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Adesso è un quindicinale di impegno cristiano fondato da don Primo Mazzolari che vede la sua prima uscita il 15 gennaio del 1949. Don Primo Mazzolari, parroco di Bozzolo, un piccolo paese in provincia di Mantova fonda il quindicinale con l’intento di esprimere il momento della sfiducia nei confronti di una società migliore e diventa il simbolo dell’opposizione cristiana. La ragione del titolo e il programma appaiono nell’Editoriale del 15 gennaio 1949, mentre i cattolici sono al governo:
Adesso, non domani. All’infuori del caso che domani un altro possa far meglio ciò che io non so fare (la rivoluzione cristiana non fa saltare la corteccia dell’albero con la dinamite) rimandare a domani è neghittosità e vigliaccheria. Adesso è un atto di coraggio. Un uomo d’onore non lascia agli altri la pesante eredità dei suoi adesso traditi.
Pubblichiamo il secondo editoriale dal titolo “La giustizia ha fretta” …
La giustizia ha fretta
Anno 1 n. 2 Lunedì 31 gennaio 1949
di PRIMO MAZZOLARI
Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete la legge di Cristo.
S. Paolo
Se per guarire il nostro programma sociale bastasse scoprire la perversità degli ordini di certi partiti o il guasto di certi stati di animo; se bastasse indignarsene, gli italiani sarebbero in piena convalescenza.
E’ vero che dietro le vibrate proteste di molti, l’ordinanza confederale sulla «non-collaborazione» è rientrata: ma il guadagno, nonostante il compiacimento dei benpensanti, è assai modesto e di natura puramente politica poiché la non-collaborazione, nelle fabbriche e nei campi, è uno stato d’animo così diffuso che non ha bisogno di riconoscimenti ufficiali per crescere e durare.
Ho l’impressione che tanto i comunisti quanto gli anticomunisti, siano prigionieri della politica – politique d’abord – e credano, gli uni e gli altri, di poter risolvere tutto su quel piano.
Chi non vede che la non-collaborazione è un arma politica, manovrata da uomini politici poco scrupolosi e per scopi puramente politici?
Detto questo non ho risolto niente, se le contrappongo rimedi soltanto politici, e mi dimentico che la non-collaborazione è soprattutto uno stato d’animo, che può nutrirsi di ragioni e di pretesti anche umani, che vanno studiati e guariti sul piano umano.
Quand’è incominciata la non-collaborazione?
Da millenni e millenni: da quando l’uomo, cessando di essere giusto e fraterno con l’uomo, ha cercato d’appropriarsi più di ciò che gli spetta e di prelevarlo anche sulla fatica altrui.
Dove vien meno l’equità, la solidarietà ne soffre e il lavorare insieme ancor di più.
Un cristiano, inserendo motivi d’ordine soprannaturale, può resistere allo sforzo di dare senza ricevere, ma di questa sublime regola non possiamo, per il momento, farne un cardine sociale. I soliti furbi, invece di avvertire il richiamo, potrebbero essere tentati d’approfittarne: e la religione rischierebbe d’essere considerata l’oppio del popolo.
Durante la Resistenza, la non-collaborazione fu considerata un dovere civile per combattere i nazi-fascisti. E siccome non ci perdeva nessuno (gli industriali avevano altre fonti di guadagno; gli operai ricevevano egualmente il salario), nessuno si preoccupò che il fatto avrebbe potuto costituire un precedente. Certi mezzi non vanno mai usati: ma usati una volta, dobbiamo aspettarci di vederli ricomparire per tutte altre ragioni.
Se oggi io predico l’uccidere come un dovere, colui che mi obbedisce, resterà sorpreso e offeso di essere giudicato domani assassino per la stessa azione che ieri lo faceva un eroe.
Si dovrebbe dimostrare che allora e adesso non sono soltanto due tempi, ma due casi diversi: dimostrazione tutt’altro che facile, perché la patria, come il bene comune, la solidarietà, ecc., si vedono dove e come si vogliono vedere e si incarnano secondo i nostri mutevoli interessi.
Il fatto che «ci siano mestatori politici, i quali intendono aggrovigliare e peggiorare la situazione interna, servendosi anche della non-collaborazione», mi può indignare, ma non mi dispensa dal cercare i motivi di giustizia, se mai ci fossero, che possono inclinare anche i migliori a un rifiuto così gravido di grosse conseguenze.
Dico di più: un uomo retto e cristiano, prima di imporre il silenzio ai mettimale di mestiere (la libertà ha i suoi onerosi impegni) deve cercare di togliere i motivi che in qualche modo giustificano la non-collaborazione.
Non si può andare ai poveri con una trave nell’occhio ed esortarli a cavarsi la pagliuzza. Ci risponderebbero con il Vangelo in mano.
Il politico malaccorto può anche infischiarsi di un moralismo a base evangelica e forzar la mano ai renitenti, poliziescamente: ma per ristabilire una convivenza e una collaborazione umana, non posso infischiarmi della giustizia.
I danni della non-collaborazione sono veramente gravi per il paese e ricadono piuttosto sul povero che sul ricco: ma prima di predicare la solidarietà nazionale, bisogna consolidare i cardini della solidarietà umana, fondata sulla giustizia e sulla fraternità.
Primo Mazzolari