
Dopo il bel dialogo sull’Ortodossia in Italia e la recensione sul suo libro sulla libertà religiosa in Italia, ecco un’altra intervista al professor Massimo Giusio,questa volta in riferimento alla sua personalità scientifica. Come sempre a cura del dottor Tudor Petcu. Il professor Giusio è avvocato e giornalista, autore di testi e pubblicazioni in materia storica ed artistica, sociologica e in materie giuridiche, si occupa di storia delle religioni, antropologia religiosa e psicologia sociale ed è stato docente di storia della Chiesa, diritto costituzionale, diritto ecclesiastico e penale presso l’Unitré di Torino.
Caro Professor Massimo Giusio, La ringrazio innanzitutto per aver accettato questo dialogo attraverso il quale mi piacerebbe porre in evidenza alcuni aspetti fondamentali che riguardano problemi sociali, culturali e politici. All’inizio del nostro dialogo, le chiederei di parlare del suo percorso accademico e scientifico in modo che i nostri lettori abbiano l’opportunità di scoprire la sua personalità.
Il mio percorso nasce originariamente nell’ambito giuridico, con la prima laurea in giurisprudenza. Subito dopo, precisamente nel 1998, decisi di sostenere l’esame di Stato per l’abilitazione alla professione di avvocato. Che superai brillantemente a Torino, mia città natale. Ho insegnato diritto pubblico, diritto ecclesiastico e diritto penale e criminologia, dirigendo per diversi anni il Master di scienze criminologiche e vittimologiche, organizzato dalI’ International Observatory for Victims of violence, dall’Università di Torino e da Mediare. Ero anche iscritto, da molti anni, all’Ordine dei Giornalisti. Contestualmente, coltivavo una passione professionale fissa, svolgendo una attività nella pubblica amministrazione, nell’ambito della consulenza legale. Poi, dal 2005 si è sviluppata una forte attrazione per la filosofia teoretica e la storia e la sociologia delle religioni, grazie al professor Luigi Berzano. Ho collaborato poi tenendo lezioni in materie sociologiche presso la Facoltà Universitaria di psicologia della comunicazione, sempre a Torino, oltre al’Unitrè ed alla sede ASTISS. Dal 2011 è nato un interesse specifico per la storia del Cristianesimo orientale (coronato con la laurea in scienze storico-religiose) e per la teologia, tema sul quale ho scritto poi due libri. Nel 2015 ho realizzato una pubblicazione in materia di sociologia sanitaria, sui modelli di sanità pubblica e sulla sua riforma. Inoltre, mi occupo di diritti umani e libertà religiosa presso la UCEE di Bruxelles. Nel 2018 sono diventato poi direttore del dipartimento di scienze storiche e religiose della Unisag di Roma.
Per quanto sono riuscito a comprendere dai suoi campi di ricerca, vi sono anche interessi filosofici, avendo sviluppato anche alcuni approcci da questo punto di vista. Perciò, la mia domanda per Lei sarebbe la seguente: come dovremmo capire la filosofia nella società di oggi? Si potrebbe parlare di un’attualità della filosofia tenendo conto del contesto pragmatico e tecnologico in cui stiamo vivendo al presente?
Per capire la filosofia, bisogna anzitutto studiarla a fondo, e in modo neutrale, senza apriorismi. L’attualità della filosofia deriva dalla sua capacità di comprensione della totalità, prescindendo da saperi settoriali, specialismi, fideismi tecnoscientifici. Oggi è ad una svolta radicale la stessa natura umana e bene ha fatto il professor Leghissa, amico ed insigne docente, a scandagliare con precisione la dimensione del “postumano”. Bioetica, interrogativi fondamentali, limiti della tecnica e rapporti tra autocoscienza e pretese neurofisiologiche di spiegare ogni angolo della mente, impongono un recupero della filosofia e del suo insegnamento diffuso, che io aumenterei in ogni segmento del percorso scolastico. E’ assurdo insegnare religione con migliaia di professori stipendiati dallo Stato, e quindi dalle famiglie, e scelti con il benestare dei Vescovi, come avviene per esempio in Italia, senza un itinerario propedeutico sui saperi logici e metafisici, presente in modo adeguato solo nei licei. La necessità di una riscoperta della filosofia, soprattutto dopo l’eclissi delle ideologie politiche storiche, è un dato urgente ed insostituibile, ad ogni livello. Nelle aziende, nelle istituzioni, soprattutto nella scuola dell’obbligo. C’è molto più bisogno per la specie umana ed il nostro pianeta, in futuro, secondo me, di filosofi che di ingegneri, avvocati o tecnici di ogni sorta. La filosofia, pone più e meglio di ogni altra disciplina domande, indica limiti, esige risposte, solleva quesiti impietosi e previene pigrizia intellettuale, accettazione acritica di un mondo che, in molte sue parti, può e deve essere continuamente messo in discussione. Senza sconti, con rigore.
Sarebbe molto utile che Lei parlasse dei suoi libri più importanti, anche perché si tratta, nel suo caso, di una ricerca scientifica autentica, soprattutto se ci riferiamo al campo del diritto, della sociologia oppure della psicologia. Allora, cosa potrebbe dire su questi argomenti e cosa esattamente ha cercato di dimostrare attraverso i suoi studi?
Credo che i libri più importanti siano quattro. Il primo è un libro che ho scritto da giovanissimo, si chiama “Il corpo e l’arte”, un viaggio tra antropologia ed estetica nel suo percorso storico, da Prassitele e Fidia sino ad oggi. Credevo fosse un lavoro da dilettante, invece andò benissimo e venne adottato in molti licei ed Accademie delle Belle Arti. E’ ancora in circolazione oggi, dopo vent’anni.
Il secondo è il “Compendio di Vittimologia”, scienza giovane e coltivata da pochi decenni nelle Università. E un libro del 2013, che offre molti consigli utili ai vittimologi, con molti spunti anticipatori, specialmente sulla delittuosità endofamiliare, che è un fenomeno paurosamente assurto agli onori nefasti della cronaca e della statistica penale. A lei lo ricordo volentieri anche perchè il padre della vittimologia è un grande criminologo rumeno, Benjamin Mendelssohn, che non so se sia adeguatamente valorizzato nel suo paese ma che secondo me è stato un vero genio scientifico del XX secolo che io ho studiato a fondo ed è stato sottostimato per troppo tempo.
Il terzo libro è “Manifesto per una buona sanità” con cui, con il professor Berzano e con un grande medico italiano, abbiamo analizzato il futuro del Welfare sanitario, con una certa vena profetica, se osserviamo cosa è successo nel 2020 nei sistemi sanitari mondiali.
Il quarto libro, del 2019, è “La libertà religiosa in Italia”, che tratta in modo approfondito il fenomeno religioso dal punto di vista del diritto, e nella sua fenomenologia più delicata: scuola, crocefisso, indumenti religiosi, fondamentalismo, integrazione e pluralismo, futuro delle religioni, tolleranza, proposte di riforma e sistemi giuridici europei, con una descrizione della geografia religiosa odierna e delle caratteristiche di tutti i paesi dell’Unione Europea su queste tematiche.
Ci sono poi altri testi, una decina. Ma questi quattro mi sembrano i più significativi anche per i loro evidenti lati e risvolti filosofici.
Considerando che Lei ha svolto delle ricerche anche nel campo del pluralismo religioso, quale sarebbe la sua definizione per quanto riguarda questo concetto-chiave: la toleranza? Come si dovrebbe percepire l’unità in diversità di cui si parla tantissimo oggi?
Sono dal 2015 segretario dell’Osservatorio sul Pluralismo Religioso, nato nel Campus Einaudi dell’Università di Torino, che è stato fondato ed è tuttora diretto dal professor Luigi Berzano. Il sito è www.pluralismoreligioso.it. E’ quindi un argomento che credo di conoscere abbastanza bene. Se dovessi essenzializzare un tentativo di risposta, direi che è necessario un cambio di mentalità. Le identità sono da preservare, sempre e comunque: il contestuale approccio dialogico sustematico, però, è ancora troppo debole. Tante chiacchiere e banalità, pochissime le occasioni di incontro vero. Io sono riuscito, al Salone del Libro 2018, a far arrivare a Torino esponenti di 15 religioni da tutto il mondo, con l’aiuto di due persone d’oro, Luigi Berzano e Massimo Introvigne del CESNUR con cui collaboro. L’Osservatorio ha portato poi a un grande convegno a Milano, con 13 religioni e presenze internazionali. Senza un euro di sostegno o di contributo da parte di nessuno. Quindi, come si dice, è solo questione di volontà. Le istituzioni investono troppo poco, o nulla, e certamente singoli o gruppi possono fare miracoli in qualche occasione, ma non sempre com’è necessario. Ci vuole uno sforzo continuativo ed incessante di consapevolezza, di investimento pubblico, di coinvolgimento accademico ed istituzionale, ma anche politico. Creare tavoli, consulte, ovunque possibile. Con tutti. Se le persone si conoscono e si parlano, si è naturalmente disposti ad arrivare a tolleranza, rispetto, discussione franca. Magari ruvida, ma cordiale e costruttiva.
Lei ha lavorato anche nel quadro dell’Unione Europea degli Esperti (UCEE) e partendo da questo fatto le chiedo di presentare l’importanza e il lavoro svolto da questa istituzione. Non da meno, quanto importante fu la sua attività nel seno dell’UCEE per il suo sviluppo?
L’ UCEE, fondata e presieduta da Paolo Saba, esiste dagli anni Novanta. Io iniziai a farne parte dal 2000, anno in cui l’Unione realizzò importanti eventi per il Giubileo a Roma. Dal 2005 mi occupo del Dipartimento Diritti Umani e Pluralismo Religioso. E’ una istituzione nobile e importante, che realizza scambi e favorisce relazioni e contatti tra gli stati membri dell’Unione, le loro imprese e le loro istituzioni con eventi, congressi, seminari ed iniziative in tutto il mondo. Ha una sede a Bruxelles e rappresentanti in tutti i continenti, con grandi professionalità anche ne campo imprenditoriale e diplomatico. Sono onorato di farne parte, e invito tutti i lettori a seguire le sue iniziative sul sito www.ucee.eu.
Sarei molto interessato a sapere quali sono le persone che hanno influenzato di più la sua personalità e il suo pensiero? A chi si deve la persona che Lei è diventato nel corso della sua vita?
E’ molto difficile. Diceva il grande poeta brasiliano Vinicius De Moraes che “la vita è l’arte dell’incontro”. Sarebbero tanti, tantissimi. Ma se mi mette alle strette, ne citerò tre davvero fondamentali.
Sul piano giuridico, sicuramente il professor Ferrando Mantovani. Credo rappresenti il più grande studioso di diritto penale italiano del XX secolo. Gli devo la cosa fondamentale, il metodo di studio: chirurgico, sistematico, analitico e di grande impatto mnemonico, cosa che mi è servita sempre, fino d oggi,nei tanti ambiti culturali che ho esplorato. Lo conobbi attraverso il suo libro, credo il più bel manuale italiano di diritto penale mai scritto, e poi di persona. Ricordo cene interminabili, a Torino in riva al Po. Anche se insegnava a Firenze, veniva spesso in Piemonte, amante, come me del resto, dell’egittologia e delle lingue semitiche antiche. Ricordo con lui chiaccherate appassionate, fino a notte, sul diritto e la bioetica, il fine-vita, la dimensione umanizzante delle disposizioni del testamento biologico, l’eutanasia, il problema delle funzioni della pena. Un genio.
Il secondo riferimento è sicuramente Luigi Berzano, sociologo di livello internazionale e per molti anni ordinario a Torino. Devo sicuramente a lui la mia passione per la storia e la sociologia delle religioni, il gusto per il dialogo interreligioso e uno stile garbato che spero di saper imitare sempre. Lo sento spesso e mi è di grande aiuto per la sua umanità e dolcezza espressiva, che mi sorprende sempre.
La terza personalità è quella di Massimo Introvigne, sociologo noto in tutto il mondo e vera enciclopedia mnemonica che mi ha sempre colpito per eclettismo, precisione, capacità divulgativa. E’ un caro amico e gli sono davvero affezionato, anche se viaggia in continuazione ed è difficile poterci frequentare con l’intensità che vorrei.
Ne ho ricordati tre, tra gli amici davvero fondamentali, ma ce ne sarebbero tanti.
Dato tutto quello che abbiamo insieme cercato di sottolineare e tenendo conto sopratutto del suo lavoro infaticabile, avrei un’ultima domanda: cosa si dovrebbe ovvero si potrebbe fare per la salute del mondo in cui viviamo?
Bisogna assolutamente porre al centro del dibattito politico internazionale, da parte degli stati e delle organizzazioni sovranazionali, i presupposti filosofici e morali dei concetti di tecnica, sviluppo e progresso, ed il loro rapporto con la ridefinizione, il ripensamento dei concetti di “natura umana” e di “salvezza del Pianeta” che corrono a mio avviso sempre maggiori ed enormi pericoli. Impigrimento, desertificazione culturale, appiattimento ideologico e dell’impegno sociale sono fenomeni non solo italiani. Forse bisognerebbe ripartire da autori importanti, come Kant e dal suo libro troppo poco ammirato, “Per una pace perpetua”. Cambiamenti climatici, fattori inquinanti e logiche abnormi di un certo capitalismo finanziario pongono a repentaglio stabilità, giustizia distributiva della ricchezza, principi di umanità e solidarietà, cui le politiche non sanno offrire risposte sufficienti, assediate da poteri surrogatori e da forze impersonali di “non eletti”, che possiedono però enormi mezzi di condizionamento ed influenzamento collettivo in direzioni univoche, che non favoriscono il pensiero critico, ma anzi lo attenuano e lo impigriscono. Prima della crisi economica, c’è, secondo me, una crisi profonda, sotterranea ma implacabile, di natura spirituale e morale. In questo le religioni possono svolgere un ruolo essenziale. Ma anche la politica, se si vuole salvare l’idea di grandi democrazie occidentali, deve riprendere dignità, autorevolezza, capacità decisionale, e non comportarsi da serva sciocca di altri poteri mediatici e finanziari. Il pensiero umano è nato ad Atene e a Roma. Non a caso Grecia e Italia sono spesso nel mirino, nel tentativo, forse, di obliterarne la memoria storica, l’identità, le radici antiche. Il comune patrimonio di cultura classica e di ispirazione latina e cristiana, che unisce il mio paese alla Romania, da questo punto di vista può formare un’alleanza indispensabile e fondamentale per riprendere il cammino di un rimodellamento etico e spirituale dell’Occidente. Grazie per l’attenzione.