Armenia, Corte europea dei diritti dell’uomo (2017)
SEZIONE 5 – IL MESSAGGIO PRINCIPALE
Il principale messaggio spirituale dei Testimoni di Geova è che, per quanto gli umani tentino di migliorare la qualità della vita e la condizione umana, solo il Regno di Dio può fornire una soluzione completa ai fondamentali problemi dell’umanità, come l’ingiustizia, la corruzione, le malattie e la morte. Per quanto riguarda il modo in cui si dovrebbe leggere la Bibbia, crediamo che essa sia un libro pratico per i nostri giorni. Le persone hanno idee diverse, e c’è crescente apatia riguardo alle cose spirituali; resta però il fatto che l’uomo ha bisogno di riflettere su questioni spirituali, e la Bibbia fornisce strumenti affidabili in tal senso. I Testimoni di Geova credono che il Regno di Geova sia un governo reale e operativo che ha sede nei cieli. I Testimoni di Geova credono che tutte le attività e tutti gli sforzi che compiono siano una chiara prova che il Regno è all’opera. Tutto queste opere non sarebbero possibili grazie ai soli sforzi umani.
SEZIONE 6 ― IL PUNTO DI VISTA BIBLICO RIGUARDO ALLE SOFFERENZE
In 2 Corinti 4: 16-18 la Bibbia chiarisce che ogni persecuzione, a prescindere da quanto duri, è comunque temporanea. Il passo afferma:
Perciò non ci arrendiamo, ma anche se l’uomo che siamo esteriormente si consuma, l’uomo che siamo interiormente si rinnova di giorno in giorno. Infatti, anche se è momentanea e leggera, la tribolazione ci procura una gloria di una grandezza senza pari, una gloria eterna, mentre rivolgiamo lo sguardo non alle cose che si vedono, ma alle cose che non si vedono, perché le cose che si vedono sono temporanee, ma le cose che non si vedono sono eterne.
I Testimoni evitano di concentrarsi sui problemi o sulle difficoltà perché farlo può indebolirci rapidamente e derubarci della gioia e della forza. Facciamo tutto il possibile per tenerci impegnati nella nostra importante e utile opera di insegnare alle persone le promesse di Dio per il futuro. Essere costanti nella preghiera è d’aiuto, così che possiamo mantenere la nostra fede e i nostri valori perseverando nelle sfide “con pazienza e gioia” (Colossesi 1:11).