
Per comprendere e interpretare un uomo e il suo mondo spesso è utile vedere la fine della esperienza terrena di entrambi. Per avere una visione sintetica di Montini e del suo mondo occorre saper vedere cosa è finito con il 1978. Pochi mesi prima del 6 agosto 1978 era stata uccisa un’altra figura legata a Paolo VI, Aldo Moro.
Montini, il Papa della modernità
Montini è il figlio di una borghesia produttiva che ha la consapevolezza del suo ruolo sociale e del contributo recato allo sviluppo e alla modernizzazione del Paese.
Pietro Scoppola
Notazione interessante. Montini è il curiale borghese. Non conosce l’immobilismo, il relativismo etico, il cinismo immutabile, eterno, degli Ottaviani e del “partito romano”.
E diventerà, eletto nel 1963, il primo papa del Novecento, il primo a portare al vertice della Chiesa la nevrosi, il ritmo della modernità. Roma ha visto tanti papi aristocratici, di origine contadina e, nel caso di Karol Wojtyla, di estrazione operaia, ma mai un papa borghese. Se Jorge Mario Bergoglio è il primo papa ad arrivare da una megalopoli come Buenos Aires, Montini è il primo a conoscere ansie, dubbi, occasioni della modernità. Il primo papa cittadino, a prendere l’aereo e la metropolitana.
Montini e la DC
I primi anni della Repubblica e del boom economico coincidono con la massima presenza cattolica nelle istituzioni. E Montini, eletto Paolo VI nel 1963, è il regista spesso sofferto e incompreso di questa egemonia politica, ma non culturale. Il vero capo in un partito senza capi come la Dc, per molti.
La Democrazia cristiana, per cinque decenni il partito politico più votato dell’Italia repubblicana, non è stata fondata né da Alcide De Gasperi né da Giuseppe Dossetti: è una creatura di Giovanni Battista Montini.
Per tre decenni ha tenuto per mano la Dc come una bambina, ne ha impedito le cadute, ha accompagnato la sua crescita, l’ha rimproverata quando necessario. «Vinca le tentazioni: lo sgomento, il fastidio, l’eccesso di umiltà. Cacci via qualcuno», aveva ordinato a Mariano Rumor eletto segretario.
Fanfani, poi, ad un certo punto era sbottato con l’ultimo messo papale, monsignor Franco Costa, che gli chiedeva di ritirarsi dalla corsa al Colle: «Riferisca a chi la manda che se lui continua a pretendere di insegnare a me come mi debbo regolare, io verrò a prendere la parola in Concilio per insegnare come si deve dire la messa».
Il destino di Montini si era incrociato con la Dc e i suoi uomini fino alla fine. Nella primavera del 1978, con il papa in Vaticano, Andreotti a Palazzo Chigi, Cossiga al Viminale e Moro nel covo delle Br. Un dramma nel dramma, culminato nella lettera del papa agli uomini delle Brigate rosse per salvare l’amico, con la frase «liberatelo senza condizioni».
La fine della “cultura del progetto”
Il 1978 con la morte di Moro e Montini segna anche la fine di un’idea di società e di una visione di impegno politico dei cattolici che i due condividevano. Moro fa parte di quei ragazzi che, durante il fascismo, Giovanni Battista Montini aveva fatto crescere prima nella FUCI e poi quasi nella clandestinità. Essi andranno a formare quella classe dirigente che sarà poi la Democrazia Cristiana.
Con il 1978 è come se si chiudesse il cerchio: è la fine di quella che viene chiamata la “cultura del progetto”. Essa era nata negli anni ’30 riprendendo la riflessione di Jacques Maritain e attraverso di essa il cattolicesimo italiano prevedeva che progettando la politica, formando le coscienze, fabbricando una classe dirigente si sarebbe potuto fare non uno stato cattolico, non desiderabile in quanto autoritario, ma uno stato democratico nel quale i cattolici possano prendere voce.
Questo disegno si frantuma nel momento in cui il partito cattolico al potere non è in grado di salvare l’uomo che ne rappresenta l’anima. Con la “cultura del progetto” e il 1978 finiscono tante cose: finisce la vita di Paolo VI, finisce il papato italiano (salvo la breve parentesi di papa Luciani), finisce la generazione dei cattolici al potere e il sogno del partito cattolico in Italia, finisce l’illusione che la realizzazione del concilio e la riforma della Chiesa possano essere governate da un principe illuminato che detta le tappe del cammino.