
Il 3 giugno 1963 la scomparsa di Giovanni XXIII è un evento che commuove migliaia di persone in tutto il mondo. All’apertura del conclave Montini è il successore designato anche se osteggiato dai cardinali conservatori.
Scrive Indro Montanelli sul Corriere della Sera:
Dio ci guardi dalla tentazione di formulare oroscopi: non c’è conclave che non il abbia sbugiardati. Però una cosa si può dire con fondate probabilità di essere nel vero: e cioè che il protagonista almeno delle votazioni iniziali sarà il cardinale Montini.
Il 19 giugno 1963 ottanta cardinali entrano in conclave a Concilio aperto.
Nella tarda mattinata del 21 giugno 1963 viene eletto papa l’arcivescovo di Milano che assume il nome di Paolo VI.
Nei suoi primi giorni da pontefice Paolo VI sembra intimorito dalle sue nuove responsabilità. Scrive:
La posizione è unica … di un’estrema solitudine. Da le vertigini come una statua sopra una guglia.
«Il Concilio Vaticano II sarà l’asse portante del mio pontificato»
Appena eletto papa, il 21 giugno 1963, Paolo VI comunicò che la grande opera del suo pontificato sarebbe stata quella di continuare e di terminare il concilio Vaticano II. Non si limitò a fissare la date della riapertura dei lavori ma si adoperò anche a creare le condizioni per una felice ripresa dei lavori conciliari.
Qualcuno pensava che questo Concilio fosse così pericoloso che sarebbe stato meglio chiuderlo. E invece Montini si è affermato chiaramente e il Conclave si è giocato su questo. Prima dichiarazione del neo-papa Montini appena eletto Paolo VI: “Occorre concludere il Concilio. Il Concilio Vaticano II sarà l’asse portante del mio pontificato”
card. Paul Poupard
Tra le prime decisioni di Paolo VI, tre furono delle vere e proprie innovazioni: la promulgazione di una nuova versione del regolamento del Concilio; la creazione di un comitato di quattro cardinali moderatori, che doveva pilotare l’assise; la nomina degli uditori laici chiamati ad assistervi. A differenza del suo predecessore Giovanni XXIII, che non aveva voluto tracciare un programma per il Concilio, Paolo VI volle essere la guida, il ‘timoniere’ del Vaticano II.
Il papa che porta a termine il Concilio
Aveva una formazione diplomatica, stava molto attento a ciò che diceva. Ci ha fatto soffrire anche un po’ perché al Concilio voleva a tutti costi che si arrivasse all’unanimità. Aveva la saggezza di fare dei piccoli ritocchi che permettessero di avere pochi contrari: così otteneva le votazioni della minoranza senza però chiudere le porte alla maggioranza. E salvaguardava il testo.
mons. Luigi Bettazzi
L’attenta guida di Paolo VI, pur tra polemiche, problemi e manovre più o meno spregiudicate da parte di maggioranza e minoranza conciliare, condusse ad un risultato di comunione e sinodalità invidiabile. Contrariamente ai sospetti sollevati su di esso, il concilio Vaticano II passerà alla storia come un’assemblea compatta, almeno nel momento della promulgazione delle deliberazioni. Questi i risultati delle votazioni finali di alcuni dei documenti più discussi:
- Sacrosantum Concilium 2158 SÌ 19 NO
- Lumen gentium 2151 SÌ 5 NO
- Unitatis redintegratio 2137 SÌ 11 NO
- Gaudium et spes 2309 SÌ 75 NO
- Dignitatis humanae 2308 SÌ 70 NO
- Nostra aetate 2221 SÌ 88 NO
Il Concilio era andato avanti fino al 1965. Tre anni di intensa attività che portarono alla pubblicazione di quattro costituzioni, tre dichiarazioni e nove decreti che modificarono molti aspetti della vita della Chiesa.
Davanti ad una realtà sociale che portava a separarsi dalla spiritualità, di fronte ad un difficile rapporto Chiesa-mondo, Paolo VI ha mostrato con coerenza quali sono le vie della fede e dell’umanità attraverso le quali si può andare verso il bene comune.
La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo.
Paolo VI (Allocuzione al termine dell’ultima sessione del Concilio Vaticano II)
Il primo Papa a farsi pellegrino nella terra di Gesù; il primo Papa a viaggiare in aereo; l’incontro con il Patriarca di Costantinopoli
La prima decisione del nuovo pontefice è clamorosa: il papa si fa pellegrino in Terra santa. 4 gennaio 1964: il primo papa nella storia a tornare nella terra di Gesù là dove la Chiesa ebbe inizio.
Mai nel XX secolo un papa aveva varcato i confini italiani. Paolo VI è il primo papa ad usare l’aereo. A chi si meraviglia risponde:
Vedrete quanti viaggi farà il mio successore.
Dalla capitale giordana, Amman, Paolo VI, raggiunse in macchina Gerusalemme, fermandosi sulle sponde del fiume Giordano. Dopo una strepitosa accoglienza nella città vecchia da parte della gente e dei pellegrini che ruppero i cordoni e travolsero gli steccati al suo arrivo, il Santo Padre arrivò finalmente al Santo Sepolcro accolto dai fratelli Francescani. Qui si fermò in raccoglimento sulla tomba vuota di Cristo, in cui depose un ramoscello d’olivo d’oro portato da Roma, qui celebrò la santa messa, il memoriale della Passione e la sua preghiera per l’unità.
A Betlemme Paolo VI incontra Atenagoras I, patriarca ecumenico di Costantinopoli. E’ un dialogo che riprende dopo 525 anni, dopo lo scisma e le reciproche scomuniche. Le chiese ortodosse sono autocefale, cioè autonome, e si considerano sorelle. I fedeli sono più di 450 milioni. Il patriarca Atenagoras è il 256° successore di Sant’Andrea dalla quale prende origine la Chiesa orientale.
Ho avuto la grande fortuna questa mattina di abbracciare dopo secoli, dopo secoli il patriarca ecumenico di Costantinopoli e di scambiare con lui parole di pace e di fraternità ed il desiderio di unione, di concordia e di amore a Cristo e di servizio all’umanità.
Paolo VI
Rinuncia alla tiara e viaggio in India: la scelta degli ultimi e del sud del mondo. Il primo Papa nei 5 continenti
Il 13 ottobre 1964 un altro gesto simbolico che diventa “segno dei tempi”: Montini fa dono ai poveri della tiara consegnandola al cardinal Spellman, arcivescovo di New York, che la espone nelle varie diocesi. Le offerte supereranno il milione di dollari che verranno inviati in India.
Il 2 dicembre 1964 Paolo VI arriva a Bombay dove partecipa al trentottesimo congresso eucaristico internazionale. L’accoglienza è trionfale: quasi due milioni di persone per le strade.
Paolo VI sarà stupito e addolorato nel rendersi conto della miseria in cui versa la popolazione indiana: la vita media è di 45 anni, 10 bambini su 100 muoiono di stenti e di privazioni, ci sono decine di migliaia di persone che l’atroce carestia ha ridotto a poco più che scheletri che chiedono l’elemosina.
Il viaggio in India rappresenta la scelta degli ultimi da parte della Chiesa di Roma. Non solo: la Chiesa cattolica si divincola dalla morsa del contrasto tra est e ovest e si colloca su un terreno di relazioni più ampio tra nord e sud del mondo.
Al ritorno Paolo VI dona a madre Teresa di Calcutta la sua lussuosa auto decappottabile e lancia una campagna a tappeto per raccogliere fondi da inviare in India.
Tra il 1964 e il 1970 Paolo VI farà nove viaggi internazionali che lo porteranno per la prima volta nella storia del papato in tutti i cinque continenti:
- Giordania e Israele (4 – 6 gennaio 1964)
- Libano e India (2 – 5 dicembre 1964)
- Stati Uniti d’America (3 – 4 ottobre 1965)
- Portogallo (13 maggio 1967)
- Turchia (25 – 26 luglio 1967)
- Colombia e Bermuda (21 – 25 agosto 1968)
- Svizzera (10 giugno 1969)
- Uganda (31 luglio – 2 agosto 1969)
- Asia Orientale, Oceania e Australia (25 novembre – 5 dicembre 1970)
26 novembre 1970: facendo rotta verso est un aereo porta Paolo VI verso due continenti in cui i cattolici non sono che piccola minoranza. Ma la sua prima tappa, dopo un rapido scalo in Iran e in Pakistan orientale (oggi Bangladesh), sarà nelle Filippine, un paese di antica fede cristiana, a Manila. Qui il 27 novembre il papa è vittima di un attentato all’aeroporto da parte di un folle che ferisce il pontefice con un coltello ed è poi allontanato dal suo segretario, Pasquale Macchi.
Quando il papa arriva al primo cardinale della serie che deve salutare … io ricordo ancora … il cardinal Kim di Corea … proprio all’altezza di questo primo cardinale … si vede sbucar fuori un uomo che aveva il clergyman e si è lanciato contro il papa con una forma molto … quasi violenta … ma fortunatamente lo prese sotto il cuore, un centimetro sotto il cuore. Il papa non volle interrompere il programma. Sentiva questa necessità di corrispondere al desiderio di tutta questa gente che lo attendeva e quindi anche nel pomeriggio il programma andò avanti. Ed è stata davvero una cosa provvidenziale: il Signore lo ha protetto e lo ha aiutato.
mons. Pasquale Macchi
Il primo papa a parlare all’ONU: La Chiesa esperta di umanità
Il Papa si reca a New York, il 4 ottobre 1965 visita la cattedrale di San Patrizio e un incontro nella chiesa della Sacra Famiglia. Celebra anche una Messa nello Yankee Stadium e visita il padiglione della Santa Sede all’Expo 1964.
In quello stesso 4 ottobre Paolo VI visita le Nazioni Unite. È il primo Papa a compiere questo passo aprendo la strada ai suoi successori. In quel 1965, in un tempo di guerra fredda, ciò rappresenta davvero una grande novità.
Papa Montini in un discorso di sette punti si fece portavoce dei morti, dei poveri e dei sofferenti:
Questo messaggio viene dalla Nostra esperienza storica; Noi, quali “esperti in umanità”, rechiamo a questa Organizzazione il suffragio dei Nostri ultimi Predecessori, quello di tutto l’Episcopato cattolico, e Nostro, convinti come siamo che essa rappresenta la via obbligata della civiltà moderna e della pace mondiale. Dicendo questo, Noi sentiamo di fare Nostra la voce dei morti e dei vivi; dei morti, caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace del mondo; dei vivi, che a quelle hanno sopravvissuto portando nei cuori la condanna per coloro che tentassero rinnovarle; e di altri vivi ancora, che avanzano nuovi e fidenti, i giovani delle presenti generazioni, che sognano a buon diritto una migliore umanità. E facciamo Nostra la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso.
Il messaggio centrale del discorso di Paolo VI all’Onu, ancora attualissimo, è il «no alla guerra».
Voi attendete da Noi questa parola, che non può svestirsi di gravità e di solennità: non gli uni contro gli altri, non più, non mai! A questo scopo principalmente è sorta l’Organizzazione delle Nazioni Unite; contro la guerra e per la pace ! Ascoltate le chiare parole d’un grande scomparso, di John Kennedy, che quattro anni or sono proclamava: “L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità”. Non occorrono molte parole per proclamare questo sommo fine di questa istituzione. Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!
Primo Natale di un Papa in fabbrica: Paolo VI a Taranto nel 1968
Il 1° dicembre 1968, concludendo la consueta preghiera mariana dell’Angelus, Paolo VI annuncia che celebrerà la messa della notte di Natale nel grandioso centro siderurgico Italsider di Taranto:
Sarà fra gli altiforni – a Dio piacendo – quest’anno il nostro presepio.
Il Centro siderurgico di Taranto, inaugurato nel 1965 dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, costituiva all’epoca uno dei maggiori complessi industriali per la lavorazione dell’acciaio in Europa; gli operai sono 5.600, altri 2.300 trovano lavoro nelle opere di ampliamento.
Solo nel turno di notte, nel corso del quale si inserisce la messa di Paolo VI, 2.200 tonnellate di ghisa e 2.500 tonnellate di acciaio escono dallo stabilimento. Grazie al grandioso investimento, il reddito medio per abitante in questo periodo sale da 175.000 a 604.000 lire, quasi cioè a livello di quello nazionale (632.000). Dagli ulivi all’acciaio, dal mondo agricolo alla società industriale: Una trasformazione nel segno del progresso.
Purtroppo però è anche vero che il lavoro dei seimila operai dell’Italsider non ha prodotto gli importanti fenomeni di “induzione” industriale che si speravano, per cui la disoccupazione e l’emigrazione vanno aumentando; “L’Osservatore Romano” parla di “catapultamento”, uno strappo sociale da una vita esclusivamente basata sull’agricoltura a un’altra, nella massima parte poggiata sull’industria.
Lungo il percorso di Paolo VI fino alla cattedrale, nella tarda serata del 24 dicembre 1968, piccoli gruppi di manifestanti espongono cartelli con le scritte “Puglia patria della disoccupazione e dell’emigrazione”, “Salari umani per il Sud”, “9200 feriti sul lavoro in un anno”.
Un episodio sul quale il Papa si sofferma, una volta giunto nella basilica di San Cataldo, parlando a braccio e replicando con comprensione e affetto ai cartelli:
Abbiamo visto anche cartelli che esprimono un gemito: siamo sofferenti, siamo disoccupati. La Chiesa capisce e soffre e dice una parola di speranza.
Esorta tutti a impegnarsi per creare, qui come altrove, un futuro più umano, più cristiano:
Molti fratelli sono nel bisogno e l’aiuto al fratello è tributo a Cristo. Il premio più rimunerativo sarà quello della buona coscienza e quello che Dio riserva a chi lo ha servito.
Oltre agli operai dell’Italsider, assistono alla Messa altri settemila occupati nell’arsenale militare e un migliaio dei cantieri navali; presenti anche le 65 parrocchie diocesane, che offrono simbolicamente una pisside, poi destinata a opere povere secondo i desideri del Papa.
Nello stabilimento, il Papa, prima della Messa, raggiunge i convertitori per la trasformazione della ghisa in acciaio: qui Montini osserva con una maschera protettiva il metallo che passa dal rosso all’incandescente, saluta affabilmente altri operai, infine sosta davanti a un presepe di compensato, intagliato dal reparto manutenzione.
Sale poi su un hydrocar, il carrello elettrico utilizzato per trasportare materiali all’interno dell’officina, ed entra nel grande capannone, dove è stato allestito l’altare, consistente in una “bramma”, una spessa lamiera di acciaio poggiata su due tronchi di tubi, che sullo sfondo accoglie un altro originale presepe, realizzato con figure intagliate nella lamiera. Ora la messa può incominciare.
Dal marzo 1965 è entrato in vigore il nuovo rito, ma il Messale romano sarà pronto solo nel 1970: questa liturgia natalizia alterna dunque preghiere antiche e moderne, cercando un coinvolgimento dell’assemblea: la preghiera dei fedeli viene recitata da un dirigente, due impiegati e tre operai; i doni dell’offertorio sono presentati da un pescatore, un contadino, un operaio dell’arsenale e uno dell’Italsider.
L’omelia del papa incomincia con un richiamo agli interlocutori che ricorda i “tre cerchi” dell’Ecclesiam suam:
Figli! Fratelli! Amici!
Uomini sconosciuti e già da Noi amati come reciprocamente legati – voi a Noi, Noi a voi – da una parentela superiore a quella del sangue, del territorio, della cultura; una parentela, ch’è una solidarietà di destini, una comunione di fede, esistente o da suscitare, una unità misteriosa, quella che ci fa cristiani, una sola cosa in Cristo!
Tutte le distanze sono superate, le differenze cadono, le diffidenze e le riserve si sciolgono; siamo insieme, come se non fossimo forestieri gli uni e gli altri; e questo specialmente con Noi, proprio perché siamo vostri, come lo è il Papa per tutti, per i cattolici, quali voi siete, specialmente: Padre, Pastore, Maestro, Fratello, Amico! Per ciascuno, per tutti.
Ritroviamo la concezione montiniana dell’autorità: paterna, pastorale, di magistero, di espressione della cattolicità. Poi, il discorso cambia registro:
Noi facciamo fatica a parlarvi. Noi avvertiamo la difficoltà a farci capire da voi. O Noi forse non vi comprendiamo abbastanza? Sta il fatto che il discorso è per Noi abbastanza difficile. Ci sembra che tra voi e Noi non ci sia un linguaggio comune. […] Vi dicevamo, salutandovi, che siamo fratelli ed amici: ma è poi vero in realtà? Perché noi tutti avvertiamo questo fatto evidente: il lavoro e la religione, nel nostro mondo moderno, sono due cose separate, staccate, tante volte anche opposte. […] Ma questa separazione, questa reciproca incomprensione non ha ragione di essere.
Montini è un uomo che ha un bisogno accorato di riuscire a superare quelle che sono le impossibilità di contatto che la Chiesa di inizio ‘900 aveva sperimentato. Quindi questa distanza tra la Chiesa e il mondo del lavoro, e in particolare con la classe operaia lui la supera non facendo un’enciclica sul lavoro come Leone XIII ma lo fa andando in fabbrica. Questo è un gesto che nel ’68 era clamoroso ed importante. Nessun presidente del consiglio avrebbe potuto fare il Natale all’Italsider impunemente.
Dite una cosa: trovate strano, allora, trovate anacronista, trovate nemico il messaggio del Vangelo qui dentro? non vi sono uomini vivi, uomini sofferenti, uomini bisognosi di dignità, di pace, di amore qui dentro, che non comprendono il pericolo d’essere ridotti ad esseri di una «sola dimensione», quella di strumenti, e che non si accorgono proprio qui (vogliamo dire nel cuore del mondo industriale in grande stile), dove il pericolo di questa disumanizzazione è maggiore, proprio qui il soffio del Vangelo, come ossigeno di vita degna dell’uomo, è più che mai al suo posto, e la presenza umile e amorosa di Cristo è più che mai necessaria?
Ecco, figli carissimi, perché qua siamo venuti. Siamo venuti per voi. Siamo venuti, affinché la Nostra presenza vi dimostrasse la presenza consolatrice, salvatrice di Cristo in mezzo al mondo meraviglioso, ma vuoto di fede e di grazia, del lavoro moderno. Siamo venuti per lanciare di qui, come uno squillo di tromba risonante nel mondo, il beato annunzio del Natale all’umanità che sale, che studia, che lavora, che fatica, che soffre, che piange e che spera; e l’annuncio è quello degli Angeli di Bethleem: oggi è nato il Salvatore vostro, Cristo Signore.